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Novitati cede vetustas. Note sulla forma architettonica del Battistero Neoniano

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Il battistero Neoniano. Uno sguardo attraverso il restauro a cura di Cetty Muscolino, Antonella Ranaldi e Claudia Tedeschi Arte e cataloghi
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Il battistero Neoniano.Uno sguardo attraverso il restauro

a cura diCetty Muscolino, Antonella Ranaldi e Claudia Tedeschi

Arte e cataloghi

CARLA DI FRANCESCO

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Si pubblica in questo volume una serie di saggi dedicatial battistero della cattedrale di Ravenna, cosiddettodegli Ortodossi o Neoniano. I punti di vista dei singoliautori sono diversi, in quanto ognuno è specialista inun proprio settore disciplinare. Li accomuna l’espe-rienza maturata insieme nelle indagini diagnostiche,nelle mappature fotografiche e a contatto diretto conl’opera nel cantiere di conservazione, in particolare nelcorso degli ultimi lavori che hanno interessato una cir-coscritta porzione di mosaici e stucchi1. Si è lavorato aquesto volume, in attesa che si possano valutare gli esitidella vasta esperienza di ricerche sul battistero Neo-niano per creare le condizioni, in primo luogo cono-scitive, verso strategie di intervento di conservazionepreventiva e, in secondo luogo, pensare alla prosecu-zione dei lavori sulle parti ancora non restaurate. I sin-goli saggi dialogano tra loro nel comune intento di farconvergere le ricerche verso la complessità dell’inter-pretazione storico critica e dell’osservazione di tipotecnico maturata in cantiere. L’equipe è composta dagliaddetti ai lavori2; ognuno ha dato una propria letturadegli esiti di approfondite ricerche, fornendo una primainterpretazione dei dati raccolti, in continuità con i pre-cedenti contributi diagnostici e conoscitivi degli ultimianni ottanta e novanta3.Negli studi e nei restauri del battistero Neoniano si in-treccia la storia stessa della Soprintendenza di Ravenna.Questo volume offre una selezione di immagini e do-cumenti che ripercorre quella storia, attingendo in mas-sima parte dagli archivi della Soprintendenza. Neiconfronti dei restauri precedenti compiuti dal RealeGenio Civile i toni della polemica erano stati aspri con-tro il tecnicismo ingegneristico, a favore di competenzeche nella direzione dei lavori degli interventi di restauroprivilegiassero l’ambito storico, artistico, architettonicoe archeologico. A proposito di alcuni lavori che si sta-vano eseguendo sulle murature del battistero Neoniano,il ravennate Odoardo Gardella rivolgendosi a CorradoRicci in una sua lettera del 15 agosto 1888 lo invitavaa pronunciarsi4. Ricci gli rispondeva di averne parlato

ad Adolfo Venturi “Ne è rimasto ancora una volta tra-secolato. Ma basta, credo che siamo alla vigilia digrandi riforme”5. La riforma di cui scrive Ricci nellacartolina a Gardella era vicina. Nel 1891 vennero isti-tuiti dal ministro Pasquale Villari gli Uffici regionaliper la conservazione dei monumenti, tra i quali l’Uffi-cio dell’Emilia Romagna con sede a Bologna. Quellofu un primo tentativo di interiorizzare la tutela all’in-terno del Ministero della Pubblica Istruzione. Passe-ranno ancora degli anni, mentre continuavano lepolemiche che, anche con l’interessamento di GiosuèCarducci, portarono il ministro Codronchi ad istituire il2 dicembre 1897 una “speciale Soprintendenza”, conil compito di occuparsi del Museo Nazionale e dellaconservazione e della manutenzione dei monumenti ra-vennati6.Anche per il mosaico vale il principio di Cesare Brandidell’unità metodologica ed in particolare si può rin-tracciare da Giuseppe Gerola7 (Soprintendente a Ra-venna dal 1910 al 1919) fino ad oggi un filo rosso nellascelta di una metodologia propriamente ravennate nelrestauro dei mosaici, in particolare nei contributi altema della reintegrazione dell’immagine in finto mo-saico dipinto8. In pittura ha fatto scuola il metodo deltratteggio ad acquerello o “rigatino” di Cesare Brandie della selezione e dell’astrazione “cromatica” di Um-berto Baldini, mentre meno codificato rimane il temadella reintegrazione dell’immagine nel restauro archi-tettonico, per le varie accezioni che comprende. In pro-posito è possibile anche rilevare una certa affinità trale opzioni mirate a rendere distinguibili le integrazionisu superfici murarie e su quelle musive: il sottosqua-dro, il ricorso a tinte sottotono o neutre, il segno di de-limitazione, come quello utilizzato da Corrado Riccinei restauri dei mosaici absidali di Sant’Apollinare inClasse, se vogliamo datate, e suscettibili di valutazionein funzione delle qualità percettive. Quando si operasui mosaici paleocristiani e bizantini ravennati, rico-nosciuti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco9, il ri-spetto dell’autenticità necessariamente si coniuga con

Uno sguardo al restauroPresentazione del volume

e uno scritto inedito di Cesare Brandi sul restauro musivo

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la percezione dell’unitarietà delle immagini, come anoi pervenuta attraverso i restauri del passato, che lirende testimonianza unica ed eccezionale per il loro va-lore artistico e testimoniale, ma anche per lo stato diconservazione. Come riconosceva l’autorevole opi-nione di Krautheimer, nessuno tra i battisteri pervenutioffre, come il Neoniano, nella forma architettonica enella decorazione, tra parti originali o pseudo-originali,una così nitida e completa testimonianza dell’edificiobattesimale paleocristiano10.Lo stesso Cesare Brandi, nel 1936 quando era ispettorepresso la Direzione Generale Antichità e Belle Arti aRoma, su richiesta della Soprintendenza11, venne a Ra-venna per esaminare i mosaici del battistero Neonianoe di San Vitale. Nella sua vasta attività pubblicistica,non credo ci siano stati apporti pubblicati da Brandi sultema del restauro dei mosaici. Purtroppo è andata smar-rita la sua relazione redatta a seguito del sopralluogoal battistero Neoniano; resta quella su San Vitale12. Essacostituisce una preziosa testimonianza sul tema, caro aBrandi, della reintegrazione dell’immagine nella suaapplicazione al restauro degli apparati musivi parietali,con significative intuizioni nel giudizio critico e tec-nico. Evidenzia l’elemento plastico e pittorico presentenel mosaico, la necessità di eseguire dei calchi per do-cumentare nel tempo ogni aspetto, tra cui l’inclinazionedelle tessere, in modo da avere gli strumenti per operarein futuro nel caso si verificassero cadute di materialemusivo. La tecnica dei calchi, diversa dai cartoni e dailucidi ripresi dal vero da Alessandro Azzaroni e Giu-seppe Zampiga, era stata utilizzata nel 1929 in SantaMaria Maggiore a Roma, per riprodurre i mosaici diJacopo Turriti su pannelli in gesso, su cui venivano di-pinte le tessere colorate. Brandi descrive infine la me-todologia da attuarsi per le integrazioni delle lacune,con tasselli di materiale leggero dipinti in accordo conle tessere contigue. Si riferisce ai mosaici di Giusti-niano e Teodora che analizza con scrupolo e con mezziempirici, percuotendo con le nocche le superfici mo-saicate. Osserva i vecchi restauri “che ne deturpano losplendore, senza dunque rispondere né ad un criterioestetico né ad un criterio archeologico. Si tratta dellevolgari stuccature che furono eseguite negli alveolidelle tessere mancanti senza nessun riguardo alle tes-sere circonvicine, anzi in molti casi ricoprendole e ac-cecando i cuniculi fra tessera e tessera”. Passa poi aillustrare in modo lucido ed estremamente puntuale lasua ipotesi di intervento, e per questo vale la pena ri-portarne il testo, anche perché, come si vedrà, esponeuna metodologia in controtendenza rispetto a quellache sarà la scelta operata nei restauri immediatamentesuccessivi compiuti in San Vitale nel 1938 e nella cu-pola del battistero Neoniano nel 1939, dove invece siadottò il metodo del distacco, secondo le indicazioni diAmedeo Orlandini, dell’Opificio delle Pietre Dure diFirenze.

Cesare Brandi scrive: “Il restauro che proporrei non sa-rebbe certo il rinnovamento delle tessere che costitui-rebbe una falsificazione, e neppure di riempire il vuotocon una stuccatura fatta direttamente sul posto. Non bi-sogna dimenticare che nel mosaico ravennate e soprat-tutto in questi due stupendi esemplari, l’inclinazione,la capricciosa sfaldatura della testa delle tessere, costi-tuisce un elemento plastico e pittorico della più grandeimportanza. Perciò come misura precauzionale e persalvaguardare la massima sincerità archeologica, pro-pongo che sia ricavata la forma della parte da restau-rare, con procedimento analogo a quello usato perprendere l’impronta delle dentature, ossia non congesso, ma con un materiale duttile e che non lasci trac-cia: da questa forma si dovrebbe trarre l’impronta ingesso che andrebbe colorita a somiglianza dell’origi-nale in modo da conservare la massima documenta-zione e avere in qualsiasi evenienza un riscontro esattodell’inclinazione delle tessere. In ultimo, consolidatala malta, le lacune degli alveoli dovrebbero essere com-pletate nel seguente modo. Tratta l’impronta della la-cuna, si eseguisce un tassello (in materiale leggero dapotersi poi dipingere) che disti dai margini della lacunaquanto approssimativamente si distanziano fra loro letessere musive. Tale tassello che verrebbe applicato conla caseina, e che per di più dovrebbe essere leggeris-simo, si dipingerebbe a imitazione delle tessere man-canti e con una vernice o opaca o lucida potrebbeintonarsi alle tessere circonvicine. Con tale sistema sisalvaguarderebbe l’unità cromatica e il rispetto ar-cheologico; ciò che è soprattutto indispensabile nelcaso specifico dei due mosaici di Giustiniano e di Teo-dora che presentano piccole lacune e che per il loro al-tissimo valore non possono ricevere né aggiunte ditessere né usuali stuccature”.Come si è avuto modo di discuterne recentemente conMaria Andaloro, il metodo ravennate messo a puntodalla Soprintendenza, nei restauri compiuti in San Vitaledal 1988 in poi, e a seguire negli altri mosaici ravennati,costituisce un significativo punto di riferimento nellascelta del restauro in sito e dell’integrazione delle la-cune con tessere incise in pasta di calce dipinte13, a cuisi aggiunge la ricerca dei docenti della Scuola per il Re-stauro del Mosaico di Ravenna, che ha sede presso laSoprintendenza, anche verso l’integrazione con tesserein resine sintetiche, e verso l’esperienza diagnostica edocumentale con mezzi informatizzati messa in atto nelbattistero Neoniano.In particolare Anna Maria Iannucci, Soprintendente dal1992 al 2007, ha dato impulso in questa direzione, ri-costruendo le vicende dei restauri compiuti nel passato14

e impostando una metodologia interdisciplinare delladiagnostica e dell’utilizzo di sistemi informativi, inmodo innovativo in quegli anni15, e tale da costituire ilfondamento di questa pubblicazione nell’indicazione diuna metodologia aperta a far convergere più ambiti di

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competenze e apporti.Prelude la serie di saggi una lettura della forma archi-tettonica e costruttiva del battistero, dove ricerco leconvergenze utili a ricostruire quale doveva essere l’as-setto del battistero originario e gli elementi di novitàdella restauratio neoniana della metà del V secolo, ri-percorrendo le scoperte e le osservazioni utili a defi-nirne la genesi formativa, mediata dalle esplorazioni edai restauri compiuti in passato.Cetty Muscolino traccia una lettura storico-critica degliapparati decorativi, addentrandosi quindi nella materiaoggetto delle indagini, con disinvoltura e con penetrantiosservazioni sull’architettura musiva ed il trapasso inchiave agostiniana e simbolica dalla forma quadratadella base a quella ottagonale del volume superiore.Occupandosi della tecnica e dei materiali, l’interessedi Claudia Tedeschi va ai materiali costruttivi della cu-pola in tubi fittili modellati a siringa, di cui si era inpassato occupato Guglielmo De Angelis D’Ossat16, esoprattutto si rivolge agli apparati musivi, alla malteutilizzate e agli stucchi. Marco Verità si sofferma sulletecnologie e i materiali nella produzione del vetro nelV secolo. Le analisi e le campionature portano a im-portanti considerazioni sulla composizione dei pig-menti, in particolare molto preziosa negli incarnati, esugli opacizzanti, dove si nota la presenza di tesserecon antimoniato e altre con fosfati. E’ il punto di par-tenza da cui scaturiscono significative osservazioni nel-l’individuare due forniture di materiali: una più similealle tessere in uso nelle basiliche romane, che non siesclude possano essere di reimpiego; l’altra con addi-tivi ai fosfati, di provenienza diversa, di area orientale.Muscolino delinea la storia dei restauri e gli apportidella Soprintendenza di Ravenna, fino agli interventipiù recenti. La ricerca documentaria attinge diretta-mente all’archivio di disegni e di fotografie della So-printendenza. Lorenzo Russo ne fornisce il regestodocumentario e le riproduzioni. Attraversa la storia deimanipolatori, nel senso di chi pose mano ai restauri, apartire da Felice Kibel, alla metà del XIX secolo, adAlessandro Ranuzzi del Genio Civile, fino ad arrivareai primi anni del secolo scorso ai disegni di Alessan-dro Azzaroni, che ritrae anche l’amico e collega Giu-seppe Zampiga all’opera nel restauro dei mosaici. CettyMuscolino personalizza la ricerca nelle sue riflessionisulla metodologia del restauro, avvalendosi dell’espe-rienza maturata nei cantieri di restauro musivo negli ul-timi due decenni presso la Soprintendenza. Scrive inprima persona e in forma interlocutoria, ponendo le do-mande emerse nel corso del suo stesso lavoro, alla ri-cerca di quelle competenze che potessero essered’aiuto. Interrogativi che talora rimangono senza ri-sposta per l’assenza di casi immediatamente confron-tabili nella patologia di degrado e nelle soluzioni daadottarsi. Claudia Tedeschi, sempre abile restauratricespecialista nel restauro musivo, pone la questione su un

piano operativo partendo proprio dall’osservazione rav-vicinata e analitica, supportata da un apparato dischede17. Ripercorre i momenti critici e le difficiliscelte per individuare i prodotti consolidanti più adattitra quelli disponibili sul mercato, avvalendosi della pre-ziosa consulenza di Giorgio Torraca. Rimangono inso-lute molte questioni e la comprensione delle cause,riferibili forse alle particolari condizioni ambientali edel microclima interno, che hanno determinato una par-ticolarissima specie di degrado delle tessere dei mo-saici all’interno del battistero Neoniano. Si percepiscead occhio lo sbiancamento delle superfici, che inficia lapercezione dei colori e la loro lucentezza, soprattuttoquelli nella gamma dei toni freddi dal blu al verde. Al-l’alterazione dei colori originali si aggiungono patolo-gie di degrado avanzate dovute alla fragilità e alladecoesione dei materiali delle tessere vitree con la for-mazione di un reticolo di fratture, rilevabile in partedelle tessere, mentre altre si presentano in migliorestato di conservazione. Ci si proponeva quindi di indi-viduare la metodologia corretta per arrestare o inibireil processo in atto, i cui effetti erano già stati notati nel1937 da Amedeo Orlandini direttore dell’Opificio dellePietre Dure, che ne riferiva la causa ai fenomeni di os-sidazione delle numerose grappe poste nei restauri diCarlo Novelli del 1887-189018. La spiegazione nonconvince affatto e non risulta confermata dalle indaginisvolte. Marco Verità, nonostante abbia effettuato nu-merosi approfondimenti, e nonostante sia uno dei piùcompetenti specialisti in materia di vetro e di tessere inpasta vitrea, non è giunto, come talvolta avviene, a con-clusioni univoche, auspicando invece interventi di mo-nitoraggio delle condizioni ambientali. L’attenzionequindi si sposta dall’intervento sulla materia, a quellosul controllo del microclima interno. Scelta che avvi-cina il caso patologico, e non solo fisiologico, dei mo-saici del battistero Neoniano a quello degli affreschivinciani del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie aMilano19.Il compito assunto è stato quindi documentare le ultimeesperienze condotte con coscienza e ai fini della cono-scenza, nella difficile impresa di governare la messe diinformazioni e di dati che si assumono a contatto di-retto dell’opera, nella specificità del dato materiale etestimoniale e del tipo di indagine conoscitiva.Non si tratta di un punto di arrivo ma di un lavoro inevoluzione, che offre spunti per ripartire sulla basedelle indagini effettuate e porre in atto future strategied’intervento, propedeutiche ad un’azione mirata allaconservazione dell’apparato musivo, a stucco e lapideodel prezioso interno, dove dalla prima età cristiana an-cora oggi si officia il battesimo.

Antonella Ranaldi

Soprintendente per i Beni Architettonici ePaesaggistici

di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini

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NOTE1 Ultimi lavori al battistero estesi a circa 35 mq di su-

perficie decorata, perizia n. 1310 del 18/11/2004,conclusi nel 2007: soprintendente arch. Anna MariaIannucci; responsabile del procedimento arch. Emi-lio Roberto Agostinelli; direttore dei lavori e pro-gettista dott.ssa Cetty Muscolino; collaboratore allaprogettazione geom. Maria Pia Viselli; direttoreoperativo geom. Danilo Pantieri. Per gli interventiprecedenti, in questo volume C. MUSCOLINO, Re-stauri passati.

2 Cetty Muscolino, funzionario storico dell’arte dellaSoprintendenza di Ravenna, direttore dei lavori direstauro terminati nel 2007 (perizia n. 1310 del18/11/2004); Claudia Tedeschi, restauratrice e do-cente presso la Scuola per il Restauro del Mosaicodella Soprintendenza; Marco Verità, chimico dellaStazione Sperimentale del Vetro con sede a Murano(Venezia); Giorgio Torraca, docente di Tecnologiadei Materiali e Chimica Applicata - Università diRoma “La Sapienza”; Roberto Boddi, capotecnicodel Settore di Climatologia e Conservazione Pre-ventiva - Opificio delle Pietre Dure di Firenze;Giancarlo Grillini per le analisi mineralogiche e pe-trografiche; Antonella Tucci per le analisi stratigra-fiche di finiture cromatiche ed architettoniche;Marco Orlandi per i Sistemi Informativi della do-cumentazione digitale.

3 IANNUCCI 1984; IANNUCCI 1985; IANNUCCI 1993;IANNUCCI, SANTOPUOLI, SECCIA 1997; IANNUCCI,SANTOPUOLI, SECCIA 1998; SOPRINTENDENZA 1997;AGOSTINELLI 1999.

4 “contro questi asini […] che deturpano i nostri mo-numenti”, Ravenna, Biblioteca Classense, Carteg-gio Ricci, vol. 80, Corrispondenti, n. 15445, 15agosto 1888; cfr. NOVARA 2004, pp. 80-82, e in que-sto volume A. RANALDI, Novitati cede vetustas.

Note sulla forma architettonica e costruttiva.5 NOVARA 2004, p. 82.6 Regio Decreto n. 496 del 2 dicembre 1897, pubbli-

cato sulla G.U. n. 287 dell’11 dicembre 1897.7 GEROLA 1917.8 Su questo aspetto RANALDI 2011.9 Ravenna. Otto monumenti… 2007, riedito nel 2010.10 KRAUTHEIMER 1986, p. 205. Per il battistero in par-

ticolare DEICHMANN 1974, pp. 17-47.11 Nota del 25 febbraio 1936 prot. 629, richiesta di au-

torizzazioni per sopralluoghi, Ravenna, Soprinten-denza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per leprovince di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini,Archivio Storico, d’ora in poi citato ASRa.

12 Relazione sullo stato di conservazione dei mosaicidi Giustiniano e Teodora in S. Vitale a Ravenna, re-datta da Cesare Brandi, a seguito del sopraluogo del4 giugno 1936, ASRa, Ra 31/244, trasmessa alla Di-rezione Generale delle Antichità e Belle Arti il 15giugno 1936, insieme ad un’altra relazione sul bat-tistero Neoniano, richiamata nella nota della So-printendenza di Bologna del 5 ottobre 1936 prot.3675, ASRa, Ra 44/328.

13 IANNUCCI (a cura di) 1992; MUSCOLINO 1997.14 IANNUCCI 1984.15 Vedi sopra nota 3.16 DE ANGELIS D’OSSAT 1941; DE ANGELIS D’OSSAT

1962.17 Campionature e analisi eseguite da Giancarlo

Grillini e Antonella Tucci.18 In questo volume C. MUSCOLINO, Restauri passati.19 Sulla necessità di interventi di puntuale controllo

del contesto, invece che sull’opera in sé, come in-dirizzo metodologico e in particolare per gli affre-schi del Cenacolo, CECCHI 2006, pp. 21-55.

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Il battistero si colloca isolato accanto al lato nord dellacattedrale. Superata l’ipotesi di Corrado Ricci che ri-tenne si trattasse di un edificio termale poi adattato afonte battesimale1, la maggior parte degli studiosi rife-riscono l’originario impianto come coevo alla realiz-zazione della stessa cattedrale dedicata all’Anastasisdal vescovo Orso. In assenza di fonti certe, non c’è con-cordanza invece nel datare il vescovato di Orso2: ante opost il 402, data che segna il passaggio da Ravenna cittàdi provincia dipendente dal porto di Classe, a Ravennacapitale imperiale con Onorio, Valentiniano III e GallaPlacidia, inoltre sede vescovile, elevata al rango me-tropolitano da Sisto III nel 433.Il battistero fu poi rinnovato dal vescovo Neone (458-477 circa), il cui nome si lega alla renovatio ricordatanell’iscrizione, trascritta da Andrea Agnello intorno allametà del IX secolo, quando doveva trovarsi ancora alsuo posto3. In essa le parole novitati cede vetustas, cediil vecchio al nuovo, stimolano a rintracciare gli ele-menti di novità nella genesi formativa dell’edificio bat-tesimale, nei suoi esiti costruttivi e nella varietà degliornamenti interni lapidei e musivi, in massima parte dariferirsi al vescovo Neone, ad eccezione degli stucchi ac-canto alle finestre che come si vedrà sono anteriori. Aquanto già esplorato e argomentato4, si aggiungononuovi elementi utili a delineare la dibattuta sequenzadelle fasi costruttive, dalla realizzazione alla renovationeoniana, sulla base degli esiti rilevati negli ultimi lavoridel 2006-2007. In questa operazione si privilegeranno leacquisizioni dovute alle indagini sul monumento e aicontributi conoscitivi della Soprintendenza di Ravenna,ripercorrendone quindi studi e ricerche sulla scorta delprezioso materiale documentario conservato presso lanostra sede5. Ancora prima, nella seconda metà dell’Ottocento, i la-vori erano stati condotti dal Reale Genio Civile, sottola guida di Filippo Lanciani fino al 1883 e poi di Ales-sandro Ranuzzi fino al 1897. L’ingegnere Filippo Lan-ciani, fratello maggiore del più noto archeologoRodolfo Lanciani, sebbene sia stato molto criticato per

i suoi arditi progetti di rialzamento6, si avvicinò al mo-numento con scrupolo che può già dirsi archeologico.Alle sue prime esplorazioni si deve la scoperta delpiano originario, a circa tre metri sotto il livello attuale,e il rinvenimento nel 1864 delle fondazioni delle duenicchie scomparse, che subito dopo nel 1866 venneroquindi ricostruite (nicchie sud-ovest e sud-est)7. Esseinsistono agli angoli alle due estremità del lato dove siapre l’ingresso, orientato a sud verso la cattedrale. Sierano invece conservate le altre due nicchie sugli an-goli nord-ovest e nord-est, documentate già da Ciam-pini alla fine del XVII secolo e nelle piante successive(fig. 1b). Le nicchie superstiti si trovavano inglobatenell’edificio addossato sul lato nord dell’antico batti-stero, che ne includeva i cinque lati fino a sopra le fi-nestre; rimanevano invece liberi i solo tre lati orientatia sud verso la cattedrale. Nel 1869 si riportarono allaforma arcuata le finestre rettangolari che insistono nellaparte mediana e nel 1878, demolita la casa del parrocoe i magazzini addossati da una parte e dall’altra del bat-tistero, si pervenne al suo completo isolamento (in que-sto volume, p. 20, figg. 1a, 1b, 1c, 1d).Le ricerche di Lanciani si estesero anche alle imme-diate adiacenze senza dare dati certi circa l’eventualepresenza di portici esterni anche di collegamento con lacattedrale8. Quelle prime indagini portarono ad un’ideapiù definita del volume basamentale che, contraria-mente a quanto doveva essere in origine, si percepisceoggi molto affossato, a seguito dei successivi rialza-menti della quota pavimentale, nella complessa strati-grafia antica, medioevale e cinquecentesca9.Prima ancora di formulare la sua ambiziosa propostadi rialzamento, Lanciani aveva presentato nel 1874 unprogetto di liberazione e di scavo intorno al battistero,documentato in un bel disegno a colori, provenientedall’Archivio Arcivescovile, acquisito dalla Soprinten-denza nel 1984 (fig. 2a)10. Il disegno rappresenta sottoil piano pavimentale le murature che ne alzavano il li-vello originario, meglio documentate anche in un altrorilievo di Lanciani a cui si accompagna la restituzione

Novitati cede vetustas.Note sulla forma architettonica e costruttiva

Antonella Ranaldi

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del monumento alla sua quota originaria, al di sotto ditre metri (fig. 2b)11. A questa prima elaborazione gra-fica ne seguirono altre12, pubblicate in questo volumeinsieme alla pianta e all’alzato del Carteggio Ricci13

(fig. 2c; vedi oltre p. 75, fig. 2, p. 97, fig. 6). Lanciani si soffermò con attenzione anche sui partico-lari interni, ritrovando i piedistalli e una base delle co-lonne originarie dell’ordine inferiore14; notò ildisassamento delle colonnine superiori che venneroraddrizzate. Completamente negativi sono i suoi giu-dizi sugli stucchi, ma densi di acute osservazioni dalvivo, su cui si avrà modo di tornare15. All’interno del battistero si percepisce la forma otta-gonale nelle otto arcate al primo ordine, a ritmo alter-nato cieche e aperte con nicchie semicircolariestradossate. Sui quattro lati rettilinei si aprivano al-trettanti ingressi orientati secondo gli assi cardinali, cherendevano estremamente permeabile l’interno conl’esterno, secondo usi liturgici propri da ricercarsi nelcomplesso rituale battesimale. L’innesto delle absidisemicircolari sui quattro lati obliqui dell’ottagono de-linea all’esterno il perimetro quadrato ad angoli arro-tondati di circa dodici metri per lato dalla base finoall’altezza del primo ordine, da cui emerge libero il vo-lume ottagonale per la restante altezza (figg. 3a-b-c-d).È da dirsi anche che l’attuale configurazione risente diquesti primi restauri. Nelle piante anteriori le due absidisono rappresentate arretrate rispetto agli spigoli del-l’ottagono (fig. 1b). Ma potrebbe anche essere che talipiante fossero derivate da un unico esemplare, tanto piùche le absidi superstiti non erano visibili all’esterno edè probabile quindi che se ne sia fraintesa l’esatta plani-metria. Non c’è ragione di credere infatti che la rico-struzione di Lanciani fosse così approssimativa da nontenere conto della consistenza delle murature superstitie a maggior ragione è difficile che restaurando le absidisopravvissute, una volta demoliti gli edifici addossati,ne abbia modificato l’attacco al muro perimetrale. Larisega che rendeva leggibili gli spigoli dell’ottagono ècomunque accennata anche nella pianta eseguita dal-l’architetto Maioli nel 1904 (fig. 1c)16.I successivi restauri di Alessandro Ranuzzi sulle mura-ture dei due nicchioni antichi proseguirono nel 1888,suscitando le critiche del ravennate Odoardo Gardella.In una sua lettera del 15 agosto 1888 si rivolge all’amicoCorrado Ricci, evidenziando, a proposito di quei lavori,la pratica da parte dei restauratori di correggere i difettidelle fabbriche antiche: “sempre o quasi sempre si ri-scontra nei monumenti dei primi secoli del cristiane-simo, unita a ben intesi e grandiosi concetti unaesecuzione bambina, rozza, trascurata e quasi bar-bara”17. Rileva un’inclinazione in pianta dei muri dellenicchie superstiti diversa da quella della fabbrica, percui “l’asse delle absidi non segue quella del tempio cuiappartiene, ma s’inclina alquanto da una parte”, maniente di più e nulla sull’attacco delle nicchie al muro.

ConfrontiCome è noto la forma ottagonale è connotativa dei bat-tisteri paleocristiani, da quello lateranense realizzato daCostantino e poi rinnovato da Sisto III (432-440), al bat-tistero milanese di San Giovanni in Fonte attribuito adAmbrogio ed al quale si lega la memoria dell’epigrafeche enuncia l’associazione simbolica e salvifica dellaforma ottagona all’edificio battesimale.Il battistero lateranense era ottagonale come quello mi-lanese, ma a differenza di quest’ultimo ha in comunecon il battistero dell’episcopio ravennate lo spessore esi-guo dei muri (0,70-0,80 m in quello lateranense; da 0,70a 1,00 m in quello ravennate); era inoltre, secondo re-centi ipotesi, coperto da una cupola in tubi fittili18.Il battistero milanese di San Giovanni in Fonte (demo-lito nel 1387 e riesumato nel 1961-1962) inaugurò untipo replicato in molti battisteri realizzati nel V secolonel nord Italia, con l’involucro esterno più basso peri-metrato da massicce masse murarie entro cui si apronole nicchie interne alternativamente semicircolari e ret-tangolari19, come nel battistero di Albenga in Liguria,che è quello meglio conservato, datato alla prima metàdel V secolo (fig. 4b)20. Dunque come già evidenziato daDeichmann21, il battistero della cattedrale ravennate sidifferenzia dal battistero milanese per tipologia e con-cezione costruttiva.Il battistero di San Giovanni in Fonte a Napoli, realiz-zato dal vescovo Severo (362-408) tra la fine del IV el’inizio del V secolo presenta l’aula cubica (addossataall’estremità delle navatelle al lato dell’abside della vi-cina cattedrale), su cui si innesta la cupola su un tam-buro grosso modo ottagonale. Il passaggio dalla formaquadrata dell’aula a quella ottagonale del tamburo è im-postato tagliando i lati del quadrato mediante voltine acuffia. L’interpolazione tra quadrato e ottagono apparequi in modo embrionale, raggiungendo invece a Ra-venna negli stessi anni un maggiore e più raffinato con-trollo delle geometrie e dei volumi che si innestanol’uno nell’altro. La forma quadrata ricorreva inoltre neibattisteri più antichi del IV secolo, nel battistero pre-ambrosiano di Santo Stefano alle Fonti a Milano e neiprimitivi battisteri di Aquileia e Treviri. Anche a Co-stantinopoli il battistero di Santa Sofia di età teodosiana(347-395) era quadrangolare con nicchie ricavate agliangoli. Il battistero di Aquileia sempre di età teodosianaera anch’esso quadrangolare, fu poi ricostruito dal ve-scovo Cromazio (388-407), di cui non è però del tuttocerta la cronologia, assumendo come il battistero di Ra-venna del vescovo Orso, quindi negli stessi anni o subitodopo, la forma a base quadrata e ottagonale, con le quat-tro nicchie agli angoli, di cui ne rimane solo una22.La pianta quadrata con inscritto l’ottagono si trovaanche in area milanese e nel più tardo battistero di RivaSan Vitale sul lago di Lugano, realizzato a base qua-drata a partire dalla fine del V secolo23. Aveva inoltre leporte su ogni lato (quella est chiusa subito dopo con

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l’addizione dell’abside) ed intorno un’area libera cir-condata da un portico quadrato. La sua volumetriaesterna rende meglio, rispetto al battistero Neoniano,lo sviluppo cubico del primo ordine, in quanto non hasubito l’interramento del battistero ravennate. Gli spi-goli del quadrato di base sono retti.Il battistero di Ravenna si distingue rispetto ai battisteriquadrangolari sopra richiamati, anche per gli angoli ar-rotondati con le nicchie estradossate, che rendono leg-gibile l’andamento curvilineo agli angoli sia all’internoche all’esterno, come nel successivo battistero degliAriani sempre a Ravenna (figg. 3c-d).Nel battistero di Novara, dell’inizio del V secolo, leotto nicchie, alternativamente semicircolari e rettango-lari, sono estradossate, a differenza del prototipo mila-nese (figg. 4a-b). Il battistero era inoltre in originesprovvisto della cupola, coperto semplicemente da unastruttura lignea. Tra l’esempio di Novara e quello ra-vennate di età orsiana si evidenzia una certa analogia;in entrambi, le nicchie sono leggibili all’esterno, ottonel primo, solo quattro nel secondo. Nello scomparsobattistero di Bologna, noto solo dai disegni rinasci-mentali24, la cui datazione può oscillare tra l’inizio e lametà del V secolo, se non addirittura anteriore in epocaambrosiana, quattro nicchie semicircolari, piccole epoco profonde, erano scavate nei muri rettilinei opposti,intervallati da quattro ingressi sugli altri lati (fig. 4c).Le colonne binate del peribolo interno potrebbero es-sere un’addizione medioevale o ricalcare quelle del bat-tistero lateranense nella versione rinnovata da Sisto III.Indicativamente si può riassumere che rispetto allaforma ottagonale, ricorrente nei battisteri posti isolatiaccanto alla cattedrale, si possono distinguere diversevarianti. Il battistero ravennate a base quadrata, similea quello di Aquileia in area altoadriatica, svolge il temadell’edificio isolato, privilegiando una soluzione inter-media tra il tipo a nicchie estradossate e quello mono-spaziale del battistero lateranense, prima degliinterventi sistini. Le quattro nicchie sui lati inclinatidell’ottagono creano una gerarchia tra gli assi diago-nali e i quattro assi degli ingressi orientati in direzionedei quattro punti cardinali, solo accennata nel battisterodi Bologna, generando all’esterno una solida forma cu-bica a spigoli arrotondati, da cui fuoriesce, dall’internoverso l’esterno, il volume ottagonale che si erge liberoin altezza, peculiare nello sviluppo spaziale dell’otta-gono inscritto nel quadrato.Ma trattandosi non di sole forme, bisognerà indagarel’aspetto costruttivo e strutturale, negli esiti percettivi espaziali che si completano nell’ornamento.

L’innalzamento della cupolaSi è descritta sinora la volumetria dell’alzato che risaleall’intervento vetus, pre-neoniano, coevo alla realizza-zione della prima cattedrale, quella del vescovo Orso,la cui cronologia, come si è detto appare tuttavia in-

certa, probabilmente da collocarsi non oltre il primodecennio del V secolo.Giuseppe Gerola, il successore di Corrado Ricci allaguida della Soprintendenza di Ravenna dal 1910 al1919, riferisce al vescovo Neone la realizzazione dellacupola in tubi fittili25. Esplorando il sottotetto, scoprìinfatti all’estradosso della cupola una cornice in stuccoche corre interna lungo i muri perimetrali, notandoanche alcune tracce delle coloriture rosse interne ante-riori e di quelle rosate sulla muratura esterna da rife-rirsi all’impianto originario. Distinse le muratureneoniane da quelle precedenti26 e l’ispessimento dellemurature tra le lesene superiori contestuali alla sopra-levazione e alla realizzazione della cupola (figg. 5a-b-c). Da questi elementi Gerola deduce che l’edificiopre-neoniano era concluso da un solaio piano in legnocon una copertura su capriate (fig. 3b). La ricostruzioneneoniana comportò quindi l’innalzamento della cupolaa doppio filare in tubi fittili spessa solo 25 cm27, coe-rente con l’esile spessore dei muri, dimensionati peruna copertura piana in legno (0,70-1,00 m). Inoltre siinnalzò il tiburio e alla sua base il muro venne aumen-tato in spessore riducendo da 35 a 10 cm l’aggetto dellelesene esterne (figg. 5b-c).Le scoperte di Gerola e la sua interpretazione furonoconfermate dalle esplorazioni compiute da Mario Maz-zotti nel 196028. Eugenio Russo29, in particolare ana-lizzando le murature, e Clementina Rizzardi30 inoltreattribuiscono al vescovo Neone anche la parte sommi-tale ad arcatelle binate intervallate da lesene all’esternodel tiburio.Anche in epoca romana ci sono esempi di edifici naticon soffitto piano, poi adattati e trasformati in edificivoltati. Ad esempio, la revisione operata da Massenzionei primi anni del IV secolo dell’interno delle celle deltempio di Venere e Roma31, coeva alla vicina basilicaterminata da Costantino, può essere significativa percomprendere la soluzione tecnologica maturata invecenel battistero Neoniano, le cui premesse sono da rin-tracciarsi nell’architettura paleocristiana di età costan-tiniana. Nelle celle del tempio di Venere e Roma, sifoderò l’interno con una spessa muraglia addossata aimuri in opera quadrata di età adrianea. E su questanuova struttura in opus caementicium e paramento in-terno in mattoni, si impostò la volta a botte a lacunari.Nella massa muraria delle nuove pareti erano ricavatele nicchie incorniciate da edicole con colonnine sumensole a sbalzo (fig. 4d). La decorazione architetto-nica era impostata già nella fase di realizzazione delleparti murarie, predisponendo in opera gli alloggiamentiper gli inserti lapidei delle mensole e dei conci di ar-chitrave delle edicole. Si lavorava con poderose massemurarie andando a modificare l’originario impianto tri-litico e arricchendo l’interno di una preziosa decora-zione architettonica in porfido e marmo bianco. L’orientamento cambia subito dopo, nelle grandi basi-

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liche cristiane di età costantiniana, quando si afferma lapreferenza a realizzare strutture più sottili coperte consolai piani e capriate, senza comunque abbandonare ilsistema voltato, riservato agli edifici centrici, come imausolei e i battisteri. Ad esempio, all’epoca già di Co-stantino nel battistero lateranense è stata ipotizzata lapresenza di una cupola leggera in tubi fittili impostatasu muri sottili, ed analoghe strutture coprivano il batti-stero dopo il suo rifacimento ad opera di Sisto III, chetrasformò la struttura monospaziale originaria, in una adoppio involucro con peribolo interno a colonne.Gli studiosi che si sono occupati del battistero metro-politano di Ravenna hanno a lungo dibattuto la que-stione dell’entità dell’intervento del vescovo Neone, inrapporto allo stato anteriore. Con la cupola si è affac-ciata l’ipotesi che anche gli ordini di archeggiature apartire da quello inferiore addossati all’interno dellamuratura perimetrale fossero tra loro coevi, contestualialla realizzazione della cupola in epoca neoniana32. Ri-prendendo le osservazioni sia di Giuseppe Gerola chedi Anna Maria Iannucci33, tale ipotesi è stata esclusasulla base di alcune considerazioni di carattere costrut-tivo riportate da Corrado Ricci negli appunti e in unoschizzo presi nel maggio del 1905 (fig. 6a)34. In quel-l’anno erano ancora in corso i restauri musivi diretti daCorrado Ricci, a cui lavoravano Giuseppe Zampiga eAlessandro Azzaroni, e soprattutto si lavorava alla ri-collocazione delle tarsie marmoree entro le arcate delprimo ordine, ad opera dell’Opificio delle Pietre Duredi Firenze. L’autore dell’appunto, si riconosce dallagrafia, è Corrado Ricci che nel mese di maggio di quel-l’anno sostò diverse volte a Ravenna, avendo quindi oc-casione di vedere sul posto i lavori35. Ricci si soffermasul sistema di ancoraggio degli archi al primo ordinerispetto alla muratura retrostante. Da quelle osserva-zioni si deduce che prima si costruì il muro esternospesso 70 cm e in esso si creò appositamente l’allog-giamento delle arcate. Esse sporgono all’intradosso 40cm e si incuneano per 15 cm in profondità nella mura-tura retrostante, che secondo quanto riferisce Ricci nonpresenta tracce di scasso bensì ha l’estradosso liscio.Una foto scattata al vivo della muratura durante i re-stauri post-bellici che interessarono alcune porzioni dimosaico della cupola e delle arcate al primo ordine36,sembra confermare quanto osservato da Ricci (fig. 6b).Sicuramente il muro retrostante servì da centina inopera per l’arcata superiore; tra il muro retrostante el’intradosso dell’arcata è steso uno strato di malta; manon appare così palese che l’alloggiamento sia statocreato in opera e non in breccia. Su questo punto fon-damentale su cui si fonda la prova della contempora-neità delle due strutture, seppure realizzate in due tempidiversi, Ricci riferisce, esaminando sul posto la strut-tura, che l’estradosso è liscio ed è formato da mattoniintatti37. Le otto arcate al primo ordine38 quindi appartengono alla

realizzazione anteriore pre-neoniana; sopra di esse, sul-l’aggetto di 50 cm rispetto al muro di fondo spesso 60cm, dove si aprono le finestre, sono appoggiate le co-lonnine delle trifore, con arcate sporgenti all’intradosso40 cm, più grandi quelle centrali, che corrispondono allefinestre, più piccole le due laterali (fig. 10a). Da qui, se-condo le deduzioni di Gerola, proseguiva il muro drittodi cui scorse le tracce di coloriture rosse ad affresco nellaparte protetta sopra all’imposta della cupola.A queste informazioni se ne aggiungono altre rilevatenel corso dei recenti lavori della Soprintendenza (2006-2007). In particolare in una delle lunette delle trifore(in questo volume Claudia Tedeschi; scheda p. X, fig.9, lunetta 2), si è visto nel sottarco decorato a rosette uninterstizio con la muratura di fondo, dove si apre la fi-nestra, che lascia vedere sotto una coloritura rossa adaffresco (ocra rossa legata a carbonato di calcio), ana-loga a quella notata da Gerola nella parte superiore, dicui bisognerebbe verificarne la complanarità (fig. 4d).Ne risulta che gli archi e la lunetta delle trifore sonosemplicemente addossati alla muratura sottostante, chein aderenza appare di colore rosso vivo. Non apparten-gono quindi all’impianto originario ma le trifore furonoaggiunte nel rinnovamento di Neone, insieme alle ar-cate superiori. Tra queste insistono i pennacchi an-ch’essi in tubi fittili39, come la cupola (fig. 8a). Learcate si impostano sulle colonnine, agli angoli del-l’ottagono; al pulvino del capitello si appoggia la men-sola sporgente, incastrata nella muratura sottostantedelle lunette delle trifore. All’intervento della metà delV secolo, ai tempi del vescovo Neone, si riferisce lacupola impostata sugli otto pennacchi delle arcate su-periori, nonché l’articolazione del secondo ordine conle colonnine, le arcate e le lunette delle trifore. Dietro alle colonnine corre una decorazione a stucco,realizzata con tecnica mista a rilievo e a pittura, la cuidatazione ha sollevato diversissime ipotesi40. Vi sonoraffigurate prospetticamente edicole a baldacchino. Neitimpani alternati curvilinei e angolati, si trovano con-chiglie rovesciate e dritte. Filippo Lanciani che indagòil monumento centimetro per centimetro, seguito daaltri appassionati delle questioni insolute del Neoniano,nella sua memoria sul Battistero si sofferma con evi-dente curiosità sulle finte architetture in stucco tra le fi-nestre con analitiche osservazioni che vale la penariportare perché danno bene l’idea della struttura ar-chitettonica delle “edicole plastiche”, rese prospettica-mente:“Chi però bene osservi le pareti su cui si veggono co-siffatti stucchi rileverà facilmente qua e là tracce digraffiti che rappresentano colonnine o pilastrini, i qualiformano il compimento delle interne edicole plastiche.Per essere più chiari diciamo che quegli stucchi presiinsieme rappresentano prospetticamente una edicolacon quattro colonnine due anteriori e due posteriori sor-reggenti ora un timpano, ora un volto e che le diverse

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edicole di stucco corrispondono alle due colonnine, opilastri che sieno, posteriori ed interiore della interaprospettiva”41. I pilastrini in primo piano sono semplicemente incisi apunta dura, quelli in secondo piano sono a rilievo. Piùverosimilmente, alle incisioni corrispondevano analo-ghi pilastrini a stucco, che furono tolti quando conNeone si aggiunsero le colonnine di recupero che sor-reggono le arcate delle trifore. Il fondo con le finestreintervallate dalla coppie di baldacchini, o “edicole pla-stiche” del registro superiore, appartengono quindi allafase del battistero dell’inizio del V secolo. La serie deibaldacchini si vedeva continua, non vi erano infattifrapposte le colonnine aggiunte più tardi da Neone.Correva con le finestre l’alternanza dei timpani e degliarchi, rimarcati da plastiche conchiglie, separati da pi-lastrini binati, di cui si vede la traccia dell’incisionedietro alle colonnine (fig. 10). Si possono a questo punto meglio delineare le fasi co-struttive e l’evoluzione del battistero, dalla prima rea-lizzazione, di cui l’iscrizione non fa il nome, allarenovatio neoniana “ecco risplende la gloria del rinno-vato Fonte poiché il sommo e magnanimo sacerdoteNeone l’ornò, tutto accordando al glorioso culto”42, chesi svolge in un arco di tempo in fondo breve di circacinquant’anni, ma denso di avvenimenti per Ravenna. Dapprima, circa all’inizio del V secolo, si realizzò l’in-volucro murario e spaziale, più basso di quello attuale.In questa fase fu predisposto in opera l’alloggiamentodelle arcate al primo ordine e realizzate le quattro ab-sidiole di rinfianco; quindi, già si costruirono le mura-ture delle arcate, simili a quelle nel battistero diAlberga, con le colonne distaccate dal muro (quelle at-tuali sono successive). Si elevò il muro lungo il peri-metro ottagonale (più esile di quello sottostante di ca10 cm). Quindi si chiuse con il tetto. Al coperto si con-tinuò a lavorare agli ornamenti interni. Le dritte paretiverticali, furono decorate tra le finestre con una fasciacontinua a stucco e nella parte superiore ad affresco. Ilfondo doveva essere di colore rosso vivo, ritrovato inpiù punti da Gerola e nelle ultime indagini, sotto le ar-cate e le lunette delle trifore. Forse si accompagnava adecorazioni che imitavano marmi preziosi, in accordocon le tarsie della parte bassa43. Seguì il rinnovamento di Neone. Si sopraelevarono imuri e s’ispessirono le pareti all’interno con una con-trofodera aerea al secondo ordine, impostata sulle ar-cate sottostanti. Su quest’ultime l’intervento forse silimitò all’apparato musivo a girali acantiformi, ispiratodal Mausoleo di Galla Placidia. Proseguendo al se-condo ordine, davanti alle decorazioni a stucco, si po-sero le colonnine di recupero mantenute distanti dalmuro, su cui si impostarono le arcate e le lunette in mu-ratura, creando una finta loggia di trifore. Sulle men-sole, sopra i pulvini delle colonnine, si innalzò lacupola, realizzando il passaggio da una copertura piana

ad una voltata dalla ricercata tecnologia in tubi fittiliallettati in malta di calce e gesso di più rapida presa. Come rilevato da Corrado Capezzuoli, soprintendentedal 1939 al 1952, la parte sommitale della cupola èchiusa da un disco di circa 2 m di diametro realizzatonon in tubi fittili ma in muratura alleggerita in pietrapomice vesuviana, come nelle fabbriche romane,quindi non di provenienza locale ma fatta venire appo-sitamente da fuori (figg. 8a, 8b)44. Sempre in tubi fittiliera stato realizzato il catino absidale della cattedrale(407 ca.), come riferisce Buonamici nel XVIII secolo,all’epoca del suo abbattimento45. Cupole leggere rea-lizzate in tubi fittili con funzione strutturale si trovanooltre che nel battistero Neoniano, in San Vittore in cield’oro a Milano, nel distrutto oratorio della Santa Crocepresso il battistero lateranense e naturalmente, più tardi,in San Vitale. Diversamente, nella cupolina su pennac-chi che copre il mausoleo di Galla Placidia, realizzatain mattoni negli ultimi due decenni della prima metàdel V secolo, si impiegarono anfore in terracotta impi-late tra loro, poste all’estradosso della volta come ap-poggio del manto di copertura in coppi ed embrici,come le rappresenta Alessandro Azzaroni (fig. 8c)46.Non assolvevano quindi ad una funzione portante. An-fore usate all’estradosso nei rinfianchi si trovavanoanche nel sacello di Sant’Aquilino47 e in quello di San-t’Ippolito annessi al San Lorenzo di Milano e nel bat-tistero di Alberga. L’evoluzione tecnologica dellacupola in tubi fittili del Neoniano giungerà poi alla suapiena espressione nella più ampia cupola di San Vitale(16 m ca.) della metà del VI secolo, interamente a filariin tubi fittili, anche in sommità (fig. 8b)48.A differenza dei sistemi costruttivi romani delle cupolemassive realizzate in sicurezza con esubero di mate-riale, sebbene sapientemente dosato nella gradazionedegli spessori e dei materiali e nel trattamento plasticodei cassettonati all’intradosso, l’adozione diffusasi aRoma e in area padana e milanese delle cupole in tubifittili permise nelle costruzioni paleocristiane di realiz-zare muri in alzato più esili, con l’effetto di meglio rap-portare tra loro la configurazione interna alla volumetriaesterna. Sia nel mausoleo di Galla Placidia che nel bat-tistero Neoniano è inoltre impostato il tema della cu-pola su pennacchi, rispettivamente su base quadrata edottagonale. I pennacchi sono continui con la cupola so-prastante e ne fanno parte integrante. Nel mausoleosono in mattoni come la cupoletta, nel Neoniano eranoin tubi fittili. Nel battistero di Albenga, il passaggio allacupola è mediato dal raddoppiamento del numero deilati dell’ottagono di base, per cui al primo ordine di ottoarcate si sovrappone il tamburo con sedici arcate rile-vate su pilastrini che aggettano su mensole. Ripercor-rendo la particolare storia costruttiva del battisterometropolitano di Ravenna, si pervenne alla soluzionedella cupola su otto pennacchi adattando le strutturepreesistenti con l’addizione delle arcate a sbalzo al se-

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condo ordine e delle trifore. Il tema è di fondamentaleimportanza nei suoi sviluppi successivi, se si pensaanche che tradizionalmente viene riferita alla metà delVI secolo in Santa Sofia a Costantinopoli l’introduzionedel sistema cupola su pennacchi. All’ardita soluzione sipervenne a seguito del crollo dell’originaria volta a vela,su cui quindi sarebbe stata impostata la cupola emisfe-rica utilizzando le strutture già in opera con funzione dipennacchi sferici. Si trattò di un notevolissimo passo inavanti nella tecnica costruttiva dell’età giustinianea, mal’esperienza precedente già volgeva in questa dire-zione49, sperimentata su dimensioni più esigue, con so-luzioni diversificate nei sistemi di raccordo detti a cuffiae a pennacchi continui, a cui si lega anche la sopraele-vazione del tiburio e della copertura a capriate superioreche proteggeva l’estradosso delle cupole, in questomodo interiorizzate nelle strutture murarie esterne.

La decorazione internaDominano lo spazio interno i preziosi e brillanti coloridei mosaici della cupola50 e dei rivestimenti in tarsiemarmoree entro le arcate cieche al primo ordine51. Eranocolorati anche gli stucchi del secondo registro delle ar-cate e delle edicole ornamentali, come documentano leindagini illustrate in questo volume (figg. 7a-b).Nella decorazione interna si assiste ad un processo diriduzione delle forme rilevate degli apparati architetto-nici, che permangono confinate nei trattamenti a stuccodelle edicole plastiche, tra le finestre, anteriori alla faseneoniana, in una versione schiacciata e densa di orna-menti, con tecniche miste pittoriche e a rilievo. La riduzione del trattamento plastico nella decorazionequindi spianò la strada ai mosaici parietali estesi su in-tere superfici, in particolare su quelle sferiche in sosti-tuzione dei plastici cassettonati, come a Roma in etàcostantiniana nella cupola del mausoleo di Costantina enell’abside di Santa Pudenziana (fine IV-inizio V se-colo), a Milano agli inizi del V secolo in San Lorenzo enell’annesso mausoleo (sacello di Sant’Aquilino) e aRavenna negli anni di Galla Placidia nell’abside di SanGiovanni Evangelista e nel mausoleo-sacello accanto aSanta Croce. Nel mausoleo di Galla Placidia le fasce amosaico decorate con greche e motivi geometrici e na-turalistici, ispirati ai tessuti e ai pavimenti, sottolineanogli archi, le lunette, gli archivolti, in luogo delle tradi-zionali cornici classiche. Le pareti sono rivestite in la-stre di marmo e interamente a mosaico dall’impostadelle volte fino alla cupola stellata.Le fasce con le figure roteanti della cupola del Neonianointegrano il cerchio con l’ottagono in un effetto dina-mico che procede in forme concentriche, l’una la-

sciando il passo all’altra, srotolando la rappresentazionesacra in uno spazio dilatato che progressivamente si re-stringe, esaltandone la visione prospettica. Il quadratoalla base fissa a terra la costruzione. All’interno corri-sponde al primo ordine di arcate, da cui si eleva l’otta-gono traforato dalle ampie finestre e dallearcheggiature tripartite. Sopra i pennacchi, ricavati trale arcate al secondo ordine, si innalza la semisfera dellacupola (fig. 9a).Le finte architetture musive, con portico a colonne edesedre, alla base della cupola, aprono lo sfondo a pae-saggi di giardini, dilatando lo spazio in una dimensioneesteriore, resa inquietante dall’assenza di figure umane,i troni sono vuoti, i libri aperti su pagine che non pos-siamo leggere. Sopra di esse, ma potrebbe anche esseredentro quell’architettura, si muovono, racchiuse nellagrande rota al centro, le figure degli apostoli, cadenzateda candelabri vegetali e dai drappi della corona supe-riore, in una danza che, pur nella ripetitività dei gesti edelle pose, imprime all’intera costruzione un movi-mento rotatorio. Resta vano ogni tentativo di cercarecon lo sguardo qualsiasi tipo di allineamento verticale,che ne avrebbe del resto bloccato il senso della rota-zione. Gli apostoli girano in cerchio intorno al batte-simo di Cristo sulla sommità della cupola52, a cuicorrisponde in proiezione a terra la fonte battesimalecentrale. Si realizza la compenetrazione tra forma ar-chitettonica, che si mostra all’esterno come puro vo-lume, e decorazione musiva all’interno, creandosuccessivi innesti di forme concentriche, dal quadrato,all’ottagono al cerchio, come un cannocchiale o un ca-leidoscopio che stupisce per la brillantezza delle tesseredalle variatissime gamme di colore.In questo monumento che è sicuramente quello meglioconservato tra i battisteri paleocristiani, la percezione èottica e il rapporto dei mosaici con l’architettura è spa-ziale. Se ne comprende l’empatia del puro visibilismo diRiegl e della scuola viennese che ha contribuito a me-glio apprezzarne l’espressività artistica secondo nuovimetodi di lettura, in modo da superarne l’idea di artedella “decadenza”, quanto mai lontana dalla volontà ar-tistica che trova espressione originale a Ravenna nel-l’imminente epilogo dell’impero d’Occidente.Rispetto agli anni in cui si compie la rivalutazione del-l’arte tardo antica, già prima dalla metà dell’Ottocentosi erano avviati importanti restauri, che peccarono peròdi affrettati giudizi sugli stucchi interni delle finte edi-cole, “barocchissime” secondo Filippo Lanciani53. Conla nascita della Soprintendenza di Ravenna si diedenuovo impulso alla conoscenza nella sua sostanza ma-teriale, nell’impegno verso la conservazione.

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NOTE

1 RICCI 1888-1889.2 Favorevoli a collocare il vescovato di Orso alla fine del

IV secolo, fissandone la data di morte al 396, STEIN 1919,pp. 40-71; DEICHMANN 1974, p. 3; DEICHMANN 1989, pp.169-170; RUSSO 2001, pp. 892-914; RUSSO 2005, pp. 89-229, in particolare p. 89. Diversamente, datano il vesco-vato di Orso ai primi decenni del V secolo, CASALONE

1959, p. 204; PICARD 1988; tra il 399 e il 426 secondoORIOLI 1997, pp. 191-196; tra il 405 e il 431 secondoMAUSKOPF DELIYANNIS 2006, pp. 99 e ss.; cfr. NOVARA

1997, pp. 49 e ss., e per ultima JAGGI 2010, I, pp. 146-189, in particolare p. 150.

3 Cede vetus nomen, novitati cede vetustas / pulcris eccenitet renovati gloria fontis / magnanimus huc namqueNeo summus / sacerdos excoluit, pulcro componensomnia cultu che Corrado Ricci così tradusse “Ceda ilnome antico, il vecchio ceda al nuovo; meglio ecco ri-splende la gloria del rinnovato Fonte poiché il sommo emagnanimo sacerdote Neone l’ornò, tutto accordando alglorioso culto”, RICCI 1888-1889; commenta il testo del-l’epigrafe, riferendo le varie ipotesi interpretative,GHEZZO 1962; inoltre per un inquadramento storico arti-stico dell’episcopato di Neone, RIZZARDI 1997, pp. 781-799.

4 In particolare GEROLA 1917; MAZZOTTI 1961; DEI-CHMANN 1974, pp. 25-26; TRINCI 1978; IANNUCCI 1984;IANNUCCI 1985; IANNUCCI 1993.

5 Ravenna, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Pae-saggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Ce-sena, Rimini, Archivio Disegni e Archivio Fotografico,d’ora in poi citati ADSRa e AFSRa. Cfr. IANNUCCI 1984;IANNUCCI 1985; IANNUCCI 1993; IANNUCCI, SANTOPUOLI,SECCIA 1997; IANNUCCI, SANTOPUOLI, SECCIA 1998; SO-PRINTENDENZA 1997; AGOSTINELLI 1999.

6 MAIURI 1999, pp. 93-113; MAIURI 2003, pp. 167-198.7 NOVARA 1996, pp. 561-570; VERNIA 2009, pp. 43-73, per

una ricognizione dei restauri e degli studi. 8 SANGIORGI 1900, pp. 138-139 afferma l’esistenza del por-

tico, sulla questione ritorna GHEZZO 1962, pp. 17-19.9 IANNUCCI 1984; IANNUCCI 1985.10 F. Lanciani ADSRa 9387, firmato e datato primo luglio

1874.11 ADSRa 9425, le quote furono aggiunte più tardi da Ales-

sandro Azzaroni.12 A. Ranuzzi ADSRa 8327, 8328, 10970 del 27 febbraio

1896; ADSRa 953 ad acquerello.13 Ravenna, Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, vol. 32,

all. 7, Battistero Neoniano, con scritte in francese.14 LANCIANI 1871; F. LANCIANI, Il Battistero Metropolitano

di Ravenna, relazione manoscritta del 29/2/1884, Roma,Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione GeneraleAntichità e Belle Arti, Ra 23/5/1884, riferisce di aver ri-trovato al livello più basso – 2,99 m i piedistalli delle co-lonne al primo ordine “delle quali colonne si rinvennealtresì una base e la si conserva tuttora entro il battistero”.

15 Ibidem16 ADSRa 9423; vedi anche DEICHMANN 1976, che rappre-

senta l’ipotesi del perimetro esterno ottagonale a spigolivivi con absidi non allineate ai lati contigui.

17 Ravenna, Biblioteca Classense, Carteggio Ricci, vol. 80,

Corrispondenti, n. 15445, 15 agosto 1888, in NOVARA

2004, pp. 80-82.18 BRANDT 2002, II, pp. 923-932; BRANDT 2006, pp. 221-

227; KINNEY 2010, I, pp. 54-97, in particolare pp. 74-75,evidenzia le analogie con il battistero Neoniano; cfr. inol-tre STORZ 1997, pp. 23-41.

19 DE ANGELIS D’OSSAT 1969, pp. 1-20.20 GANDOLFI, FRONDONI 2007, pp. 555-596; LUSUARDI

SIENA, SACCHI 2007, pp. 677-702.21 DEICHMANN 1974, pp. 25-26, rimanda per la forma otta-

gonale dei battisteri alle coste dell’Egeo. Ipotesi che nontrovava d’accordo R. Krautheimer; secondo RUSSO 2005,pp. 95-96, più significativo è il parallelo con l’impiantoottagonale del costantiniano battistero lateranense, ri-spetto al quale il battistero ravennate si differenzia perl’aggiunta delle quattro absidi semicircolari.

22 RIZZARDI 2006, pp. 277-301.23 Già nel VI secolo vi si aggiunse un’abside sporgente al-

l’esterno, CARDANI 1995.24 BUDRIESI 1997, pp. 20-29.25 GEROLA 1917.26 GEROLA 1917, p. 312: “la nuova muratura si differenzia

visibilmente dalla primitiva per l’impasto delle calci, inquanto che per la fabbrica più antica erasi usata una mi-nuta ghiaietta di mare, frammista a molte conchiglie,mentre per la seriore elevazione fu impiegata ghiaia difiume più grossolana a ciottolini multicolore”.

27 DE ANGELIS D’OSSAT 1941, pp. 241-252; riedito conqualche aggiunta, DE ANGELIS D’OSSAT, 1962, pp. 135-155; DE ANGELIS D’OSSAT 1946, riedito in DE ANGELIS

D’OSSAT 1982, pp. 244-260; BOVINI 1960, pp. 78-99;RUSSO 2003, pp. 121-223.

28 MAZZOTTI 1961, quindi favorevole a GEROLA 1917, con-futa le ipotesi di BETTINI 1950 e CASALONE 1959, che ri-tennero il battistero completo di cupola e archeggiaturesuperiori di epoca anteriore, attribuendo all’interventosuccessivo di Neone l’aggiunta delle arcate al primo or-dine.

29 RUSSO 2001; RUSSO 2005, pp. 101-102.30 RIZZARDI 1997, p. 789.31 RANALDI 1991, pp. 3-16.32 In particolare GHEZZO 1962, pp. 30-41, riassume le varie

ipotesi e conclude nel riferire alla restauratio neonianasia la cupola che i due ordini di arcate con i quali si fo-derò l’interno.

33 IANNUCCI 1985.34 ADSRa 9271, battistero maggio 1905; MAZZOTTI 1961,

pp. 268-269; IANNUCCI 1985, p. 82 e fig. 4.35 Ricci nel mese di maggio del 1905 era a Ravenna il 2-3,

dal 15 al 20 e dal 22 al 29, e sicuramente in quei giornifece un sopralluogo al battistero. Esiste infatti un’altranota da lui firmata in data 24 maggio, Ravenna, Biblio-teca Classense, Carteggio Monumenti, lettera 201, mala-copia di una lettera da inviare al Ministero, in cui segnalail ritrovamento di un frammento di epigrafe nella mura-tura del battistero rinvenuto durante i lavori di restauro.Si ringrazia Paola Novara per questa informazione.

36 AFSRa 6I40, ritrae le arcate inferiori durante i restauripost-bellici compiuti dalla Cooperativa dei Mosaicisti diRavenna nel 1947, dove ca. 5 mq di mosaico furono di-

18

staccati e ricollocati in sito; anche nella cupola si ese-guirono analoghi lavori su ca. 49 mq di superficie mu-siva (zona degli apostoli), che a seguito delle vibrazionisubite nei bombardamenti del 1944 erano malfermi e ri-schiavano di cadere, ASRa Ra 17/108 e 17/109.

37 ADSRa 9271: “Gli archi A adorni di musaico penetranonel muro per 15 centimetri e furono fatti dopo costruttoil muro ottangolare in cui s’incuneano (C). Ciò è evidenteperché la curva B-B ha estradosso liscio e formato damattoni intatti, mentre è chiaro che sarebbero spezzatiquando si fosse fatto posto dopo all’arco A. Invece ilmuro fu eseguito in modo da servire da centina”.

38 In epoca medioevale furono sostituite le colonne con altrepiù piccole di reimpiego con capitelli di ordine corinzioe composito, di varia provenienza e cronologia fra il II eil IV secolo. Quattro di essi, fatto molto raro, hanno cin-que volute, due delle quali accostate lungo uno degli an-goli, F. LANCIANI, Il Battistero Metropolitano di Ravenna,relazione manoscritta del 29/2/1884, Roma, Ministerodella Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità eBelle Arti, Ra 23/5/1884; NOVARA 2001, p. 6.

39 In parte ricostruiti in mattoni nel 1860, GEROLA 1917, p.318; anche IANNUCCI 1985, p. 82, ha potuto vedere che gliarchi dei pennacchi sono in tubi fittili. L’osservazione èconfermata dalle fotografie dei restauri post bellici del1947.

40 Secondo MAZZOTTI 1961, p. 272, potrebbero essere po-steriori all’età di Neone e riferisce che anche i fusti dellecolonne erano coperti da decorazioni a stucco, rimossenel Settecento; CASALONE 1959 li data all’età di Massi-miano; IANNUCCI 1984, propende invece per una data-zione anteriore quindi ursiana, insieme a GHEZZO 1962,pp. 45-46, che sottolinea sulla base delle testimonianze diAgnello che anche nella vicina cattedrale dell’età di Orsodovevano esserci decorazioni a stucco.

41 F. LANCIANI, Il Battistero Metropolitano di Ravenna, re-lazione manoscritta del 29/2/1884, Roma, Ministero dellaPubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e BelleArti, Ra 23/5/1884, prelude la serie di osservazioni che sisono sopra riportate per affermare la posteriorità deglistucchi. Secondo Lanciani le figure a rilievo erano ag-

giunte posticce da rimuovere, la decorazione più anticainvece doveva essere solo a graffito.

42 Vedi sopra nota 3.43 In questo volume Claudia Tedeschi, La tecnica costrut-

tiva, a cui si rimanda per le preziosissime osservazionisulle tracce di decorazioni a finto marmo che, pur rima-neggiate nel tempo, potevano essere in sintonia con le de-corazioni più antiche visibili nei sottarchi delle finestre eper le approfondite osservazioni sugli stucchi dipinti.

44 CAPEZZUOLI 1940; DE ANGELIS D’OSSAT 1941, giustificail cambiamento di materiale con la difficoltà a chiuderela parte alta in chiave con tubi fittili, DE ANGELIS D’OS-SAT 1962, pp. 146-152, spiega anche il sistema costruttivoauto-portante, che rendeva possibile voltare gli ambientisenza ricorrere alle centine di sostegno.

45 BUONAMICI 1748.46 Azzaroni ADSRa 9339, che a partire dagli anni di Cor-

rado Ricci collaborò assiduamente con la Soprinten-denza, rappresenta il tetto del mausoleo di GallaPlacidia, quando a cavallo del secolo fu ripristinato ilmanto “alla romana” in coppi e embrici, di cui rimaneval’impronta sul letto di malta del sottomanto.

47 CECCHI 1985, pp. 79-116, ipotizza in Sant’Aquilino unsistema a tubi fittili anche all’intradosso come delle ner-vature che servivano da centinatura e sostegno.

48 DE ANGELIS D’OSSAT 1941; DE ANGELIS D’OSSAT 1962,pp. 147-148.

49 DE ANGELIS D’OSSAT 1946; DE ANGELIS D’OSSAT 1982,pp. 255-256.

50 Si vedano in questo volume le osservazioni di Marco Ve-rità che individua due distinte forniture delle tessere, sullabase della composizione degli opacizzanti con antimo-niato o con fosfati, i primi usati in area romana, i secondiin area orientale.

51 Ritorna sulla posizione delle tarsie NOVARA 2000, pp.361-372; per i restauri compiuti dall’Opificio delle Pie-tre Dure, BERTELLI 1990.

52 Dal Vangelo secondo Matteo (28, 16-20), prima di salirein cielo, Gesù dà il mandato missionario agli apostoli (laChiesa) di fare discepoli tutti i popoli battezzandoli.

53 Che ne auspicava la rimozione, vedi sopra nota 41.

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1a. Battistero Neoniano (foto Paolo Bernabini).1b. Pianta del battistero Neoniano, da G.G. Ciampini, Vetera monumenta, 1690-1699. Le nicchie mancanti (sud-oveste sud-est) vennero poi ricostruite nel 1866.1c. Pianta disegnata dall’architetto Maioli il 15 gennaio 1904, ADSRa 9423.

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2a. Filippo Lanciani, progetto non eseguito di isolamento e scavo del battistero, disegno firmato e datato 1 luglio 1874,con la scala di progetto che scende al piano antico e l’ edificio addossato, poi demolito nel 1877-1879. Il disegno do-cumenta le esplorazioni di scavo che portarono al rinvenimento della quota originaria a - 2, 99 m, ADSRa 9387.

2b. Filippo Lanciani, restituzione alla quota originaria, disegno acquerellato, ADSRa 9425-2.2c. Sezione e pianta, con note in francese, Baptistère de Ravenna, plan et coupe restauris, è indicato poi il livello pri-mitivo, quello attuale e la linea d’imposta delle mensole da cui si innalzano i pennacchi della volta, Ravenna, Biblio-teca Classense, Carteggio Ricci, vol. 32, all. 7, Battistero Neoniano.

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3a. Prospetto esterno, AFSRa 461573b. Ipotesi del battistero originario (inizi V secolo), chiuso da un soffitto ligneo piano con copertura a capriate, e rial-zamento della metà del V secolo (vescovo Neone), ADSRa 9507. Secondo quanto osservato nel corso degli ultimi re-stauri (2006-2007, vedi in questo volume Claudia Tedeschi, pag. X, fig. 9), si deduce che le arcate e le lunette delletrifore furono aggiunte con la cupola.

3c-d. Piante al livello della base quadrata e dell’ottagono superiore, lucidi a china da Deichmann, ADSRa 9122, 9123.

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4a-b. Piante del battistero di Novara e del battistero di Albenga, da S. de Blaauw 2010.4c. Giuliano da Sangallo, battistero di Bologna, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Vat. Barb. Lat. 4424, f. 15v.

4d. Tempio di Venere e Roma, controfodera interna e la coeva decorazione architettonica (inizi IV secolo), predispo-sta in opera con le nicchie e gli alloggiamenti delle parti lapidee, da Ranaldi 1991.4e. Sezione della cupola a doppio filare in tubi fittili, AFSRa 5-C-44.

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5a-b-c. La cupola a doppio filare in tubi fittili, poco sopra l’imposta, si vede la cornice in stucco dell’originario batti-stero; i muri furono quindi sopraelevati alla metà del V secolo dal vescovo Neone, riducendo a 10 cm l’aggetto dellelesene, da Gerola 1917.

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6a. Schizzo di Corrado Ricci, maggio 1905, ancoraggio delle arcate al primo ordine alle murature perimetrali, realiz-zate in due tempi diversi nella medesima fase costruttiva (inizi V secolo), ADSRa 9271.

6b. Le arcate al primo ordine al vivo della muratura durante i lavori post bellici, AFSRa 6-I-40.

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7a-b. Particolare del sottarco della lunetta 2 di trifora al secondo ordine all’altezza delle finestre. Si vede in un inter-stizio che il muro sotto è decorato ad affresco di colore rosso. Le arcate delle trifore sono semplicemente addossate allamuratura sottostante, appartengono quindi alla fase neoniana.

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8a. La cupola in tubi fittili, AFSRa 6-I-29.

8c. Alessandro Azzaroni, copertura del Mausoleo di GallaPlacidia all’epoca dei lavori di rifacimento della cupola(1897-1901). Diversamente da quella del battistero Neo-niano, la cupola è realizzata in mattoni, all’estradossosono appoggiati i vasi in terracotta impilati tra loro e co-perti da uno strato di malta; vi si riconobbero le improntedelle tegole originarie, quindi il manto venne sostituito erealizzato in coppi ed embrici, ADSRa 9339.

8b. Sulla sommità della cupola cambia il materiale, daitubi fittili si passa a muratura alleggerita in pietra po-mice, AFSRa 6-A-17.

8d. Cupola di San Vitale, particolare dell’estradosso inchiave, integralmente in tubi fittili, AFSRa 1-G-10.

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9a. La decorazione musiva della cupola (foto Paolo Bernabini).

9b. Secondo registro. L’ipotesi qui formulata è che gli stucchi dietro alle colonnine rappresentavano prospetticamente,tra le finestre, coppie di edicole a baldacchino, che appartengono alla decorazione del battistero degli inizi del V se-colo. Le colonnine furono invece aggiunte da Neone alla metà del V secolo interrompendo la continuità del motivo de-corativo e architettonico. Dietro alle colonnine si vedono le incisioni dei pilastrini originariamente a rilievo.

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10a-b. Alla fase degli inizi del V secolo appartengono le arcate al primo ordine, seguivano in continuità con le fine-stre i baldacchini a stucco. Nella renovatio della metà del V secolo (Neone) furono aggiunte le colonnine, le arcate ele lunette della trifore, le arcate superiori e la cupola (foto Paolo Bernabini).

Indice

Carla Di Francesco????? p. 5

Antonella RanaldiUno sguardo al restauro. Presentazione del volume e uno scritto inedito di Cesare Brandi sul restauro musivo » 7

Prima parte

Antonella RanaldiNovitati cede vetustas. Note sulla forma architettonica e costruttiva » 11

Cetty MuscolinoGli apparati decorativi » 29

Claudia TedeschiLa tecnica costruttiva della cupola e i materiali utilizzati » 51

Marco Verità Tessere vitree del battistero Neoniano: tecniche e provenienza » 69

Cetty MuscolinoRestauri passati » 85

Lorenzo RussoIl disegno e la fotografia al servizio del monumento: piccola incursione negli archivi » 101

Seconda parte

Cetty MuscolinoRiflessioni sulla metodologia del restauro » 125

Marco VeritàDegrado delle tessere vitree del battistero Neoniano » 129

Claudia TedeschiLa conservazione del mosaico fra conoscenza e operatività: principali elementi fondanti la professione » 139

AppendiceLe malte originali, quelle di rifacimento e gli intonaciAnalisi mineralogico-petrografiche e granulometriche » 157

Marco Orlandi La documentazione grafica delle superfici musive attraverso l’utilizzo di Sistemi Informativi » 183

Bibliografia a cura di Paola Palmiotto » 189


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