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Natura innata del linguaggio secondo Noam Chomsky

Date post: 12-Nov-2023
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Natura innata del linguaggio secondo Noam Chomsky Artemij Keidan Copyright @ A. Keidan, 2017. Quest’opera è distribuita con licenza «CC BY-NC-ND 4.0». 1 Innatismo: una contraddizione in termini? Negli ultimi anni l’innatismo di Chomsky è diventato oggetto di sempre maggiori criti- che da parte di studiosi diversi, non solo linguisti. Rimando gli interessati alla ricca biblio- grafia in tal senso raccolta, recentemente, da Behme & Evans (2015: 151). Un buon riassunto del problema è, da ultimo, Dąbrowska (2015); altri autori di cui consiglierei la lettura so- no G. Sampson, G. Pullum, E. Lombardi Vallauri (si vedano i riferimenti in bibliografia). Ma oltre a riassumere le posizioni degli altri autori, vorrei anche discutere in questa sede una contraddizione, insita nell’argomento di Chomsky, che finora sembra essere passata inosservata. 1.1 Acquisizione del linguaggio, povertà dello stimolo e innatismo Il principale problema connesso con l’ipotesi dell’innatismo del linguaggio consiste nel- la quasi totale assenza di una sua definizione rigorosa, esplicita e condivisa. L’idea risale al debutto di Chomsky, il suo libro del 1957 Sintactic Structures, e soprattutto alla monografia successiva, Aspects of the Theory of Syntax (1965). L’Argomento della Povertà dello Stimolo (APS) fu reso — più o meno — esplicito solo in Chomsky (1980). Si veda Pullum & Scholz (2002) per una storia e analisi empirica dell’APS, nonché la monografia di Clark & Lappin (2011). Quindi per prima cosa riassumerò l’argomentazione di Chomsky in una serie di punti. Si noti che su ognuno dei punti Chomsky è stato più o meno vago e ha avuto vari ripensamenti, per cui capire cosa pensi veramente non è sempre facile. 1. La componente più importante del linguaggio umano è la sintassi, ossia le regole che governano la costruzione di frasi a partire da parole e gruppi di parole. La semantica — il significato delle parole — è vista solo come una conseguenza della sintassi, non un fattore determinante nella costruzione frasale. 2. La sintassi è ricorsiva: unendo insieme due sintagmi otteniamo un altro sintagma, e non un’entità di rango superiore. In particolare, le frasi possono essere riutilizzate 1
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Natura innata del linguaggio secondoNoam Chomsky

Artemij Keidan

Copyright @ A. Keidan, 2017. Quest’opera è distribuita con licenza «CC BY-NC-ND 4.0».

1 Innatismo: una contraddizione in termini?Negli ultimi anni l’innatismo di Chomsky è diventato oggetto di sempre maggiori criti-

che da parte di studiosi diversi, non solo linguisti. Rimando gli interessati alla ricca biblio-grafia in tal senso raccolta, recentemente, da Behme & Evans (2015: 151). Un buon riassuntodel problema è, da ultimo, Dąbrowska (2015); altri autori di cui consiglierei la lettura so-no G. Sampson, G. Pullum, E. Lombardi Vallauri (si vedano i riferimenti in bibliografia).Ma oltre a riassumere le posizioni degli altri autori, vorrei anche discutere in questa sedeuna contraddizione, insita nell’argomento di Chomsky, che finora sembra essere passatainosservata.

1.1 Acquisizione del linguaggio, povertà dello stimolo e innatismoIl principale problema connesso con l’ipotesi dell’innatismo del linguaggio consiste nel-

la quasi totale assenza di una sua definizione rigorosa, esplicita e condivisa. L’idea risale aldebutto di Chomsky, il suo libro del 1957 Sintactic Structures, e soprattutto alla monografiasuccessiva, Aspects of the Theory of Syntax (1965). L’Argomento della Povertà dello Stimolo(APS) fu reso — più o meno — esplicito solo in Chomsky (1980). Si veda Pullum & Scholz(2002) per una storia e analisi empirica dell’APS, nonché la monografia di Clark & Lappin(2011).

Quindi per prima cosa riassumerò l’argomentazione di Chomsky in una serie di punti. Sinoti che su ognuno dei punti Chomsky è stato più o meno vago e ha avuto vari ripensamenti,per cui capire cosa pensi veramente non è sempre facile.

1. La componente più importante del linguaggio umano è la sintassi, ossia le regole chegovernano la costruzione di frasi a partire da parole e gruppi di parole. La semantica— il significato delle parole — è vista solo come una conseguenza della sintassi, nonun fattore determinante nella costruzione frasale.

2. La sintassi è ricorsiva: unendo insieme due sintagmi otteniamo un altro sintagma,e non un’entità di rango superiore. In particolare, le frasi possono essere riutilizzate

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per costruire altre frasi. (Per fare un confronto: unendo insieme dei fonemi ottenia-mo i morfemi, ossia entità di rango superiore ai fonemi; unendo insieme i morfemiotteniamo le parole, che sono sempre di rango superiore ai morfemi).

3. La ricorsività è potenzialmente infinita (con la cardinalità diℕ). Non c’è alcuna rego-la che stabilisca un limite teorico ai cicli ricorsivi. Quindi le frasi formulabili in unalingua possono avere lunghezza e complessità illimitate.

4. Tutti i parlanti di una certa lingua sono in grado di giudicare la cosiddetta grammati-calità di una sequenza di parole (in questa lingua). Sanno cioè distinguere una frasecorretta da una agrammaticale.

5. Questa capacità non è limitata né da caratteristiche individuali del parlante (comeetà o istruzione), né dal fatto che le frasi sono illimitate quanto a lunghezza e com-plessità: i parlanti convergono verso la medesima grammatica. Si noti che questo nonimplica che il parlante qualsiasi debba automaticamente capire il senso delle frasi lacui grammaticalità sta giudicando.

6. I problemi che affronta il linguista sono due:

(a) Come è fatto il meccanismo che rende possibile il giudizio di grammaticalità suun input potenzialmente infinito?

(b) Come avviene l’apprendimento di tale meccanismo da parte del bambino cheimpara a parlare?

7. La risposta alla domanda (6b) è che il parlante, ovviamente, non memorizza le frasicorrette come un mero elenco (perché tale elenco sarebbe, se non infinito, comun-que così enorme da non poter entrare nella memoria di nessuno). Ciò che il parlantefa è utilizzare un algoritmo che permette di calcolare la grammaticalità di una frasequalsiasi a partire da una serie finita di regole generative (che generano alcune strut-ture a partire da altre) e trasformazionali (che spostano le strutture generate da unpunto a un altro della frase).

8. L’apprendimento di questo algoritmo, o grammatica, può avvenire in due modi (o, allimite, da una commistione dei medesimi):

(a) dallo stimolo esterno (ossia ascoltando e le frasi prodotte dagli altri parlanti egeneralizzando le informazioni così ottenute),

(b) oppure da una conoscenza innata.

9. L’apprendimento della grammatica dallo stimolo esterno è escluso perché tale sti-molo sarebbe povero: nella comunicazione madre-figlio, durante l’apprendimentodella lingua materna, la qualità e la quantità degli enunciati che sente il bambinoè assai bassa. Inoltre è presente solo lo stimolo positivo, ma non quello negativo: ilgenitore parla al bambino con frasi corrette, ma non gli spiega come evitare quelleagrammaticali.

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10. Ergo: la grammatica, ovvero la sua componente più fondamentale e condivisa da tuttele lingue del mondo, chiamata quindi grammatica universale (GU), è innata nell’es-sere umano, cioè codificata nel suo corredo genetico e localizzata nel cervello al paridi un organo.

Riassunto breve: l’input esterno non è sufficiente al bambino per acquisire la grammati-ca di un linguaggio potenzialmente infinito, quindi la grammatica deve essere innata.

L’APS è presentato da Chomsky non come un fatto empirico, ma come un teorema dimo-strato logicamente, in cui l’implicazione finale consegue correttamente dalle premesse. Perfare questo, egli presenta le premesse come delle verità autoevidenti, mentre in realtà sareb-bero in gran parte empiriche. Praticamente ognuno dei punti qui elencati, in formulazionipiù o meno analoghe, è stato oggetto di feroci critiche da parte di studiosi che studiano letematiche ivi evocate in modo empirico (dagli psicologi dell’infanzia ai matematici specia-lizzati in intelligenza artificiale). In questa sede illustrerò una curiosa contraddizione che,finora, non è stata discussa nella bibliografia sull’argomento.

1.2 Linguaggio infinito«An elementary fact about the language faculty is that it is a system of discrete infinity»

(Chomsky 2009: 25). In che senso il linguaggio è infinito? Vediamolo prendendo come esem-pio il fenomeno dell’embedding delle relative, cioè frasi relative dentro altre frasi relative.Partiamo da una frase con l’embedding singolo, di questo tipo:

Una ragazza, che Giovanni non aveva mai visto prima, è entrata nella stanza.

È possibile aggiungervi una seconda relativa, ottenendo un doppio embedding:

Una ragazza, che Giovanni, il quale notoriamente aveva una buona memoria,non aveva mai visto prima, è entrata nella stanza.

Si noti che la lettura di questo secondo enunciato è già abbastanza faticosa. Frasi con triploembedding di relative sono quasi impossibili da maneggiare, e infatti sono talmente rare daconsiderarsi inesistenti (cfr. i dati in Levinson 2014).

In generale, esempi di frasi che superino una certa lunghezza sono noti solo dai testiletterari, quindi non sono rappresentativi della facoltà di linguaggio vera e propria, ma piut-tosto del suo uso artistico: dal monologo interiore di Molly Bloom (che però non è esatta-mente una frase grammaticalmente corretta), alla frase di 1077 parole, che occupa ben seipagine, nel romanzo Der Tod des Vergil di H. Broch (caso menzionato in Karlsson 2010: 46).

La difficoltà (se non l’impossibilità) del parlante di giudicare la grammaticalità delle frasicon troppi embedding non è negata da Chomsky, benché questo metta in cattiva luce l’usodi interrogare l’intuizione dei parlanti come metodo dell’indagine linguistica. Vediamo unesempio inglese:

The rat the cat the dog chased killed ate the malt.

Cioè, tradotto in italiano:

Il topo, che è stato ammazzato dal gatto, che è stato inseguito dal cane, ha man-giato il malto.

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Chomsky & Miller (1963: 286) dicono che questa frase è «[…] surely confusing and improb-able but it is perfectly grammatical and has a clear and unambiguous meaning». La giustifi-cazione di Chomsky è che, mentre la cosiddetta competenza linguistica è potenzialmenteinfinita, l’esecuzione, cioè la messa in pratica della competenza, è sempre imperfetta e limi-tata, a causa della limitatezza della memoria a breve termine, nonché di altre condizioni nonimputabili alla competenza linguistica. Viene da qui il concetto di accettabilità (Chomsky1965: 11): una frase grammaticalmente corretta può essere più o meno accettabile, ma l’ac-cettabilità è totalmente slegata dalla grammaticalità. Frasi grammaticalmente corrette pos-sono essere non accettabili, così come frasi agrammaticali, nella pratica, possono diventareaccettabili.

Facendo quindi astrazione dalle condizioni di memoria imperfetta, siamo invitati a con-statare che non esistono impedimenti formali alla creazione di frasi sempre nuove e dicomplessità illimitata. Questo è giustificato da Chomsky con il buon senso e l’intuizione:«the core property of discrete infinity is intuitively familiar to every language user» (Hauser,Chomsky & Fitch 2002: 1571).

Si noti, però, che non abbiamo in realtà alcuna dimostrazione formale di questa infini-tezza, né una reale necessità di postularla, vedi la discussione in Pullum & Scholz (2010).Però accettiamola come un assioma, per ora.

Riassumendo: i parlanti riescono sempre a processare una frase qualsiasi, anche una chenon hanno mai sentito prima, quindi il numero di frasi possibili è potenzialmente infinito.Quindi l’infinitezza è indotta partendo da un corpus di enunciati che è sempre finito.

1.3 Acquisizione della grammaticaChomsky sostiene che l’input linguistico ricevuto dal bambino in fase di acquisizione

del linguaggio sia povero, nonché di bassa qualità, privo di feedback, di reinforcement e diinformazione negativa (altri dettagli in Pullum & Scholz 2002: 12–13). Cioè, l’adulto non in-segna la grammatica della propria lingua al bambino in modo esplicito e completo. Si limitaa fornirgli alcune frasi grammaticali, ma non gli dà nessun’informazione su ciò che non ègrammaticale. Eppure il bambino riesce ad acquisire la grammatica completa e perfetta diuna lingua potenzialmente infinita, lo fa abbastanza velocemente, indipendentemente dallecondizioni storiche, sociali o culturali.

In altre parole, lo stimolo è povero, ma il bambino impara con successo una grammaticache permette la formulazione di un numero infinito di frasi di lunghezza infinita.

1.4 La contraddizioneEsiste quindi un corpus di enunciati effettivamente eseguiti dai parlanti. Tali enuncia-

ti sono limitati, anzi abbastanza corti e spesso difettosi (cioè contenenti imperfezioni ederrori dovuti a brusche interruzioni dell’eloquio, dimenticanze, ripensamenti ecc.). Cosa faChomsky con questo corpus? Lo usa per fare due affermazioni:

1. Il corpus è ricco abbastanza da essere rappresentativo di un linguaggio infinito; daesso si può “indurre” l’esistenza di un insieme infinito di frasi.

2. Il corpus è troppo povero per poter costituire l’input sufficiente per l’acquisizione diun linguaggio infinito.

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Cioè, gli stessi dati empirici sono usati sia come prova che qualcosa è infinito, sia comeprova che qualcosa è finito. Le stesse frasi sono considerate, allo stesso momento, sia “pra-ticamente infinite” sia “troppo finite”. Unire in uno stesso ragionamento due affermazioniopposte genera, a mio avviso, una forte tensione concettuale, se non una vera e propria con-traddizione. Tornando all’APS esposto sopra, i punti in contraddizione sarebbero il (3) e il(9).

Di che tipo di contraddizione si tratta? Se l’APS fosse stato un ragionamento logico pu-ramente formale non ci sarebbe stato alcun problema. Se, ad esempio, le proposizioni (3) e(9) parlassero di un certo sottoinsieme dei numeri naturali aventi una certa proprietà (adesempio, i numeri di Fibonacci), allora sarebbe stato corretto dire che (a) tale sottoinsiemeè infinito, e (b) la mera elencazione finita di tali numeri non è mai sufficiente per indurre tut-to il sottoinsieme. Questo perché i numeri di Fibonacci sono infiniti per definizione, mentrel’input è finito, anch’esso, per definizione. Infatti, per insegnare l’insieme di Fibonacci nonelenchiamo i numeri ma ci serviamo di una definizione ricorsiva (che è quello che Chomskypropone di fare per le frasi del linguaggio).

Tuttavia, l’APS di Chomsky non parla di numeri ma di fenomeni naturali, rilevati empi-ricamente: enunciati giudicati grammaticali dai parlanti di una lingua. Non è, quindi, unaquestione logico-insiemistica, ma piuttosto un’affermazione empirica. Le proposizioni em-piriche non sono vere o false in assoluto, ma solo approssimabili all’essere vere/false nellamisura in cui i dati empirici ce lo impongono. Da questo punto di vista, le proposizioni (3)e (9) del mio elenco sembrano, a prima vista, entrambe convincentemente vere.

Tuttavia, i dati usati per sostenerle sono praticamente gli stessi, ossia quelli rappresen-tati dal corpus delle frasi effettivamente pronunciate. Eppure, le due affermazioni estrapo-lano i dati per fare due generalizzazioni opposte: una induce l’infinito, l’altra lo nega. I datisono quindi usati in modo incoerente. Questo, a mio avviso, rende impossibile, per le pro-posizioni (3) e (9), di avere lo stesso grado di accettabilità empirica, cioè lo stesso grado diapprossimazione al vero.

La dimostrazione di Chomsky della natura innata del linguaggio si basa quindi sull’accet-tazione di un ragionamento fallato. Non si tratta di una falsità assoluta, perché tutto dipendedalla nostra tolleranza per il grado di accuratezza con cui vengono trattati i dati. Tuttavia sitratta di un problema reale, che non può essere ignorato in una discussione sull’innatezzadel linguaggio.

2 ConseguenzeLe proposizioni (3) e (9) non sono le uniche ad essere criticabili. Praticamente ognuna

delle premesse dell’APS di Chomsky si basa non su una necessità logica, né sull’analisi deidati, ma piuttosto sull’intuizione dello studioso. Sull’argomento esiste un lungo e inconcilia-bile dibattito che dura oramai da decenni (si veda Pullum & Scholz 2002; Sampson 2007b).Ma cosa succederebbe se rinunciassimo all’APS? In particolare, quanto pericoloso per lalinguistica moderna sarebbe affermare che:

• la sintassi non è la parte più importante della grammatica, e non è autonoma dallasemantica;

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• la ricorsività non è la caratteristica principale e universale della sintassi e non è infi-nita;

• i parlanti non convergono verso la stessa grammatica;

• lo stimolo non è povero;

• l’apprendimento esterno può portare alla generalizzazione di una grammatica suffi-cientemente efficiente;

• lo scopo del linguista non è riprodurre il meccanismo mentale che distingue frasicorrette da quelle agrammaticali.

Personalmente condivido l’opinione di quei linguisti, oramai forse la maggioranza, i qua-li pensano che, accettando queste rettifiche, nulla di veramente terribile succederà nellascienza del linguaggio. Di seguito propongo alcuni ragionamenti su alcuni dei punti quielencati.

2.1 Ricorsività2.1.1 Definizione di ricorsività

Cosa sia esattamente la ricorsività non è mai detto in modo esplicito da Chomsky. Lesue idee in proposito cambiano nel tempo. Nelle ultime fasi del suo pensiero, secondo alcu-ni osservatori (ad esempio Bickerton 2009), la ricorsività è stata soppiantata dal concettodi iterazione. Di solito, per illustrare la ricorsività si utilizzano esempi del seguente tipo.Data una frase qualsiasi S, posso sempre comporre una frase più complessa premettendol’espressione io so che:

Giovanni si è sposato.Io so che Giovanni si è sposato.Io so che io so che Giovanni si è sposato.

Secondo Chomsky, questo tipo di strutture, tendenti all’infinito, è descrivibile solo tramiteun approccio di tipo generativo. Invece altri, tra cui Pullum & Scholz (2010), spiegano in mo-do convincente che un approccio ricorsivo di tipo generativo non implica necessariamentestrutture infinite, e che le strutture sintattiche citate da Chomsky si potrebbero descriverein modo più semplice tramite grammatiche non ricorsive.

2.1.2 Induzionematematica?Chomsky, invece, sostiene che non ci sia nessuna regola grammaticale a impedire che

uno stesso procedimento grammaticale, ad esempio l’inserimento di una relativa, si eseguainfinitamente in modo ricorsivo. Ma come facciamo a esserne certi? Ad esempio, come fac-ciamo a essere certi che non esista un numero 𝑥 tale per cui la frasi con un numero di cicliricorsivi maggiore di 𝑥 siano vietate dalla GU? Se 𝑥 è molto grande, semplicemente è impos-sibile fare la verifica. Chomsky sostiene che il numero massimo di cicli ricorsivi non esista,ma ammette anche che le frasi di solito non vanno oltre due livelli di ricorsività (𝑥 ≤ 2)perché questo sembrerebbe il massimo gestibile dalla nostra memoria a breve termine, cioèdalla nostra performance linguistica. I casi con 𝑥 > 2 vengono inclusi per “induzione”.

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Attenzione però: non si tratta di induzione matematica, in cui, effettivamente, per qual-siasi predicato𝒫 e per qualsiasi 𝑥 ∈ ℕ è valida la seguente implicazione:

𝒫(0) ∧ (𝒫(𝑥) ⇒ 𝒫(𝑥 + 1)) ⇒ ∀𝑥𝒫(𝑥)Cioè, se un’affermazione è valida per lo 0, e, essendo valida per 𝑥 è sempre valida anche

per il suo successore, allora è valida per tutti i numeri naturali (o altri oggetti matematici,come avviene, ad esempio, nell’induzione transfinita).

Qui, trattandosi di un fenomeno naturale, non abbiamo la certezza che sia sempre vero

𝒫(𝑥) ⇒ 𝒫(𝑥 + 1)

Non solo questo è incerto, ma anzi è esattamente ciò che si vuole dimostrare, ragion per cuila presunta dimostrazione è affetta da circolarità.

Chomsky proietta la sua teoria su un fenomeno naturale. Egli dice che la grammaticaè come il sistema di numerazione decimale: un meccanismo ricorsivo e illimitato. Tutta-via, i numeri sono oggetti culturali (siano essi “scoperti” o “inventati” dalla mente dell’uo-mo), mentre il linguaggio, sia esso innato o meno, risiede a un livello di coscienza moltopiù profondo rispetto a quello dei numeri. Ciò che abbiamo postulato per i numeri non èautomaticamente valido anche per la grammatica.

2.1.3 Competenza ed esecuzione: che cosa è davvero innato?Prendiamo la distinzione di Chomsky (1965) tra la performance e la competence: la prima

sarebbe finita e limitata, mentre la seconda innata e illimitata. Perché mai dobbiamo con-siderare innata solo la competence? Perché non immaginare che anche la performance siastata programmata dalla natura e quindi faccia parte della GU? Prendiamo qualsiasi altraattività innata, ad esempio, la camminata. Da un certo punto di vista si può dire che l’uomopuò camminare infinitamente: in astratto nulla lo impedirebbe. Non esisterebbe, cioè, il nu-mero massimo di passi che che un essere umano riesce a fare. Ma cosa ha previsto veramentela natura? Ha previsto un meccanismo che può, per definizione, compiere solo camminatefinite, di minore o maggiore lunghezza, intervallate dalle fasi di stanchezza e riposo:

camminata⇒ stanchezza⇒ riposo/nutrizione⇒ camminata

Stanchezza, nutrizione e riposo non sono degli accidenti contestuali e irrilevanti, ma fannopienamente parte del nostro corredo genetico.

2.1.4 Altre manifestazioni della ricorsivitàIl fatto che la performance possa essere stata limitata appositamente dall’evoluzione è

dimostrato indirettamente anche da un altro fatto. In un articolo molto interessante di Le-vinson (2014) si osserva uno sorprendente parallelismo tra la ricorsività grammaticale e loscambio dialogico. Quando ci scambiamo dei messaggi, spesso si creano strutture “a incas-so”, molto simili alle frasi complesse con vari livelli di subordinate. Immaginiamo una scenacome questa:

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A: “Un etto di crudo, per favore.”B: “Parma o San Daniele?”A: “San Daniele, ma solo se c’è poco grasso.”B: “Il taglio che mi è rimasto è abbastanza morbido.”A: “Allora meglio il Parma.”B: “Prego, tenga.”

Quando il salumiere e il compratore si scambiano le domande e le risposte, ognuno di lorotiene nella mente la struttura gerarchica dello scambio informativo: dalla domanda genera-le si va verso quelle più particolari, e poi si risale verso il livello iniziale. La cosa interessanteè che il livello di embedding ammesso nei dialoghi è molto più grande di quello ammessonella struttura di una frase complessa, vedi i dati di Levinson (2014). Questo sembrerebbesuggerire che la mente umana è ben capace di gestire strutture con embedding multiplo an-che molto profondo, e che tale capacità sia stata limitata appositamente nel caso della ricor-sività grammaticale. E quindi, la limitatezza della performance non è accidentale e quindiinessenziale, ma fa parte del corredo biologico, al pari della GU.

2.1.5 Lingue senza ricorsivitàNon possiamo non menzionare un recente caso abbastanza noto, ma sempre clamo-

roso: una lingua senza ricorsività. Si tratta del pirahã, la lingua di una tribù amazzonica,scoperta e descritta da D. Everett (2005). Oltre a tante altre caratteristiche che lo rendonoparticolarmente insolito, il pirahã non conosce la possibilità di aggiungere frasi subordinatea frasi principali. Cioè, il numero massimo di cicli ricorsivi in questa lingua è pari a zero (o,secondo altri pareri, a 1, ma mai più di 1). Ora, i linguisti seguaci di Chomsky hanno spessoaffermato che il dogma della ricorsività infinita potrà essere ridiscusso solo nel momentoin cui si scoprisse una lingua senza ricorsività. Quando un tale esempio è stato finalmentetrovato, la loro reazione, dopo un primo momento di sbigottimento e incredulità, è consi-stita nel dire che la ricorsività è sì presente a livello di bagaglio innato universale, ma nonè necessariamente utilizzata da tutte le lingue del mondo. Di per sé potrebbe anche essereuna tesi accettabile, se non fosse che sia stata creata ad hoc per uscire da una situazioneimbarazzante.

Tra l’altro, a ben vedere, il caso del pirahã non è neanche così isolato. Di fatto, la vera ri-corsività sintattica, con frasi ipotattiche lunghe e complesse, e con una struttura logica sem-pre ben chiara, sono attestate solo in lingue supportate da una cultura scientifica e letterariasviluppata. Lingue dei popoli “primitivi”, o semplicemente dei parlanti non ben scolarizzati,spesso ignorano la ricorsività oppure ne usano le manifestazioni meno complesse, vedi larassegna di casi famosi in Pullum & Scholz (2010: 18) e Sampson (2007a).

2.2 Intuizione di grammaticalità2.2.1 Intuizione

Alla base del metodo di indagine scientifica sul linguaggio, secondo Chomsky, vi è il ri-corso all’intuizione del parlante. Solitamente si tratta, in realtà, dell’introspezione del lingui-sta medesimo che indaga la propria prima lingua; in altri casi vengono intervistati i parlantinativi di una certa lingua sotto esame. Secondo Chomsky, l’intuizione di grammaticalità è,

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per così dire, onnipotente e universale: un parlante qualsiasi riesce a dare un giudizio digrammaticalità a una frase qualsiasi. Questa posizione è stata oggetto di numerose critiche.

Per cominciare, i parlanti di estrazione sociale bassa non distinguono la non-grammati-calità dalla non-accettabilità, ovvero ciò che è grammaticalmente ammesso da ciò che po-trebbe essere detto in un certo contesto ottenendo il risultato voluto (infatti, anche un gru-gnito risulta accettabile, in certe condizioni). Di fatto, i parlanti non colti, interrogati dallinguista circa la grammaticalità di determinate frasi, spesso non capiscono neanche la do-manda (cfr. Riemer 2009: 614, nota 4). Quindi di solito, per distinguere tra grammaticalitàe accettabilità, il linguista “guida” il parlante verso la risposta giusta. È come se sapesse giàin anticipo la risposta giusta, per poi costringere il parlante a diriggere il proprio giudizioin tal senso. L’intuizione quindi è correlata alla coscienza metalinguistica, ossia al livello diistruzione dell’individuo. Come si dimostra in Dąbrowska (2010), cfr. già Spencer (1973), igiudizi di grammaticalità differiscono in modo significativo tra parlanti semplici e parlanticon formazione da linguista. Inoltre, il ricorso all’intuizione dà risultati diversi secondo lostudioso che lo applica. Riemer (2009) discute un’intera collezione di frasi inglesi che sonogiudicate non grammaticali in una serie di pubblicazioni di linguisti generativisti, ma sonoinvece percepiti come grammaticali da altri parlanti inglesi. Ad esempio:

There seems to be many people in the room.

L’obiezione dei chomskyani sarebbe che in casi come questo semplicemente siamo di frontealla variazione linguistica: ciò che non era grammaticale prima lo diventa a un certo punto,almeno per alcuni parlanti. Quindi, semplicemente, non è la stessa grammatica. Però è chia-ro che con questo escamotage l’intuizione diventa totalmente inservibile come strumentodi indagine.

2.2.2 Parlante idealeC’è sempre stata molta vaghezza su cosa sia esattamente la grammaticalità. Sotto la spin-

ta delle critiche, Chomsky introdusse il concetto di parlante ideale, ossia un essere imma-ginario la cui intuizione coincide perfettamente con le strutture grammaticali postulate dalgenerativismo, ed è esente dai limiti e dai difetti della performance. Si noti a margine chequesto parlante ideale è, curiosamente, un po’ nevrotico: «You can’t go a minute withouttalking to yourself. It takes an incredible act of will not to talk to yourself» (Chomsky 2012:11). Le caratteristiche del parlante ideale sono:

• Non avere alcun limite in fase di esecuzione.

• Non essere influenzato da connotazioni stilistiche e stereotipi della grammatica pre-scrittiva (come quando a scuola si insegnano le regole che impongono l’uso del con-giuntivo in determinate costruzioni frasali italiane).

• Non essere influenzato dalla semantica della frase (ossia, dalla sensatezza o l’insensa-tezza delle frasi la cui grammaticalità viene giudicata).

• Capire istantaneamente la struttura logica degli enunciati.

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Queste caratteristiche, appunto, sono idealizzazioni che non si incontrano mai nei parlantireali. Prendiamo l’ultima. Chomsky presuppone che il cervello riesca a captare la strutturalogica dell’enunciato senza alcuno sforzo, come una capacità innata appunto. Tuttavia, in-vito il lettore a cronometrare il tempo che gli è necessario per capire la differenza tra le dueinterpretazioni logiche possibili del seguente enunciato inglese:

Every man loves a woman.

Cioè:

‘ogni uomo ama una qualche donna’ / ‘una certa donna è amata da tutti gliuomini’

Sembra, invece, molto più ragionevole considerare l’analisi logica dell’enunciato come unaconquista culturale, anziché un fenomeno naturale (si veda la discussione in Sampson 2007a:26–27). Sappiamo, infatti, quanto la logica formale appaia astrusa e innaturale alla maggiorparte degli studenti che vi si accostano per la prima volta.

Il parlante ideale è talmente poco probabile che alcuni critici un po’ “radicali” di Chom-sky sono stati portati a rinunciare al concetto di grammaticalità tout court (ad esempio,Sampson 1987 e Sampson 2007a). Secondo questo punto di vista, la grammaticalità è unaquestione di abitudine: ci sembrano grammaticali frasi che siamo abituati a sentire, mentreuna frase apparentemente non grammaticale può facilmente diventare grammaticale se lasi usa ripetutamente. Altri propongono una definizione di compromesso, suggerendo unanozione composita, in cui co-occorrono i seguenti fattori (vedi Pullum 2007: 14):

• intuizione del parlante medio (di solito coincidente con il linguista stesso);

• prescrizioni della grammatica scolastica;

• misurazione statistica degli usi effettivi.

Ossia, noi giudichiamo grammaticali quelle frasi che la nostra intuizione classifica come tali,ma l’intuizione è soggetta all’influsso della scolarizzazione, e inoltre differisce da parlante aparlante ed è quindi rilevabile statisticamente analizzando un corpus di testi.

2.2.3 Grammaticalità locale e universaleNon solo non è chiaro cosa sia la grammaticalità in generale, ma non è nemmeno sem-

pre ovvio il confine tra quella universale (l’unica a essere propriamente innata), e quella“locale”, cioè limitata alla lingua storico-naturale nota al parlante. Come fa l’intuizione a di-stinguere tra ciò che è vietato dalla GU, e ciò che è vietato dalla grammatica di una linguaspecifica? Eppure Chomsky apparentemente usa quest’ultima per illustrare il concetto dipovertà dello stimolo. Così, l’auxiliary fronting, citato fin da Chomsky (1957), è un fenome-no tipico dell’inglese, che può anche essere assente in altre lingue. Come prova dell’APS ècontroproducente: dimostra, semmai, che l’apprendente può ben apprendere un fenomenogrammaticale complesso non innato (perché specifico di una singola lingua). Per un altroesempio simile rimando a Sampson (2007b: §3.c); cfr. anche Johansson (1991: 7).

D’altro canto, nessun vero universale linguistico, ciò fenomeno grammaticale di origineinnata e quindi presente in tutte le lingue del mondo, è stato mai davvero osservato. Per ogni

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candidato a tale ruolo si trova subito la smentita, ossia qualche lingua, più o meno “esotica”,in cui tale fenomeno non è attestato. Rimando gli interessati all’articolo di Evans & Levinson(2009), più le repliche dei loro oppositori, nella stessa pubblicazione.

2.2.4 AgrammaticalitàSe è già difficile capire cosa sia la grammaticalità, è ancora meno ovvio cosa sia la agram-

maticalità. Presentando le sue idee Chomsky fa spesso esempi del seguente tipo. Prendiamouna frase relativa inglese:

The man who is happy is singing.

Se dobbiamo trasformarla in una domanda — sostiene Chomsky — non possiamo utilizzareuna regola grammaticale che dica “Prendi il primo verbo che incontri e portalo all’inizio difrase”, perché in questo modo genereremmo una frase non grammaticale:

*Is the man who happy is singing?

Infatti, le grammatiche ammettono solo regole del tipo “Prendi il verbo della frase principalee portalo all’inizio”. Con questa formulazione otteniamo il risultato atteso:

Is the man who is happy singing?

Quindi — è la conclusione di Chomsky — la grammatica che abbiamo nella mente ope-ra con strutture sintattiche complesse (che stanno alla base della teoria chomskyana), enon con mere sequenze di parole, e questo non può essere appreso dall’esperienza. Infatti,neanche i bambini in fase di apprendimento fanno errori come quello discusso qui.

Tuttavia, per cominciare, è stato osservato che i bambini effettivamente fanno erroriche vanno contro la struttura sintattica (vedi Ambridge, Rowland & Pine 2008). Ma è tuttoil ragionamento che è, per così dire, “caricaturale”, ossia non presenta in modo realistico ciòche effettivamente accade nella comunicazione linguistica.

In parole povere, secondo Chomsky, il parlante deve sceglie tra due opzioni: dovendocostruire una frase di domanda grammaticalmente corretta, uso la regola sbagliata (“prendiil primo verbo che trovi” ecc.) oppure quella strutturalmente determinata (“prendi il verboprincipale” ecc.)?

Invece, il parlante non si trova mai di fronte a una scelta del genere. Quando deve fa-re una domanda, il suo scopo non è “formulare una frase grammaticalmente corretta”, maè “ottenere delle informazioni”. Di conseguenza, la vera regola che, molto probabilmente,sta nella nostra testa sarebbe qualcosa di simile a: “prendi il verbo informativamente salien-te e portalo all’inizio”. Che poi il verbo più saliente sia il verbo principale della frase è unaconseguenza della struttura informativa, non una precondizione.

Quindi la agrammaticalità, come la presenta Chomsky, presuppone già in partenza l’e-sistenza della grammaticalità, e quindi non può essere usata come prova per quest’ultima.Cioè, la agrammaticalità non si manifesta mai in natura, ma è una congettura dei linguisti;per i parlanti non rappresenta alcun problema reale.

La visione alternativa al generativismo non è un caos irrazionale, in cui si immaginanoparlanti che costruiscono frasi mettendo le parole in ordine casuale, ma un razionalissimoapproccio di tipo funzionalista. È grammaticale ciò che è funzionale, non il contrario.

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2.3 Chomsky e la biologia2.3.1 Aspetti genetici

Chomsky ha da sempre una particolare predilezione per la biologia: «in ultima analisi,lo studio del linguaggio fa parte della biologia umana» (Chomsky 1979: 357). Anche negliultimi anni è tornato a sottolineare che vede il proprio approccio al linguaggio come prima-riamente “biolinguistico”. Va però detto che l’idea che la grammatica sia innata e codificatanei geni solo perché è molto complessa, è alquanto strana. Addirittura, il sistema dei numerinaturali è vagheggiato da Chomsky come innato. Il che fa sorridere, se pensiamo a quantimillenni ci siano voluti all’umanità per comprendere il concetto dell’insiemeℕ (nonché ledifficoltà ivi connesse sperimentate dagli alunni delle scuole di ogni grado). E poi, perchésoloℕ? La povertà dello stimolo non vige forse anche, e a maggior ragione, per i numeri realio i numeri complessi? Dobbiamo forse considerarli tutti innati?

Piuttosto che immaginare improbabili scenari genetici, la conclusione alternativa moltopiù logica sarebbe stata, fin dagli anni ‘50, quella di rinunciare alla ricorsività infinita dellasintassi, e quindi all’argomento della povertà dello stimolo, oppure considerare la grammati-ca ricorsiva infinita solo come un’idealizzazione di un linguaggio intrinsecamente finito. Per-ché, come molti riconoscono, la teoria generativista in sé è più interessante dei suoi postulatibio-filosofici. Tuttavia, come sappiamo, è andata diversamente.

Il problema è che il linguaggio ha molto poco di biologico nel senso genetico del termine.L’impressione è che Chomsky ne sia cosciente e che cerchi degli improbabili escamotage persalvare le apparenze e non rinunciare all’innatismo a lui tanto caro.

Syntactic Structures usciva a soli quattro anni di distanza dalla scoperta del DNA e moltidecenni prima della decifrazione del genoma umano. Era quindi forse un peccato minoreutilizzare il concetto di “genetico” in quelle circostanze. Però, più gli anni passavano e menoaccettabile diventava questa affermazione, neppure come metafora. Dire oggi che un certocarattere è genetico implica la necessità di dimostrare quale preciso gene, o insieme di ge-ni, è responsabile di tale carattere. O, come minimo, bisognerebbe predisporre delle proveempiriche di innatezza (osservazioni sui gemelli, correlazione con disturbi genetici, ecc.).Ebbene, nessun gene del linguaggio è stato mai trovato. Per un periodo si è creduto che ilgene chiamato FOXP2 fosse un buon candidato a tale ruolo. Tuttavia, quest’ipotesi è stataoggi perlopiù rigettata, da Chomsky in primis (cfr. Fitch, Hauser & Chomsky 2005: 190).

Oltre al gene in sé, il linguaggio non presenta nessuna delle caratteristiche tipiche che uncarattere innato di solito ha (vedi Lombardi Vallauri 2004: §3). Infatti, non presenta difettigenetici dovuti dalla mutazione (come il daltonismo per la visione); di conseguenza, nonpresenta variabilità genetica dovuta alla selezione naturale delle mutazioni (come il coloredella pelle). In generale, un carattere che sia veramente innato di solito non si presenta maiidentico in tutti gli individui, ma, appunto, è soggetto alla variabilità. Viceversa, per esplicitaammissione di Chomsky, la GU è uguale per tutti gli individui (le differenze tra le lingueconcrete ovviamente non appartengono alla GU).

Alcune presunte prove della natura biologica del linguaggio si spiegano più facilmentein altri modi. Ad esempio, l’argomento della velocità di apprendimento: il bambino imparaa parlare con una velocità che si pensa impossibile senza un corredo di conoscenze innate.Però, se facciamo i conti più attentamente, vediamo che il bambino passa molto tempo a“studiare” la lingua materna; la studia con il metodo della totale full-immersion, senza poter

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comunicare in altri modi; e con tutto ciò, comincia a balbettare frasi di una o due parole solodopo due anni di tempo. Invece, uno studente della facoltà di lingue, che studia una linguastraniera solo un numero limitato di ore al giorno per tre anni, alla laurea spesso riesce aparlare la lingua studiata abbastanza bene (vedi su questo Sampson 2005).

Anche la famosa dipendenza dall’età, ossia la presunta incapacità degli adulti di impa-rare una lingua con la stessa maestria di un bambino, è da riconsiderare. Intervengono quimolti fattori sociali e di altro tipo, ad esempio la capacità di farsi capire in modi non lingui-stici, la non necessità di padroneggiare la lingua straniera in modo perfetto per comunicarecon successo, ecc. Un adulto che fosse capitato in un ambiente linguisticamente del tutto im-penetrabile e culturalmente incommensurabile — ad esempio, l’antropologo durante unaricerca sul campo in Amazzonia — impara bene la lingua locale, completamente da zero espesso con ottimi risultati. Semplicemente perché non ha altra scelta, se vuole sopravvivere.

2.3.2 Aspetti evolutiviInfine, non va dimenticato che l’idea della grammatica che genera frasi infinite è incom-

patibile con l’evoluzione. L’evoluzione procede per gradi, aggiungendo una modifica per vol-ta. Ma è impossibile arrivare gradualmente all’infinito. Conscio di questo, Chomsky ha dasempre sostenuto che il gene del linguaggio sarebbe comparso non per selezione naturale,ma grazie a un’unica mutazione fortuita avvenuta in un unico individuo, da cui discende-rebbero tutti gli essere umani oggi viventi. Notare che, almeno inizialmente, tale individuonon avrebbe potuto parlare con nessuno, perché era l’unico portatore della mutazione, equesto rappresenta una grossa difficoltà perché è noto che in assenza di stimolo esterno illinguaggio non fa la sua comparsa nel parlante. Cioè, quand’anche innato, il linguaggio habisogno di essere attivato dall’esterno per formarsi completamente.

Cosa pensano i biologi genetisti di quest’idea di Chomsky lo riassume bene Behme (2014:7):

From a biological perspective, the saltational account is so outlandish thatit has been virtually unanimously rejected by researchers who disagree witheach other on many other aspects of language evolution […]. Evolutionary bi-ologists call speculations ‘in which a freak mutation just happens to producea radically different and serendipitously better equipped organism’ (Deacon1997: 35) ‘hopeful monster’ theories, and emphasize their close resemblance toIntelligent Design or divine creation stories.

L’antidarwinismo di Chomsky non è neanche un segreto. Egli stesso candidamente lo am-metteva quando sosteneva che, per quanto riguarda lo studio dei fenomeni mentali, la spie-gazione evolutiva sarebbe un semplice deus ex machina (Chomsky 1988: 158). Solo in tempirecenti ha cercato di “fare pace” con la biologia evolutiva.

3 Evoluzione storica della teoria generativistaIl generativismo di Chomsky ha attraversato varie fasi. Assunti e postulati venivano cam-

biati spesso con una rapidità impressionante. Ciò che prima si considerava assolutamenteimprescindibile e auto-evidente, veniva poi abolito o contraddetto negli sviluppi successivi

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della teoria, vedi un elenco di esempi in Behme (2014: 689). L’idea dell’innatismo è sopravvis-suta a tutte le varie evoluzioni della teoria, anche se qualche cambiamento c’è stato anchequi. Vale quindi la pena ripassare velocemente tale evoluzione. Per altri dettagli si rimanda illettore a numerosi testi che trattano la storia di questa disciplina, ad esempio: Ludlow (2011:Cap. 1) e Newmeyer (1996). Per una storia anche sociale del generativismo si veda Lasnik &Lohndal (2013).

3.1 Prima faseLe prime fasi, chiamate “Standard” ed “Extended Standard theory”, presentavano una GU

con un numero abbastanza alto di regole che erano piuttosto anglocentriche, nel senso chefenomeni grammaticali propri dell’inglese venivano attribuiti alla GU. L’inglese inizialmentefu l’unica lingua d’esempio usata da Chomsky, anche dichiaratamente (vedi Chomsky 1965:3; cfr. Lasnik & Lohndal 2013: 49). Questo atteggiamento non era dovuto all’ignoranza dilingue diverse dall’inglese, ma a una presa di principio: la GU è universale, quindi una linguaqualsiasi ne è un rappresentante affidabile. L’anglocentrismo comunque non è stato maicancellato del tutto neanche nelle fasi successive della teoria.

In questa fase Chomsky propose il concetto di “autonomia della sintassi”: la semantica,cioè il significato delle parole e delle frasi, il contesto d’uso, ecc., non hanno — a suo pare-re — alcuna rilevanza nel processamento dell’input linguistico. Questo porta a un curiosoragionamento circolare, su cui rimando a Lombardi Vallauri (2012: 239):

Primato della sintassi⇒ Trascurare semantica e contesto⇒ Concepire l’acqui-sizione come guidata dalla sola sintassi ⇒ Credere che dallo stimolo manchiinformazione necessaria⇒ Postulare che lo stimolo sia nella GU innata⇒ Lasintassi è promossa a modulo nel cervello⇒ La sintassi è più importante dellasemantica.

Insomma, ignorare tutto salvo la sintassi porta a concludere che la sintassi sia la sola cosaimportante.

3.2 Seconda faseNegli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo, con “Government and Binding” (suc-

cessivamente “Principles and Parameters”), il generativismo cercò di diventare più coerentecon i fatti grammaticali di lingue diverse dall’inglese. Questo comportò una parziale rinun-cia al principio dell’autonomia della sintassi introducendo constraints semantici nella GU.Parallelamente si osservò una crescita esponenziale dell’astrattezza della teoria, che si al-lontanava sempre di più dall’osservabilità diretta. La pratica del generativismo consistevasempre più nella manipolazione di oggetti o molto astratti o concreti ma non visibili (comele tracce, il PRO, ecc.).

L’accettazione di entità non visibili permette di “vedere” nelle grammatiche non ingle-si qualcosa di tipicamente inglese. Prendiamo un esempio riportato da Boeckx (2006), undivulgatore del generativismo. Come è noto, quando vogliamo formulare una domanda ininglese dobbiamo portare all’inizio di frase la parola interrogativa (tipo what, where, who,how ecc.), per esempio:

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What did John buy?

Il generativismo afferma che questa frase deriva, per trasformazione, da una struttura sog-giacente del tipo:

Did John buy what?

Cioè, la trasformazione consiste nel fatto che l’elemento interrogativo what viene spostatodalla sua posizione sintatticamente attesa — in quanto è l’oggetto diretto del verbo — allaposizione iniziale. Ora, questo succede regolarmente in inglese, ma non necessariamente inaltre lingue. Però si sostiene che tale trasformazione farebbe parte della GU. Prendiamo lacorrispettiva frase in cinese:

Zhāngsān mǎi le shénme?

Traducendo parola per parola è: ‘Zhangsan comprò cosa?’ Quindi l’elemento interrogativo(shenme ‘che cosa’) non viene spostato all’inizio di frase. Invece, secondo il generativismo«[…] Chinese question words front to the beginning of the sentence as they do in English,but that this fronting is not pronounced» (Boeckx 2006: 44). Ora, il lettore non specialistapotrebbe sospettare che ci sia qualche modo tecnico per spiegare questa bizzarria (una cosac’è ma non si vede!). In realtà non c’è alcuna spiegazione tecnica, è proprio quello che sembra:postulazione di un fenomeno invisibile senza alcuna conferma empirica.

3.3 Terza fase (e oltre)Il generativismo della fase di “Government and Binding” appariva, ed era, eccessivamen-

te complesso. Pertanto nel 1995 Chomsky pubblica una nuova versione della sua teoria, chenon chiama neanche più “teoria” ma “programma” (un irrilevante gioco terminologico, cfr.Behme 2014: 676, nota 6). Lo scopo è rendere la GU più semplice ed economica. Si tratta del“Minimalist Program”. In questa versione Chomsky incorpora una serie di principi elaboratidai suoi “nemici storici”, ossia i linguisti funzionalisti: si ammette che, almeno in parte, illinguaggio è determinato dalla funzione che svolge nella comunicazione, nonché dall’espe-rienza del parlante. Inoltre abdica a una parte rilevante dei postulati di una volta, tra cui lafamosa “struttura profonda”. Si sacrificano quasi del tutto anche gli universali linguistici, ve-di Culicover (1999: 138). La svolta è talmente radicale che, almeno nei primi anni, non pochilinguisti generativisti rimasero fedeli al framework precedente e non accettarono più il sal-to generazionale della teoria solo in virtù del principio dell’autorità (come invece avevanosempre fatto in passato).

In anni ancora più recenti si può osservare un’inaspettata mossa di Chomsky verso labiologia evolutiva, che prima aveva disprezzato. In questa fase, contrassegnata più da libri-intervista autocelebrativi che da lavori scientifici, pur rimanendo nel solco del “MinimalistProgram”, Chomsky usa spesso il termine biolinguistica per indicare il proprio approccioallo studio del linguaggio.

La recente conversione di Chomsky a posizioni più evoluzioniste — dovuta, secondoBickerton (2009: 532), all’alleanza proprio con Hauser — comporta la rinuncia ad ulterio-ri pezzi della teoria precedente. Si ammette che il linguaggio, almeno in parte (Faculty ofLanguage in Broad sense, FLB), si sia evoluto sotto la pressione di fattori ambientali, mentre

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solo un suo nucleo estremamente ristretta (Faculty of Language in Narrow sense, FLN) sa-rebbe dovuto a fattori innati. Secondo Bickerton (2009: §7) una delle tacite rinunce è stataaddirittura la ricorsività stessa: al suo posto subentra il concetto di iterazione, molto menoimpegnativo da un punto di vista logico.

Chomsky e colleghi hanno scritto di recente: «Ultimately, we think it is likely that somebona fide components of FLN — mechanisms that are uniquely human and unique to lan-guage — will be isolated and will withstand concerted attempts to reject them by empiricalresearch» (Fitch, Hauser & Chomsky 2005: 206). Si ipotizza addirittura che «if future em-pirical progress demonstrates that FLN represents an empty set, so be it» (Fitch, Hauser &Chomsky 2005: 203). Questa apertura è una tacita ammissione che finora l’argomentazionea favore dell’innatismo non è stata convincente.

4 Problemi di logica e metodologia4.1 Teorema di Gold

Nella discussione da cui questo articolo trae origine a un certo punto mi veniva tiratoin ballo il risultato di Mark Gold (1967) sulla cosidddtta learnability dal punto di vista dellalogica formale. Questo ci spinge a spendere qualche parole circa il Teorema di Gold (TdG) ela sua rilevanza per il problema dell’innatismo; per ulteriori dettagli tecnici si rimanda a siconsiglia la lettura di Johnson (2004), in cui si spiega in termini accessibili il senso del TdG(senza sacrificare il rigore formale), e successivamente si fa luce sulla sua reale portata pergli studi “cognitivi”, che includono la linguistica.

Il teorema è spesso travisato dagli umanisti, che lo citano senza averlo letto e/o capito.Ad esempio così: «A version of the problem has been formalized by Gold […]. No known“general learning mechanism” can acquire a natural language solely on the basis of positiveor negative evidence» (Hauser, Chomsky & Fitch 2002: 1577). Questa dicitura, per comincia-re, non riassume bene il TdG (per altri esempi simili vedi Johnson 2004: §3). Gold si poneil problema della formalizzazione logica del processo di apprendimento di linguaggi di tipidiversi. Lo scopo finale è scoprire se esistono delle condizioni in cui l’apprendimento nonsia possibile. Per trovare tali condizioni egli prova a modificare i seguenti parametri: tipo dilinguaggio appreso, tipo di stimolo jtilizzato, strategia di apprendimento.

Il risultato di Gold consiste nel dire che, assumendo come strategia di apprendimen-to la cosiddetta identificazione nel limite (cfr. Gold 1967: 449), e considerando un inputesclusivamente positivo, si dimostra l’esistenza di numerose classi di linguaggi che nessunapprendente potrà mai imparare. Il che è ben diverso dalla “traduzione” che ne dà Chomskye associati. Ad esempio, Gold (1967: 450) dice esplicitamente che «identifiability (learnabil-ity) is a property of classes of languages, not of individual languages», quindi il suo risultatonon riguarda «a natural language», come sostiene Chomsky.

Gold (1967: §4) stesso si chiede quali siano le conseguenze del TdG sugli studi psicologicidell’acquisizione del linguaggio nei bambini e ne ipotizza tre: 1) il bambino non impara lagrammatica della lingua dei genitori in modo perfetto; oppure 2) lo stimolo negativo esiste,sebbene in forme che sfuggono all’attenzione dei linguisti, ad esempio come risposta com-portamentale; oppure 3) l’assenza di stimolo fa le veci dello stimolo negativo: tutto ciò che il

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bambino non sente sarà da lui considerato agrammaticale. Come vediamo, l’innatismo nonè nemmeno menzionato da Gold tra le conseguenze più probabili del TdG.

Per un periodo il TdG ebbe un impatto molto forte sugli studi di psicolinguistica, ma poiè passato di moda (non così nella logica, nell’informatica e nella teoria delmachine learningdove, invece, ha generato un intero filone di studi). Dal punto di vista degli studi della mente,il modello del learning considerato da Gold è eccessivamente irrealistico. In particolare, ilsuo concetto di identificazione nel limite è estremamente dissimile dal modo in cui avvienel’acquisizione del linguaggio nei bambini. Semplicemente, TdG non è applicabile in modoproduttivo al linguaggio naturale.

Insomma, non si può che condividere le parole di uno studioso influente che recente-mente ebbe a dire: «In fact, Gold’s theorem […] [does] not seem to have empirical relevancefor linguistics, at least that I can see». Chi è lo studioso? È Noam Chomsky (2004: 176); cfr.anche la discussione in Johnson (2004: 580–582).

Si noti che questo giudizio negativo è dovuto a un possibile fraintendimento del testo diGold da parte di Chomsky (vedi Johnson 2004: 583). Chomsky gli rimprovera di non essersioccupato della cosiddetta strong— anzichéweak— generative capacity, ossia la capacità diuna grammatica di generare anche la struttura sintattica di una frase, oltre che la semplicesequenza lineare di parole nell’ordine giusto (vedi Chomsky & Miller 1963). Ma Gold, in ef-fetti, definisce due diverse funzioni, chiamandole tester e generator; quest’ultima assomigliamolto a ciò che Chomsky vorrebbe trovare. E in generale, il TdG è sufficientemente astrattoper poter trattare anche la strong generative capacity delle grammatiche.

4.2 Proposta alternativa: acquisizione probabilisticaSe, da un lato, dobbiamo effettivamente riconoscere a Chomsky il merito di aver formu-

lato il problema dell’apprendimento, è anche vero che le prime soluzioni realmente funzio-nanti sono arrivate altrove, ossia nell’ambito dell’apprendimento statistico-probabilistico.L’dea è che il linguaggio si apprende “dall’esterno”, tramite un continuo scambio di frasi (dicomplessità sempre maggiore) tra l’infante e il genitore, e che alla fine l’infante è portatoa convergere verso la grammatica dei suoi genitori con un’approssimazione accettabile. Ilfamoso stimolo, a ben guardare, si scopre non così povero e neanche sprovvisto di giudizinegativi, solo che questi arrivano in forma indiretta, anziché come istruzioni esplicite.

Questo modello è, per cominciare, molto più verosimile e realistico rispetto all’inna-tismo. L’apprendimento tramite tentativi ed errori caratterizza l’essere umano in tutte lesue attività. Inoltre, questo è un approccio che funziona nel senso che permette l’applicazio-ne tecnologica. La maggioranza dei moderni sistemi di intelligenza artificiale, machine lear-ning, traduzione automatica, ricerca testuale in generale (vedi qui), e la ricerca semanticain particolare, si basano proprio su questo principio.

Uno studio recente di Zuidema (2003) dimostra che il circuito dell’apprendimento po-trebbe essere riformulato in forme ancora più simili all’apprendimento naturale. SecondoZuidema, una cosa non considerata da Gold è il fatto che l’apprendimento è ciclico: l’inputlinguistico del bambino che apprende una lingua-target fu, a sua volta, il target degli appren-denti della generazione precedente. In altre parole, l’input è già reso fortemente specifico dagenerazioni di apprendenti. Zuidema ha creato un algoritmo funzionante che impara unagrammatica in modo ciclico. Vi si osserva come a ogni iterazione la qualità dell’apprendi-mento aumenta per stabilizzarsi da una certa generazione in poi.

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Quindi, mentre gli algoritmi basati sull’apprendimento statistico hanno dimostrato lapropria efficacia ingegneristica, l’approccio innatista non solo non ha prodotto la descrizio-ne completa né della GU, né di una singola lingua nella sua interezza, ma non ha nemmenoelaborato un modello dettagliato di apprendimento basato sulla GU innata, si veda la mo-nografia di Clark & Lappin (2011). Di solito i generativisti si limitano a una retorica piuttostoingenua: «Much of the efforts of innatists […] are spent on showing examples of subtle gram-matical judgements and asking rhetorically “How can a poor child possibly learn this gram-matical rule from the available evidence?” and concluding “It must be innate!”» (Johansson1991: 7).

4.3 Metodo “galileiano”Un difetto tipico della linguistica di Chomsky è la tendenza a trascurare i dati per “far

tornare” la teoria. In un certo senso, l’antiempirismo è insito nel metodo stesso del genera-tivismo. Soprattutto negli anni recenti la tendenza è quella di manipolare arbitrariamentestrutture e categorie per definizione non visibili e non testabili empiricamente.

Facciamo un esempio. Fin dagli esordi il generativismo era basato su due concetti ba-se: i costituenti sintattici (ad esempio, il sintagma nominale), e le trasformazioni (ossia,lo spostamento dei sintagmi da una parte all’altra all’interno della frase). Ora, i costituentisono empiricamente testabili. I test consistono proprio nella manipolazione sintattica deimedesimi; è considerato un costituente quel gruppo di parole che rimane integro duranteuna trasformazione sintattica. Quindi le trasformazioni rappresentano il contesto che defi-nisce il costituente/sintagma. Ma qual è il test per dire che una certa trasformazione effet-tivamente esiste? Nessuno, se non la sua utilità alla teoria. Di fatto, le trasformazioni sonobasate spesso sul principio di autorità, in quanto enunciate da Chomsky. E questo è anchepiù grave dell’anglocentrismo: rende la teoria totalmente infalsificabile (e infatti il numeroe il tipo di trasformazioni cambia di anno in anno, con una velocità impressionante).

Conscio di ciò, Chomsky ha dichiarato di aderire a un nuovo metodo scientifico, chechiama Galileian style. Ossia: le misurazioni dei dati che riusciamo a fare sono imperfettee non sempre ci danno i risultati attesi, ma questo non pregiudica la teoria perché essa èpiù interessante dei dati (che prima o poi torneranno, basta che raffiniamo la misurazione).Per un’analisi del metodo e dei precedenti galileiani si veda Botha (1982). Qui citeremo leparole di Chomsky (2002: 99): «the Galilean style […] is the recognition that it is the abstractsystems that you are constructing that are really the truth; the array of phenomena is somedistortion of the truth [and] it often makes good sense to disregard phenomena and searchfor principles».

Ci sono buoni argomenti per dubitare che tale metodo sia effettivamente ascrivibile aGalileo: «Fischer (1992) argues convincingly that the Galilean Method has been seriouslymisrepresented by Paul Feyerabend. It seems that Chomsky’s ‘Galilean style’ is based not onGalileo’s work but on Feyerabend’s misinterpretation of that work» (Behme 2014: 688, nota19). Quando poi Chomsky cerca di esemplificare l’applicabilità del suo metodo “galileiano”,dice testualmente: «[…] l’economia politica marxista, con le sue astrazioni di vasta portata,ne è un chiaro esempio» (Chomsky 1979: 353).

In generale, le disquisizioni sul metodo hanno spesso il retrogusto di un escamotageper salvare la faccia. Il metodo della ricerca deve trasparire dalla ricerca stessa, deve essere

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non opinabile e comunque condiviso dalla comunità scientifica. Soprattutto, non dovrebbesembrare infalsificabile.

5 Cosa rimarrà di ChomskyLa mia critica è rivolta soprattutto agli aspetti filosofici del pensiero di Chomsky. Però,

la linguistica di Chomsky è molto migliore della sua filosofia. I risultati puramente tecnicisono spesso — benché non sempre — brillanti. La sua Gerarchia delle grammatiche formaliè, ancora oggi, un contributo fondamentale per l’informatica teorica.

Se dovessimo elencare i principali meriti scientifici di Chomsky come autore dovremmoaggiungere anche alcuni risultati raggiunti da altri autori ma grazie al suo framework teorico,il generativismo. Di seguito ne elenchiamo alcuni, tanto per dare un’idea:

1. In generale, l’aver rivolto l’attenzione degli studiosi verso lo studio formale delle strut-ture sintattiche. Ma la portata rivoluzionaria di ciò non va comunque esagerata: nonè vero che Chomsky ha risollevato la linguistica da una palude, né che ha avuto perprimo l’idea di studiare la sintassi.

2. Aver esplorato effettivamente molto a fondo la sintassi della lingua inglese.

3. Più in particolare, aver osservato alcuni fenomeni complessi che prima non eranonoti, e forse non sarebbero stati scoperti senza il formalismo generativista:

(a) Classificazione dei verbi intransitivi in inaccusativi e inergativi.(b) Regole sulla estraibilità di certi costituenti e la non estraibilità di altri dalle frasi

relative (le “isole” sintattiche).(c) Vincoli sulla posizione delle pro-forme rispetto all’antecedente, in dipendenza

dal cosiddetto “c-comando”.

4. Tra i meriti di Chomsky come linguista descrittivista è famosa, ad esempio, la precisaed esaustiva formalizzazione del funzionamento dei verbi ausiliari in inglese, vediChomsky (1957: §5.3). Boeckx (2006: 35) sostiene che questo risultato, già di per sé,convinse molti linguisti a “convertirsi” al generativismo.

Si può comunque obiettare che alcuni di questi fenomeni non sono dei veri fenome-ni, ma dipendono dalla postulazione di certi principi generativisti, di cui sono una conse-guenza. Ad esempio, per credere nelle “restrizioni di estraibilità” bisogna prima convincersidell’esistenza dell’“estrazione” in quanto fenomeno sintattico (cosa non scontata).

L’impressione generale è che la filosofia innatista semplicemente non serva a niente,nel lavoro pratico del linguista generativista. Cioè le varie scoperte elencate sopra potevanoessere state fatte anche in assenza di tale assunto.

Una speranza disattesa è quella riposta da molti nella natura formalista del generativi-smo, la sua apparenza simil-matematica. Purtroppo non è nulla di sostanziale. La matemati-ca non viene usata come strumento di verifica nel generativismo: non ci sono dimostrazionidi teoremi nel senso proprio del termine. Chomsky (2006: 112, nota 12) dice: «In general, aset of rules that recursively define an infinite set of objects may be said to generate this set.

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Thus a set of axioms and rules of inference for arithmetic may be said to generate a set ofproofs and a set of theorems of arithmetic». Tuttavia, il giusto paragone per la sua gramma-tica generativa non sono gli assiomi di un sistema assiomatico-deduttivo, ma piuttosto ladefinizione di un linguaggio formale. Qualche volta nell’ambito generativista si adopera iltermine teorema (ad esempio, il “PRO theorem”, proposto e poi disconosciuto dallo stessoChomsky), ma è difficile parlare di un teorema dimostrato, perché a mancare è proprio laprocedura di dimostrazione (cfr. Sadock 2012: 71).

In generale, mi permetterei di osservare che il lavoro di Chomsky sarebbe andato incon-tro a molte meno critiche e sarebbe stato molto più utile se:

1. avesse proposto l’idea del linguaggio infinito solo come idealizzazione scientifica, noncome una realtà biologica; così, per misurare la lunghezza della strada sotto casa uti-lizziamo la geometria euclidea, con la sua linea retta infinita, però non ci sogniamodi dire che tale strada è una linea infinita;

2. avesse rinunciato all’universalismo della propria teoria ammettendo di descrivere lagrammatica della lingua inglese, non la presunta grammatica universale; in assenzadi questa ammissione una buona parte dei suoi risultati continua a essere smentitadai dati non inglesi;

3. avesse rinunciato a legare la propria teoria linguistica a presupposti biologici (geneti-ci, fisiologici, evoluzionistici ecc.): sbagliare qui è fin troppo facile mentre il vantaggioper l’analisi linguistica in senso stretto è quasi inesistente.

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