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Athanor. Linguaggio e mondo PDF

Date post: 04-Nov-2023
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ATFIANOR Arte. letteratura, scmiotica, filosofia Direttori Augusto Ponzioe Claude Gandelman Numeri monosrafici.Periodicità annuale UNIVERSI DI DIS('ORSO. RIFI-LSSIONI Patrizia Calefattr Antonella Giannone FabriceWilhclm CosimoCaputo MONDO COME OGGITTTC) DtrL DISCIORSO FII-OSOF l('o E SEMIO-|I('O Augusto Ponzi<,1 Giuseppe Cascione Susan Petrilli DISCORSO MITOLOCICO, CULTURE, TRADIZIONI MariaSolimini Susan Petrilli Margherita De Michiel N. ó, 1995 MONDO Presentazione 9 Mondo - modu - mondunct 25 Abitazioni del collettivo 30 Une vision mélancolique du monde! 3-5 Ombre d'oggi Mondo e non-indifferenza Linguagio e tlescrizione del mondo nel Tractatus di Wittgenstein I segnidel mondo nella semiotica di ThomasA. Sebeok Invenzionedel mondo e leg,ittimazione della differenzasessuale nei miti pueblo Il tempo del sogno o dell'inbio del mondo nei racconti degli aboigeni arctraliani Mirovoe Drevo. Arbor Mundi 45 52 tul 77 89 98
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ATFIANORArte. let teratura, scmiot ica, f i losof ia

Diret tor i Augusto Ponzio e Claude GandelmanNumeri monosrafici. Periodicità annuale

U N I V E R S I D I D I S ( ' O R S O .

R I F I - L S S I O N I

Patrizia CalefattrAntonella Giannone

Fabrice WilhclmCosimo Caputo

MONDO COME OGGITTTC)

D t rL D ISCIORSO F I I -OSOF l ( ' o

E SEMIO- | I ( 'O

Augusto Ponzi<,1Giuseppe Cascione

Susan Petri l l i

DISCORSO MITOLOCICO,

CULTURE, TRADIZ IONI

Maria Solimini

Susan Petri l l i

Margherita De Michiel

N. ó, 1995MONDO

Presentazione

9 Mondo - modu - mondunct25 Abitazioni del collettivo30 Une vision mélancolique du monde!3-5 Ombre d'oggi

Mondo e non-indifferenzaLinguagio e tlescrizione del mondo nelTractatus di WittgensteinI segni del mondo nella semioticadi Thomas A. Sebeok

Invenzione del mondo e leg,ittimazionedella differenza sessuale nei miti puebloIl tempo del sogno o dell'inbio del mondonei racconti degli aboigeni arctralianiMirovoe Drevo. Arbor Mundi

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GIUSEPPE CASCIONE LINGUAGGIO E DESCRIZIONE DEL MONDONEL TRACTATUS DI WITTGE,^/STE11V

l. Il concetto di mondo

Nel Tractatus Logico-Philosophicusr di Ludwig Wittgenstein esiste un gruppo di pro-posizioni che riguardano direttamente i l concetto di mondo, che vanno dalla numero Ia l la numero 1.2.

I

l . 1

1 . 1 l

1 . 1 2

1 . 1 3

1 .2

Il mondo è tutto ciò che accade.

Il mondo è la totalità dei fatti. non delle cose.

Il mondo è determinato dai fatti e dall'essere essi tutti i fatti.

Chè la totalità dei fatti determina ciò che accade, ed anche tutto ciò che non accade

I fatti nello spazio logico sono il mondo.

I l mondo si divide in fatt i .

Queste proposizioni, che insieme ad altre successive, parlano del mondo senza rife-rirsi in alcun modo ad un soggetto che vi agisce potrebbero far pensare ad un atteggra-mento metafisico di Wittgenstein, una tendenza a considerare i l mondo come "idea delmondo" 2.

143 "i l mondo è la totalità dei fatti" (Tatsachen), sostiene Wittgenstein, stabilendoin tal modo una relazione tra i due termini che non è sintetica. né sommatoria. La rela-

' Citeremo L. Wittgenstein, Tmctatus Lr4ico-Philosophícru, in Wet*ausgabe, Band 1, Suhrkamp Verlag,Frankfurt am Mein, 1984, nella traduzione italiana di A.G. Conte. Tractatus Logrco-Philosopàicus, Einaudi,Torino. 1989.

: Cfr. su questo punto G. Weiler, The olilorld, of Actions and the ol'l/orld, of Evens, in .ftgyus Interna-tionale de Philosophie", n. 70, l9ó4, pp.439-457. 52

I fatt i e gl i "stat i di cose

zione che qui si individua, e che verrà sottolineata come una caratteristica fondamentale

di una rif lessione sulla nozione di mondo, è una non-relazione, poiché si configura come

una identrtà. I l mondo è (è uguale a) i fatti che ivi accadono, pertanto risulta essere non

un'idea, un concetto metafisico che sta al di là dei fatti, ma esso è in relazione di totale

coincidenza con essi.È seguendo questo ragionamento che si passa dal dubbio di "idealismo" ad un'ipo-

tesi di "realismo" della fi losofia wittsensteiniana.

2.063 La realtà tutta è i l mondo.

Se accettassimo la premessa che il concetto di mondo presentato da Wittgenstein sia

di t ipo "realista", la citata proposizione 2.063 risulterebbe evidentemente i l manifesto di

questa concezione. Anche in questo caso I ' identità tra i due concetti di realtà (Wirkli-

chkeit) e di mondo farebbe sì che se volessimo andare a cercare i l significato del primo

termine saremmo costretti a formulare una di quelle tipiche domande che il f i losofo

avrebbe considerato "insensate".Difatti I'uso dell'aggettivo "tutto" e del sostantivo "totalità> nelle proposizioni 1,

1.1, 1.11,2.063 (rispettivamente: alles, Gesamtheit, alle, gesammte) non lascia spazio ad

interpretazioni più o meno articolate: mondo, fatti e realtà sono tre termini che intendo-

no formulare in modi differenti, con parole differenti, lo stesso concetto.Ma c'è un quarto termine che indica ancora quel concetto: i l termine "stati di cose>

(sachverhii lten), sinonimo a sua volta di "ciò che accadeo (was der Fall).

Ciò che accade. il fatto. è il sussistere di stati di cose.

2.01 [,o stato di cose è un nesso d'oggetti (entità, cose)

2.01 I È essenziale alla cosa poter essere parte costitutiva d'uno stato di cose.

Anche qui la relazione tra gli stati di cose e gli oggetti, entità o cose (Gegenstiinden, Sa-

chen, Dingen) è una relazione del tutto esaustiva, nel senso che non può esistere un og-getto che non faccia parte di uno stato di cose e che, ancora, non possa, in termini di

possibil i tà, far parte di innumerevoli ed imprevedibil i stati di cose.Fissata dunque I'identità tra mondo, ciò che accade, fatti, realtà e stati di cose -

quindi chiarito in via preliminare I'ambito del discorso - dovremmo anche poter parlare

di questa identità dalla parte di chi agisce nel mondo, dei soggetti che attraverso i propri

atti linguistici danno vita ai fatti, alla realtà, fanno sì che accada qualcosa, che si determi-

nino stati di cose.Ma di che tipo è la relazione tra il mondo ed il soggetto che del mondo parla?

4.023 t-a realtà dev'essere fissata dalla proposizione sino al sì o no.All'uopo la realtà dev'essere descritta completamente dalla proposizione.La proposizione è la descrizione d'uno stato di cose.53

Uno dei concet t i card inal i de l la metodologia f i losof ica wi t tgenste in iana è i l concet to d i

descrizione. Più volte, e con ragione, si è sostenuto che tutto quanto rimane come stru-

mento euristico alla fi losofia novecentesca, è la possibil i tà di descrivere le cose r. Se la fi-

losofia di Wittgenstein è fi losofia del l inguaggio - e la carica riduzionista di tale affer-

mazione è del tutto trascurabile alla luce della circostanza secondo cui per Wittgenstein

tutto è l inguaggio -, parlare significherà senz'altro porsi in relazione con gli stati di co-se, creando mediante atti l inguistici ulteriori stati di cose che modificano i precedenti.

Questa relazione è una relazione descritt iva. Ma è anche una descrizione eticamente VE-

RA. Anche qui i l termine chiave è la parola (completamente> (vollstanding) che compa-

re in 4.023. Infatti non stiamo parlando della descrizione mera, quella che si l imita all 'a-spetto esterno dell 'oggetto. Stiamo, al contrario, parlando della proposizione che, attra-verso un atto l inguistico di t ipo descritt ivo, si pone in comunicazione con la struttura in-terna dello stato di cose che descrive. La proposizione è una sorta di atto dettato dall 'og-getto che si vuole descrivere; essa si affida completamente allo stato di cose, che imponele regole per la propria manifestazione. L'esito, sul piano logico, sarà la possibil i tà di de-rivare I 'esattezza o la falsità della proposizione dal confrclnto sempre possibile con leproprietà interne dello stato di cose descritto, quindi della realtà. I l tr ibunale di ult imcrgrado che decide del retto parlare di un soggetto è, infine, i l mondo stesso.

Ancora in 4.023 si legge:

La propxlsizione costituisce un mondo con l'aiuto d'una armatura logica, e perciò dalla proposr-zione si può vedere come si comporta tutto ciò che è logico, se la proposizione è vera. Da unaproposizione falsa si possono trarre conclusioni.

La struttura logica interna del l inguaggio - articolato qui in forma di proposizionrdescritt ive - è tale da mettere in grado il soggetto parlante, non solo di produrre unadescrizione sugli stati di cose, ma addirittura di costituire i l mondo, di crearlo a.

Egli può fare ciò - sempre che parli in modo vero e proprio perché esiste <una ar-matura logica" che appartiene anche allo stato di cose. Questa parte del l inguaggio è an-che una parte del mondo. Siamo ancora di fronte ad una non-reluzione, ad una identitàtra l inguaggio e mondo, almeno per quel che attiene a questa parte comune.

C'è un unico inconveniente sul quale Wittgenstein ci awerte: questa forma logica èirrappresentabile attraverso i l l inguaggio. Lo stesso potere di rappresentare la realtà nonpuò essere a sua volta rappresentato, cioè quando noi tentiamo di descrivere i l l inguag-gio stesso, di produrre un'analisi che ci metta in grado di isolare questo "fattore comu-ne" (analisi metalinguistica), ci accorgiamo che il meccanismo si ripete e la forma logicasi sposta altrove. I l l inguaggio si trasforma a sua volta in stato di cose e potremo parlaresolo a patto di essere situati al suo interno, a patto di farci dettare la logica delle propo-sizioni dalle sue proprietà interne. Non riusciamo ad uscire dal l inguaggio, così come

r Cfr. J. Lrar, Leaving the llorld Alone, in "The Journal of Philosophy", (LXXIX), n. 7, 1982, pp. .ltl2-403.

o Sul problema del rapporto tra linguaggio e mondo si rimanda a J.V. Canfield. Wittgenstein: Langngeand the Wolrd. Amherst, The Universitv of Massachussetts Press, 1981.

Dcscrizionc dcrl l i slat i di cose

L ' indcscr iv ih i i i t l de l la f o rma lo t tc r r

<A

non riusciamo ad uscire dal mondo.

l 1 ' )

Siamo di fronte ad una cgncezione monista, che produce le proposizioni relative alla

"sostanza del mondo".

2.021 Gli oggetti formano la sostanza del mondo. Perciò essi non possono essere compostl.

2.()211 Se il mondo non avesse una sostanza, l 'avere una proposizione senso dipenderebbe al-

lora dall 'essere un'altra proposizione vera'

Da tutte queste proposizioni appare chiaro che la visione wittgensteiniana sia una visione

monista. non già, tuttavia, di t ipo strutturalistico. Non si parla qui di una struttura del

monclo che in qualche mocjo risulta staccata da esso o che può essere analizzata in modo

autonomo dai fatti 5. Siamo qui in presenza di una visione molto vicina a quella di Spino-

za. cli cui sappiamo per certo che Wittgenstein era un attento lettore'

2.0231 La sostanza del mondo può determinare solo una forma, non già proprietà materiali.

Infatti queste sono rappresentate solo dalle proposizioni - sono formate solo dalla con-

figurizione degli oggctti.

I l rapporto che qui si instaura tra sostanza del mondo e proposizione o, se si vuole, tra

forma e proprietà materiali, r icorda quello che vige in Spinoza tra la sostanza e i suoi at-

tributi. Lì come in questo caso le due cose non possono essere svincolate I 'una dall 'altra:

i l rapporto che esistè tra i l tutto e le singole parti non è di semplice appartenenza, ma di

totale identità 6.

2.026 Solo se vi sono oggetti puo esservi una fbrma fissa del mondo'

Per questo è impossibile che vi sia una forma sostanziale del mondo senza oggetti, e vice-

versa che ci siano oggetti <staccati> (quanto alla propria forma) da altri oggetti. Tutti

questi oggetti nella loro interezza e nella forma di "gruppi di oggetti" (stati di cose) sono

ii mondò. Wittgenstein ribadisce ciò che ha più volte affermato nella prima proposizione

del Tractatus. che cioè:

5 Si veciano a questo proposito lc proposizioni 2.032, 2.033, ove la struttura sia I'attributo e la Forma la

Sostanza. [-a forma è la possibilità che i propri modi si realizzino, il quadro che permette ai modi di manife-

stars i .. euesti elementi comuni tra Wittgenstein e Spinoza sono in parte scandagliati da J. Buchler, On the

Concept of ahe ltortd,. in .The Review of Metaphysics', (XXXI), n. 124, 1978, pp. 555-579 Mi corre altresì

obhl igo c l i menzionarc lc ut i l i d iscussioni con F.S. Nis io su alcuni dei temi qui svol t i .

L,a proposizione può rappresentare la realtà tutta, ma non può rappresentare ciò che,

con la realtà. essa deve avere in comune per poterla rappresentare - la forma logica.

Pcr poter rapprcsentare la forma logica. noi dovremmo poter si tuare noi stessi con la

nroposizionc fuori dcl la logica. ossia fuori del mondo

l-a sosîanza dcl nrondir

5 5

2.M [-a totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo'

2. La descrizione del mondo

2.1. Linguagio e mondo

La fiducia di Wittgenstein nella possibilità di descrivere totalmente il mondo attra-

verso il linguaggio è completa. Ancora una volta questa "certezza infondata" riguardo al-

Ia traduzione iinguistica degli stati di cose è testimoniata dal frequente e convinto uso

delle parole tuttó, completamente, ogni 7. Naturalmente, anche sotto il profilo logico,

questa circostanza rende intelligibile la famosa proposizione 7, dato che la convinzione

estrema di Wittgenstein nell'efficacia del linguaggio come strumento di descrizione reca

con sé la negazione di senso di tutto ciò che è esterno al linguaggio stesso e quindi al

mondo.La piena descrizione del mondo awiene attraverso due tipi di proposizione secondo

\ilittgenstein: le proposizioni elementari e quelle generalizzate.

4.26 L'indicazione di tutte le proposizioni elementari vere descrive i l mondo completamente.

Ir proposizioni elementari sono quelle che coordinano un nome con l'oggetto cui il

nome si rifèrisce. Servono pertanto a descrivere immediatamente. ma con precisione, un

determinato oggetto.Vi sono poi le proposizioni generalizzate, che servono a descrivere "serie di ogget-

ti", stati di cose, o addirittura, situazioni o giudizi che riguardano il mondo nel suo com-

plesso. Esse, owiamente, sono proposizioni che restano indeterminate, poiché si riferi-

scono ad un oggetto indeterminato e, anzi, infinito nella sua complessità e nella comples-

sità delle sue infinite possibilità.Purtuttavia:

5.526 Si può descrivere completamente il mondo mediante proposizioni perfettamente gene-

ralizzate

Ma in che relazione stanno le proposizioni elementari e quelle generalizzate?

Partendo dal presupposto che il mondo è composto da una quantità di oggetti e fatti e

che questa quantità può essere totalmente (ancorché infinitamente) descritta attraverso le

proposizioni elementari, si dovrebbe dedurre che non esiste alcun margine indeterminato

òhe ecceda queste ultime. Il problema è, tuttavia, che le proposizioni elmentari possono es-

sere vere o false e che, data la presunta coincidenza tra queste e il mondo, "la verità o falsi-

tà d'ogni proposizione àltera qualcosa della struttura generale del mondo, (5.5262).

7 In particolare riguardo alla relazione linguaggio-mondo si vedano le proposizioni 4.014, 4.2211, 4.26,5.123, 5.4'7 11, 5.5 1 1, 5.526. 56

I l logicità di un mondo "i l logico"

Questo margine ,,nebuloso' del mondo, che non ci consente di determinarlo intera-mente (poiché è difficile espungere I'errore dal nostro linguaggio) è quel margine ..che

alla struttura del mondo è lasciato dalla totalità delle proposizioni elementari, è proprioquelfo che le proposizioni affatto generali delimitano" (5.5262).

In altri termini questa nebulosità della massa linguistica e del mondo, alla luce dellafiducia di Wittgenstein nella possibilità di traduzione linguistica totale e completa, risultaprevedibile anche nel suo margine non determinatamente totalizzabile, attraverso le pro-posizioni di generalità. In ultima analisi attraverso la logica.

Questa impostazione di Wittgenstein tende a risolvere anche il problema della tra-sformazione continua del linguaggio, che viene "compresa" a partire dall'ossimoro con-cettuale che vede la logica fissare un "confine indefinito" agli usi linguistici.

2.2 La logca del mondo

Se il nostro pensare uno stato di cose equivale, per Wittgenstein, alla nostra capacitàdi "fa1gi un'immagine di esso" (3.001) e se quindi .,l'immagine logica dei fatti è il pensie-ro" (3), se ne deduce che;

3.03 Noi non possiamo pensare nulla di illogico, poiché altrimenti dovremmo pensare illogcamente.

Cioè, qui Wittgenstein ci awerte che anche il pensiero - che solitamente siamo abi-tuati a considerare come un'entità priva di elementi di "costrizione", completamente liberae svincolata dalla limitata realtà - è in qualche modo costretto all'interno di una forma lo-gica. Anch'esso dunque ha "qualcosa in comune" con il mondo, non può non averlo.

Wittgenstein va ancora più avanti:

3.031 Si diceva una volta: Dio può creare tutto, ma nulla che sia contro le leggi logiche. -Infatti, d'un mondo <illogico> noi non potremmo dire quale aspetto esso avrebbe.

Al di là dell'aspetto "teologico", ciò che rileva di questa proposizione, sotto la spe-cie delle nostre capacità di dire il mondo (ma anche, come abbiamo visto, di pensare ilmondo), noi non possiamo in alcun modo fare ipotesi su delle realtà che siano illogiche,cioè totalmente altre rispetto al mondo. Il nostro "limite", il limite del nostro linguaggiologico, sta proprio in questo, che noi non possiamo descrivere altro se non ciò che ha al-meno un punto, qualcosa di comune con noi. Infine il mondo non può essere descrittoche dal suo interno, che da se stesso.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una premessa che conduce direttamente aquanto enunciato nella proposizione numero 7.

3 . t2 Il segno mediante il quale esprimiamo il pensiero, io lo chiamo il segno proposiziona-le. E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione di proiezione con ilmondo.57

I l nostro pensiero si esprime mediante i l segno. E i l segno che definisce dunque la mocla-l ità della nostra relazione con il mondo, che è ,.una relazione di proiezione con il mon-do". "I l metodo di proiezione è i l pensare i l senso della proposizione" (3. l1), però. sic-come alla proiezione non appartiene i l proiettato. nel segno non è tanto contenuto i l sen-so della proposizione, quanto

"la possibil i tà d'esprimerlo" (3.13).

Alla luce di questo si può interpretare la relazione tra espressione e simbolo.

3 .31 Ogni parte del la proposizione che ne caratterizzi i l senso. io la chiamo un'espressione(un simbolo).

(La proposizione stessa è un'espressione).

Espressione è quanîo d'essenziale al senso della proposizione le proposizioni possonoaver in comune I 'una con I 'al tra.

L'espressione contrasseena una forma e un contenuto.

Ciò che viene fuori - ma non da una sola proposizione - è I 'espressione. i l simbo-lo mostra se stesso pur non essendo un contenuto. Nella 3.3 11 si fa ricorso ad una locu-zione molto interessante, cioè si descrive l 'espressione come il <carattere comune d'unaclasse di proposizioni". In effetti qui ri leva una sorta di f isiognomica del l inguaggio, poi-ché proprio la stratif icazione delle proposizioni rivela (in trasparenza come nell 'esperi-mento di Galton) un "carattere". che è ciò che caraîterizza un tipo logico. Si potrebbedire che oltre a caratterizzare una forma e un contenuto, I'espressione rivela il Volto diuna classe proposizionale. Anzi la forma e i l contenuto di un gruppo di proposizioniomogenee fra di loro si esprime ricorrendo al Volto come simbolo espressivo.

Siamo qui in presenza di un elemento costante che awcina il Tractatus alle Philoso-phische Untenuchungen, al di là di ogni presunta frattura nel pensiero filosofico di Wit-tgenstein: questa versione fisiognomica, che serve ad andare oltre la teoria dei t ipi. appa-re sviluppata in seguito nella teoria delle "somiglianze di famiglia" dal cosiddetto II Wit-tgenstein.

Una simile l inea interpretativa troverebbe un altro richiamo anche più oltre. nelTractatus.

6.124 tr proposizioni della logica descrivono I'armatura del mondo, o, piuttosto, la rappre-sentano. Esse non trattano di nulla. Esse presuppongono che i nomi abbiano significa-to, e le proposizioni elementari senso: E questo è il loro nesso con il mondo. dchiaroche deve indicare quaìcosa sul mondo il fatto che certi nessi di simboli - che per es-senza hanno un determinato carattere - siano tautologie. In questo è il fatto decisivo.Dicemmo che nei simboli che usiamo qualcosa è arbitrario, e qualcos'altro non è arbi-trario. Nella logica solo quest 'altro esprime. Ma cio wol dire: Nella logica, non siamonoi ad esprimere con I'aiuto dei segni, ciò che vogliamo; nella logica è la natura stessadei segni naturalmente necessari ad esprimere. Se noi conosciamo la sintassi loeicad'un qualsiasi linguaggio segnico, sono già date tutte le proposizioni della logica.

Seeni ed csoressionc dcl mondo

58

l ncons is îcnza de l l c îeor telogiche r iduzioniste

Oltre al più volte citato nesso tra logica e mondo, qui si va a fondo anche sul problema

del convenzionalismo e del naturalismo linguistico. La logica, qui Wittgenstein lo affer-

ma in modo perentorio, tratta di ciò che non è arbitrario, cioè delle tautologie'

I l primó esito di questa affermzzione è rappresentato dal fatto che pur trattando la

logica ài tautologie, .rro non perde di importanza ai nostri occhi' I l fatto che sia "insen-5,313" (cioè che non contenga alcun senso eccedente le proprie proposizioni) non vuol

.di-re che la logica non sia .rì."ru."nte importante nel l inguaggio: essa, al contrario, è i l

luogo attraverso cui i l l inguaggio stesso riesce ad esprimersi ricorrendo semplicemente

alla ripetizione delle affermaiùni - apparentemente vuote ed inuti l i - r iguardanti i l

propno essere.Il secondo esito è relativo al rapporto tra linguaggio e natura. L'essenza della logica

in quanto armatura del mondo si espiime nel l inguaggio dei segni' Siamo qui tornati alla

famosa questione - dibattuta per la prima volta già nel Cràti lo di Platone - del natura-

lismo linguistico. In questa proposizlone Wittgenstein sembra propendere per un'inter-

pretazioné naturalistica della genesi del l inguaggio' cioè sembra suggerire che esistono

iegole - forme logiche - che inducono i segni ad essere naturalmente così e non altri-

mànti, in ossequio alla propria funzione espressiva. Anche questo è un luogo i cui ele-

menti verranno sviluppaìi nel II Wittgenstein, laddove solo si pensi alla teoria del "l in-

guaggio come uso", i ire deriva in larga misura da una visione linguistica strumentale e

naturalistica 8.

Questa messa in questione del soggetto, che non si esprime in modo assolutamente

libero. è anche la me.ssa in discussione dei sistemi logici che vogliono "informare" i l

mondo.

6.34 I l-a meccanica newtoniana, acl esempio, riduce la descrizione del mondo in forma uni-

taria.

59

per Wittgenstein <la meccanica è un tentativo di costruire tutte le proposizioni vere, che

ci servoó per la descrizione del mondo, secondo un unico piano" (6.343). Come tale,

dunque, è uno dei tentativi riduzionisti meglio riusciti ' ma, proprio per questo' più peri-

colosi. Pur non demonizzando le teorie riduzioniste (ne sia prova la 6'3431) e pur non

indulgendo ad una fin troppo facile relativizzazione del proprio punto di vista' Wittgen-

stein considera queste ipotesi troppo ristrette; esse tengono fuori I'infinita quantità di

possibil i tà da noi non conosciufaed anzi da noi imprevedibile-

Il mondo è totalmente imprevedibile, sembra dirci Wittgenstein. Esso si rinnova

sempre e continuamente.

6.371 Tutta la moclerna concezione del mondo si fonda sull'illusione che le cosiddette leggi

naturali siano le spiegazioni dei fenomeni naturali'

L'errore sta nel voler spiegare mediante le leggi i fenomeni naturali, quando si può solo

" Cfr. J.F.M. Hunter, Wittsenstein on Words as Instruments, Edinburgh, Edinhurgh University Press. 1990'

descrivere i fatti accaduti. Contro la legge della causalità, che governerebbe con la spte-

tatezzadella necessità I'accadere dei fatti nel mondo, Wittgenstein sostiene che:

6.3'7 Una necessità cogente, secondo la quale qualcosa debba awenire poiché qualcos'altro

è awenuto. non v'è. V'è solo una necessità logica'

In ult ima analisi anche <il caso piir semplice" (6.3631) può non accadere, può riservarci

delle sorprese.

6.36311 Che il sole domani sorgerà è un'ipotesi; e ciò vuol dire: Noi non sappiamo se esso sor-gerà.

Insomma:

6.373 Il mondo è indipendente dalla mia volontà'

È anche questo un ulteriore elemento comune al I e al II Wittgenstein. Egli conclu-

se - per quanto è in nostra possibilità accertare - la propria attività filosofica, tornan-

do su un concetto espresso già nel Tractatus proprio a questo riguardo:

6.374 Anche se tutto ciò che noi desideriamo awenisse, tuttavia ciò sarebbe solo, per così di-re, una grazia del fato, poiché non v'è, tra volontà e mondo, una connessione logicache garantisca ciò, e la supposta connessione fisica non potremmo certo volerla a suavolta.

ln Uber Gewissheit si legge:

676 <Ma anche se in casi del genere non posso sbagliarmi - non è possibile che io sia sot-to narcosi?' Se sono sotto narcosi, e se la narcosi mi priva della mia coscienza, allorain questo momento non sto realmente parlando e pensando. Non posso seriamentesupporre che in questo momento sto sognando. Chi, sognando, dica: <Io sognor, an-che se parlasse in modo da essere udito, non avrebbe più ragione di quanta ne avrebbese, in sogno, dicesse <piove", mentre piove dawero. Anche se il suo sogno fosse real-mente connesso con il mmore della pioggia.

Che tutto questo sia importante anche da una prospettiva più "elevata" lo testimo-nia la semplice circostanza che la proposizione 676, che figura come ultima nella raccoltache appunto va sotto il nome di Uber Gewissheit, sia stata scritta il 29 aprile 1951, a solidue giorni da una morte del cui approssimarsi Wittgenstein era perfettamente consape-vole. Anche il caso più semplice, la Morte, apparentemente il più scontato, cioè la circo-stanza che moriremo tutti, I'Essere-per-la-Morte), può essere negato alla luce di questeproposizioni. Non è affatto scontato che io debba morire, nessuna legge è valida a pro-posito. Ed anche se, morendo, io dicessi ,,Muoiolo e quasi contemporaneamente morissidawero, il mio morire non sarebbe realmente connesso con il mio parlare della miamorte. 60

\oggctto come l imitc del mondtr

3. I limiti del mondo

3.1. "Das Mystusche,

È abbastanza diffusa I'idea che sia proprio il concetto di Mistico, <Das Mystiche"' a

sottrarre Wittgenstein ad un'interpretazions di t ipo neo-positivista. La definizione da cui

vogliamo partire è la seguente:

6.45 [.a visione del mondo sub specie aeterni è la vizione di esso come una totalità - deli-

mltata -.Il sentimento del mondo come una totalità delimitata è il sentimento mistico.

ln questa sede non potremo non soffermarci in maniera conclusiva su questo passag-

gio finale del Tractatus òtt" tt" suscitato tante perplessità da far. sostenere a molti autort

óne e qui che il "sistema filosofico di Wittgenstein mostra tutti i.suoi limiti'q. che sia una

questione di l imiti del mondo, del l inguaggio e quindi del dicjbile Wittgenstein lo sostre-

ne esplicitamente in una impegnativa pròposizione, in cui afferma che oi limiti del mio

linguaggio significano i l imiti del mio mondo> (5'6) 'u'-

Fàòciamo un passo indietro. Per Wittgenstein le proposizioni elementari esauriscono

i fatti del mondo, la logica - come si è visto sopra - coincide con i fatti, con gli enti, gli

oggetti, gli stati di cosà che compongono il mondo, di cui condivide la forma' C'è, in al-

tr!-parol"e, una coincideîza tra i-singoli fatti e il linguaggio che li descrive, un'immanen-

za totale del linguaggio nella vita, nel mondo'Vi è, a questo riguardo, un gruppo di proposizioni che chiariscono il rapporto che

esiste secondo Wittgenstein tra il soggetto e il mondo'

5.62 euesto pensiero dà la chiave per decidere la questione, in quale misura il solipsismo

sia una verità.Ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo, non si può dire, ma mostra.É.

Che il mondó è il mio mondo si mostra in ciò, che i limiti del linguaggto (dell'unico

linguaggio che io comprenda) significano i limiti del mio mondo'

Questa prima proposizione introduce la questione del soggetto legata al solips-ismo

filosofico (con suggestàni schopenhaueriane) e al rapporto tra-soggetto e mondo' ch^e ci

interessa qui diretiamente. Witigenstein ribadisce quanto ha affermato nella 5.6 e raffor-

za questa convinzione quando "if"r*u

che ,,io sono il mio mondo> (5'63)' Qui si colloca

, Su questo punto sono stati espressi vari ed autorevoli pareri: B. Russell, lntmdfizione' in Tracntus Logi-

co-philosojhicus, iu .ur. di A.G. Conte) Torino, Einaudi, 1989, p. XLIV; M. -Black, Manuale per iI "Tmctatu'

s" di Wittgenstern, Roma, Lrbaldini, 196i, p.363; Fung Yu-Lan' S'g": d:Jh,flt:ofia cinese' Milano' Mondado-

ri, 19871 ó. nO; U. Blanchot, La comunitò inconfessabile, Milano, Feltrinelli, 1984, p' 84. .. l'0 Cfr. M. Cacciari, Krisis. Sagio sulla crisi del pensiero negativo da Nieetche a Wtttgerstein, Milano, Fel-

trinelli, 1976, pp.91,98. Si veda àiche lo scritto critico sul saggio di Cacciari F' Amendolagine, G' Franck'

lVittgenstein: dàl'nmondo-tutto-limitato, al opunto di vista del gioco,, in nNuova Corrente>, nn"72'73' 1917, pp'

142- 156.6 l

i l soggetto - che per la fi losofia (anche di Schopenhauer) è sempre stato un <soggetto me-tafisico" - a pieno titolo all ' interno del mondo. La questione non è però in tal modo liqui-data. lnfatti Wittgenstein si chiede: <ove, nel mondo, vedere un soggetto metafisico?"(5.633) La risposta è la seguente: <il soggetto non appartiene al mondo, ma del mondo è unlimite" (5.632). Questa è I ' idea fondamentale, che apre le porte alla questione etica rr.

Accanto alle proposizioni elementari, abbiamo visto che ci sono, nel sistema di Wit-tgenstein, anche Ie proposizioni generalizzate, che operano sulla totalità del mondo e nemodificano i confini r2. Anche le prescrizioni morali agiscono in questo modo e con essele azioni e le volontà che stanno loro dietro e che noi usiamo qualif icare come "buone"o "cattive".

6.43 Se i l volere buono o catt ivo àltera i l mondo, esso può alterare solo i l imit i del mondo.non i fatti, non ciò che può essere espresso dal linguaggio. In breve, il mondo alloradeve perciò divenire un altro mondo. Esso deve, per cosi dire, decrescere o crescere lntoto. I l mondo del fel ice è un altro mondo che quello del l ' infel ice.

Oltre alle proposizioni generalizzale in sé considerate (quel crescere e decrescere in totodei margini del mondo) in questo passaggio ri leva la connessione tra esse e quelle ele-mentari: queste ult ime sono considerate sempre esaustive rispetto all 'esistenza ed alladescrivibil i tà dei fatti del mondo, mentre le prime presiedono alla "definizione indefinr-ta" dei l imiti del mondo. Tutto insomma va comunque considerato dal punto di vista delsoggetto singolo, poiché il mondo è sempre il mio mondo. E per questo che il mondo delfelice è completamente altro rispetto a quello dell ' infelice: per lo stesso motivo per i lquale "alla morte i l mondo non si àltera, ma terminao (6.431). Proprio perché il imiti delmondo sono i l imiti del mio mondo, le azioni possono alterare i l l imite del mio mondo(quindi del mondo tout court) e renderlo, per me, non solo più esteso o più angusto, maaltro. E fondamentale osservare che proprio in virtù di questa equivalenza tra il mondoed il soggetto, attraverso il linguaggio viene ad alterarsi anche quest'ultimo. Si assistedunque non solo alla sottrazione del soggetto alla metafisica, ma anche ad un vero e pro-prio attacco decisivo nei confronti della centralità fi losofica dell ' identità. I l soggetto, at-traverso I'azione, attraverso il linguaggio concepito in senso etico, viene a sua volta alte-rato in quanto l imite del mondo.

6 .41 Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto awienecome awiene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se unvalore che abbia valore v'è, esso dev'esser fuori d'ogni awenire ed essere-cosi. Infatti.ogni awenire ed essere-cosi è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non puòessere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev'essere fuori delmondo.

I' Cfr. L. Wiesenthal, l/isual Space from the Penpective of Possible-lltorlds semantics, in "Synthese,,, vol.56. n. 2, 1983, pp. 199-238.

12 Cfr. T.R. Martland, On oThe Limits of My Language Mean the Limits of My World,, in .fhg Review ofMetaphysics", (XXIX), n. 113, 1975, pp. 19-26. 62

Vis ionc c t i c ( ) 'es te t i ca dc l mond, t

ó3

Sulla base di questo annihil imento di sapore nietzscheano dei valori, non bisogna

pero ritenere che I 'esito di Wittgenstein sotto i l profi lo etico possa essere solo di t ipo

pessimistico o relativistico. Certo "l 'etica non può formularsir ' (6.421) perché "l 'etica è

trascendentale" (i<t.), quindi collocata al di fuori del mondo, proprio perché non potreb-

be far parte di un mondo di accidentalità.Ma queste considerazioni conducono Wittgenstein ad una espressione (posta fra pa-

rentesi) che in qualche modo apre al Mistico, cioè rompe il muro apparentemente in-

f rangib i le c le l la d isperazione: " (Et ica ed estet ica sono tut t 'uno)" ( id . ) . Su questo concet-

ro tornerà più tarcli, tra i l settembre 1929 e i l dicembre 1930, nella cosiddetta (conferen-

za sull 'eticar,, in cui aclotterà una "felice" espressione per spiegare cosa si prova quando

si viene a contatto con quello che solitamente definiamo I'assoluto, i l non transeunte. In

questi casi egli è portato a pronunciare frasi come: (quanto è straordinaric che i l mondo

esista>rr . Ecco dunque che questa esper ienza del l 'assoluto è un 'esper ienza et ica. perché

riferita a qualcosa che nella sua trascendenza assoluta da' valore al mondo; ma è anche

un'esperienza estatica, che nella sua componente percettiva si traduce in sensazioni di

piacere estetico .per eccellenza,, ", nella contemplazione del mondo - che esso è.

Vi sono, infine, tutte le proposizioni più note su questo argomento, che ci ricordano

I' indicibil i tà e I ' inrraducibil i tà dell 'esperienza estetica che proviamo contemplando il

mondo a partire dalla considerazione della sua finitezza ed alla luce dell'enigma della

sua e della nostra intemporalità (sub specie aeterni). Queste proposizioni portano in tut-

ta chiarezza alla luce la possibilità di cui noi disponiamo di intuire il mondo. Senza do-

ver necessariamente fare ricorso alle l imitate capacità della logica e del l inguaggio, che

pure sono gli unici strumenti di cui disponiamo.

rr Cfr. L. Wittgenstein. Lectures on Ethics, in "'I'he Philosophical Review'. LXXV, 19ó5, tî. it. Leziont e

convenazioni, Milano, Adelphi, l9ó7, p. 13.' o I d . . p . 1 2 .


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