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IDENTIFYING FACTORS FOR DAIRY FARM SURVIVAL IN ITALY: A DISCRIMINANT ANALYSIS

Date post: 12-Nov-2023
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1 Remarks: Francesco Ansaloni e Fabrizio Ferretti sono, rispettivamente, Ricercatore e Dottorando di Ricerca presso la Sezione di Economia del Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agro-Alimentare (DIPROVAL) - Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Bologna, Reggio Emilia. Alessandro Duca è Responsabile del Settore Zootecnico, Divisione Approvvigionamento Materie Prime, del Consorzio Emiliano Romagnolo Produttori Latte "Granarolo-Felsinea" (CERPL). Le opinioni qui espresse impegnano solamente gli Autori. I paragrafi 1 e 2 sono da attribuire al Dott. Francesco Ansaloni, il paragrafo 3 al Dott. Fabrizio Ferretti, il paragrafo 4 ad entrambi. La raccolta dei dati è stata curata dal Dott. Alessandro Duca. Lavoro eseguito con il contributo del Ministero per l'Università e la ricerca scientifica e tecnologica (Murst) - Quota 60% , “Mutamenti strutturali organizzativi nella filiera lattiero-casearia” esercizio anno 1993. MEDIT.RCR 1 A:2GI95 16 dicembre 2006 IDENTIFYING FACTORS FOR DAIRY FARM SURVIVAL IN ITALY: A DISCRIMINANT ANALYSIS Francesco Ansaloni - Alessandro Duca - Fabrizio Ferretti 1 Contents: 1 - INTRODUCTION. 2 - "VIABLE", SUCCESSFUL AND SURVIVING FARM. 3 - AN EMPIRICAL INVESTIGATION. 3.1 - Data and model specification. 4 - RESULTS AND CONCLUSIONS. 1 - INTRODUCTION Tra i fatti che maggiormente caratterizzano l'evoluzione di lungo periodo del settore agricolo delle economie occidentali un posto di rilievo spetta ai processi, graduali ma costanti, di diminuzione del numero delle aziende e di concentrazione della produzione in una esigua frazione dell'intero universo di quelle esistenti. Sia pure con sensibili differenze fra i singoli paesi, sono infatti tratti comuni alla struttura aziendale dell'agricoltura delle economie sviluppate la netta predominanza delle imprese di tipo familiare, il continuo declino del numero delle unità produttive e la coesistenza di due anime: una “...industrializzata, professionale, a cui si deve la maggior parte della produzione del paese e che fa capo ad una minoranza di imprese operanti in un contesto agro-industriale” ed una “...poliattiva, non professionale, che si regge sulla combinazione dei redditi agricoli con quelli extra-agricoli e che contribuisce solo in minima parte alla produzione complessiva” [Pedrini 1994, 12]. Questi fenomeni assumono delle dimensioni considerevoli anche nell'agricoltura italiana, la cui struttura aziendale, pur conservando il non invidiabile primato europeo della numerosità, della frammentazione e della esigua dimensione, ha subito nel corso del tempo alcune rilevanti trasformazioni. Si consideri, a titolo di esempio, che il
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1Remarks: Francesco Ansaloni e Fabrizio Ferretti sono, rispettivamente, Ricercatore e Dottorando diRicerca presso la Sezione di Economia del Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agro-Alimentare(DIPROVAL) - Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Bologna, Reggio Emilia. Alessandro Duca èResponsabile del Settore Zootecnico, Divisione Approvvigionamento Materie Prime, del Consorzio EmilianoRomagnolo Produttori Latte "Granarolo-Felsinea" (CERPL). Le opinioni qui espresse impegnano solamente gliAutori. I paragrafi 1 e 2 sono da attribuire al Dott. Francesco Ansaloni, il paragrafo 3 al Dott. Fabrizio Ferretti,il paragrafo 4 ad entrambi. La raccolta dei dati è stata curata dal Dott. Alessandro Duca. Lavoro eseguito con il contributo del Ministero per l'Università e la ricerca scientifica e tecnologica (Murst) -Quota 60% , “Mutamenti strutturali organizzativi nella filiera lattiero-casearia” esercizio anno 1993.

MEDIT.RCR 1 A:2GI95 16 dicembre 2006

IDENTIFYING FACTORS FOR DAIRY FARM SURVIVAL IN ITALY: ADISCRIMINANT ANALYSIS

Francesco Ansaloni - Alessandro Duca - Fabrizio Ferretti1

Contents: 1 - INTRODUCTION. 2 - "VIABLE", SUCCESSFUL AND SURVIVING FARM.

3 - AN EMPIRICAL INVESTIGATION. 3.1 - Data and model specification. 4 - RESULTS AND CONCLUSIONS.

1 - INTRODUCTION

Tra i fatti che maggiormente caratterizzano l'evoluzione di lungo periodo del settore

agricolo delle economie occidentali un posto di rilievo spetta ai processi, graduali ma

costanti, di diminuzione del numero delle aziende e di concentrazione della

produzione in una esigua frazione dell'intero universo di quelle esistenti. Sia pure con

sensibili differenze fra i singoli paesi, sono infatti tratti comuni alla struttura aziendale

dell'agricoltura delle economie sviluppate la netta predominanza delle imprese di tipo

familiare, il continuo declino del numero delle unità produttive e la coesistenza di due

anime: una “...industrializzata, professionale, a cui si deve la maggior parte della

produzione del paese e che fa capo ad una minoranza di imprese operanti in un

contesto agro-industriale” ed una “...poliattiva, non professionale, che si regge sulla

combinazione dei redditi agricoli con quelli extra-agricoli e che contribuisce solo in

minima parte alla produzione complessiva” [Pedrini 1994, 12].

Questi fenomeni assumono delle dimensioni considerevoli anche nell'agricoltura

italiana, la cui struttura aziendale, pur conservando il non invidiabile primato europeo

della numerosità, della frammentazione e della esigua dimensione, ha subito nel corso

del tempo alcune rilevanti trasformazioni. Si consideri, a titolo di esempio, che il

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numero delle aziende agricole si è ridotto dal 1961 al 1990 del 30% circa [Fanfani

1993, 174] e che, in base ai dati dell'ultimo Censimento, appena l'1% delle imprese

fornisce oggi quasi il 40% della produzione vendibile del settore; è sufficiente solo il

10% delle unità produttive per raggiungere i due terzi dell'output totale, a fronte del

48% circa del 1970. A ciò occorre aggiungere che più dell'80% di questi due terzi

viene realizzato da imprese coltivatrici le quali rappresentano quindi il fulcro sia

dell'agricoltura di tipo professionale che di quella non professionale [Barberis 1994].

Si pone perciò all'economista agrario un duplice problema: occorre infatti spiegare

non solo perché "...le agricolture delle economie occidentali sono ancora organizzate

sulla base di imprese familiari" [Schmitt 1991, 443], ma anche perché esista fra queste

una così profonda dicotomia, con un nucleo di imprese competitive numericamente

assai modesto a fronte di una miriade di unità non più produttive e completamente

svincolate dal mercato. Con questo studio, dal carattere prettamente empirico, si vuole

offrire alla riflessione teorica qualche elemento di discussione circa i caratteri assunti

nel nord Italia dal fenomeno dello sviluppo e del declino delle aziende coltivatrici ad

indirizzo bovino da latte. Concentrando l'interesse sul processo di selezione,

intendiamo affrontare una questione che giace, per così dire, "a monte" dei temi sopra

accennati: la ricerca dei fattori comuni alle aziende che dimostrano nel lungo andare la

capacità di sviluppo, cioè in grado di proseguire l'attività produttiva, sia essa di tipo

professionale oppure no.

Sulla base di informazioni di tipo strutturale, produttivo ed imprenditoriale, raccolte

tramite un questionario per la realizzazione di una indagine relativa ad un campione di

oltre 800 imprese coltivatrici ad indirizzo zootecnico per la produzione di latte a

destinazione alimentare localizzate in alcune regioni del nord Italia si è costruito un

modello di analisi discriminante allo scopo di verificare la possibilità di spiegare e

prevedere l'evoluzione del processo di sopravvivenza (selezione) delle aziende, in

virtù della conoscenza delle loro principali variabili. Si tratta appunto di discriminare

le singole unità produttive in base alla probabilità che il modello attribuisce a ciascuna

di esse di proseguire, o di cessare, l'attività produttiva. Oltre a fini strettamente

conoscitivi, l'individuazione delle aziende dotate di maggiori probabilità di restare nel

MEDIT.RCR 3 A:2GI95 16 dicembre 2006

mercato risponde a rilevanti esigenze di carattere normativo.

Prima di entrare nel merito dell'indagine empirica, a cui è dedicato il paragrafo 3, nel

paragrafo 2 ci soffermeremo a discutere dei concetti di impresa "vitale" e di impresa

"di successo", al fine di chiarire i limiti del lavoro e liberare così il campo da possibili

equivoci. Alla illustrazione ed al commento dei risultati del modello è infine dedicato

il paragrafo 4.

2 - "VIABLE", SUCCESSFUL AND SURVIVING FARM

In materia di classificazione economica dell'impresa nella letteratura si fa

riferimento alla nozione di azienda "vitale" [Prestamburgo 1973] e, più recentemente,

anche a quella di azienda "di successo" [Pennacchi 1993]. Sono due categorie non

sovrapponibili. In generale con queste nozioni si intende delineare i tratti essenziali

dell'impresa che meglio si adatta a soddisfare determinati obiettivi di politica

economica. Nel caso dell'azienda "vitale" l'accento, secondo un punto di vista

essenzialmente di politica agraria per il raggiungimento di determinati obiettivi, viene

di norma posto sulla possibilità di remunerare i fattori produttivi al loro prezzo di

mercato. Nel caso dell'azienda "di successo" ci si riferisce al conseguimento di un

complesso di obiettivi di natura socio-economica.

Conviene perciò chiarire da subito che il modello discriminante qui sviluppato,

poiché raccoglie tutte le imprese che, nell'arco temporale in esame (1990-93), non

hanno cessato l'attività produttiva, è un "setaccio" a maglie ben più larghe di quello

rappresentato delle categorie della “vitalità” e del “successo” e che, di conseguenza, le

imprese qui discriminate non rappresentano degli esempi su cui modellare la struttura

aziendale del settore. L'introduzione delle nozioni di impresa “vitale” e di impresa di

“successo” ha, a nostro giudizio, scarse possibilità di apportare qualche elemento di

novità allo stato delle conoscenze sulla struttura aziendale e sulla sua evoluzione.

Senza voler entrare nel merito della questione, qui ci limitiamo a svolgere alcune brevi

considerazioni.

MEDIT.RCR 4 A:2GI95 16 dicembre 2006

Qualora si accolga, fra le tante, la definizione di Prestamburgo è “vitale” l'azienda

che “... permette di remunerare i fattori della produzione al prezzo di mercato e di

ottenere un profitto non negativo” [Prestamburgo 1973, 181]. Data la persistente e

generalizzata sotto remunerazione dei fattori impiegati in agricoltura, in base a questa

definizione pressoché l'intero universo delle imprese coltivatrici risulterebbe non

vitale: con riferimento al caso italiano, anche il decimo delle imprese professionali nel

caso in cui dovesse retribuire il lavoro familiare al suo costo opportunità è assai

improbabile che spunti un profitto positivo od anche nullo. Eppure queste imprese, che

sfuggono alla categoria della vitalità, non solo esistono ma rappresentano la base

produttiva professionale dell'agricoltura nazionale.

Come per la categoria di azienda “vitale”, una definizione non banale e priva di

ambiguità dell'azienda di “successo” è difficilmente rintracciabile in letteratura. In un

recente contributo, dove vengono riassunti i termini della questione, Olsson osserva

che ciò accade perché, in definitiva, esistono tanti tipi di successo quanti sono gli

imprenditori agricoli [Olsson 1988, 251-2]. Per Olsson, infatti, possono considerarsi

imprenditori agricoli di successo, e quindi imprese di “successo”, coloro che riescono

a raggiungere, allo stesso tempo, sia un obiettivo collettivo, sociale, che un obiettivo

individuale. Il primo è stabilito dall'ambiente sociale, la comunità, cioè da attori

esterni all'impresa, e risulta quindi comune a tutti gli individui che operano nel

medesimo ambiente (successo normativo), mentre il secondo è strettamente legato alle

preferenze dei singoli e può perciò assumere connotati molto diversi da un

imprenditore all'altro (successo soggettivo). Questa distinzione, fra un obiettivo di tipo

collettivo ed uno di tipo individuale, ha il pregio di sottolineare come l'azienda di

“successo”, essendo una categoria a metà strada fra l'economia e la sociologia, sia di

fatto impossibile da definire con chiarezza e risulti quindi inutilizzabile a fini euristici.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che la semplice permanenza di una azienda

sul mercato, sia in modo professionale che in modo non professionale, non rappresenta

una condizione sufficiente per classificare l'impresa come “vitale”, nel senso di

Prestamburgo, o come di “successo”, nel senso di Olsson.

MEDIT.RCR 5 A:2GI95 16 dicembre 2006

3 - AN EMPIRICAL INVESTIGATION

La politica economica dell'Ue nel mercato dei prodotti lattiero-caseari, a fronte di

una sostanziale stabilizzazione dell'offerta di latte a livello della produzione, ha

indotto alcune profonde trasformazioni nella struttura aziendale di produzione del

settore, fra le quali particolare rilievo assume la riduzione sia delle unità produttive

che del patrimonio bovino (si veda la Tabella 1). Si tratta di un fenomeno che, pur

Tabella 1 - Alcuni caratteri dell'evoluzione del settore lattiero-caseario dell'Ue

PRODUZIONE

DI LATTE

(.000 t)

TAV% AZIENDE

(.000 di

unità)

TAV% VACCHE DA

LATTE

(.000 di unità)

TAV%

Ue '86-'91 -1,7 '87-'91 -6,9 '87-'91 -3,2

Nord -- -2,1 -- -6,2 -- -3,0

Sud -- 0,3 -- -7,7 -- -3,7

Italia -- 0,7 -- -10,7 -- -4,3

Fonte: nostre elaborazioni su dati EUROSTAT.Note: Nord = B, DK, D, F, IRL, L, NL, UK; Sud = G, S, P, I; TAV = Tasso composto di variazione annua.

interessando tutti i membri dell'Unione, è molto forte nell'area mediterranea ed in

particolar modo in Italia, dove nel corso della seconda metà degli anni ottanta,

nonostante l'assenza del regime individuale delle quote di produzione, le aziende con

vacche da latte e la consistenza di quest'ultime sono diminuite con tassi annui

superiori, rispettivamente, al 10% ed al 4%.

La scarsissima riduzione dell’offerta di latte potrebbe dipendere dal fatto che sono

gli allevamenti medio grandi, che continuano l’attività produttiva, che aumentano di

numero e contribuiscono maggiormente alla produzione. In altre parole, probabilmente

sono usciti dal settore gli allevatori meno efficienti, quelli cioè che, anche con una

MEDIT.RCR 6 A:2GI95 16 dicembre 2006

dotazione non trascurabile di patrimonio vacche, contribuivano marginalmente alla

produzione di latte.

La scelta delle variabili strutturali, produttive ed imprenditoriali di un campione di

aziende coltivatrici, con bovini da latte, impiegate nel modello di analisi discriminante

è caduta su quelle che, relativamente al periodo in esame (1990-93) hanno mostrato

una relazione statisticamente significativa con la capacità di sopravvivenza delle

aziende stesse sul mercato. L'indagine interessa 819 imprese ubicate nel nord Italia ed

aderenti al Consorzio Emiliano-Romagnolo Produttori Latte - Granarolo-Felsinea

(C.E.R.P.L.) il quale raccoglie la materia prima per destinarla all'uso alimentare

diretto. Sebbene quello di cui disponiamo non sia un campione probabilistico, ci

troviamo di fronte ad un insieme di aziende che ben rappresentano la realtà aziendale

oggetto di studio (si veda la Tabella 2 1 ). Nel corso del periodo 1990-93, 554 di

Tabella 2 - Principali caratteristiche delle aziende in esame (numero dei casi = 819)

MEDIA DEV. STANDARD

Produzione di latte L/anno 69.386,03 13.9415,3

Superficie totale ha 22,2 42,7

Vacche da latte n. 17,0 24,6

Addetti alla stalla n. 1,8 0,8

Resa media per vacca L/anno 3.857,9 2.150,3

Vacche per ettaro n. 1,4 8,0

Tipo di stabulazione: fissa % casi 9293Tipo di mungitura: al secchio % casi

Fonte: nostre elaborazioni su dati CERPL.

queste aziende hanno cessato l'attività di allevamento dei bovini da latte; qui ci

proponiamo di individuare i tratti comuni alle 265 che sono invece rimaste nel

mercato.

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3.1 - Data and model specification

La conoscenza dei fattori dai quali dipende la "sopravvivenza" dell'impresa, e quindi

la possibilità di individuare quali unità produttive hanno maggiori probabilità di

restare nel mercato, assume grande importanza ai fini della definizione di una politica

delle strutture. La tecnica dell'analisi discriminante può rappresentare a questo scopo

un utile strumento di indagine. Sulla base di una combinazione lineare di n variabili

indipendenti, essa permette infatti di classificare delle singole osservazioni in uno o

più gruppi che si escludono reciprocamente. Definita una variabile indipendente e dato

un set di variabili esplicative è cioè possibile calcolare per ciascun caso, azienda in

esame, un punteggio in virtù del quale decidere a quale gruppo predefinito attribuire

le singole osservazioni [Norusis 1988a, 187].

A ciascun imprenditore in esame è stato sottoposto un questionario dal quale si sono

desunti alcuni dati relativi ad un set di variabili esplicative inerenti i seguenti aspetti

dell'azienda: dotazione di risorse, tecnologia di allevamento, risultati produttivi, età del

conduttore e sue previsioni sul futuro livello di produzione di latte (si veda la Tabella

3). Si è poi attribuita una variabile dipendente, di tipo dicotomico, ad ogni singola

osservazione in funzione dell'appartenenza dell'azienda, al termine del 1993, al

gruppo delle unità produttive che ancora conservavano l'attività zootecnica oppure

quello relativo a chi aveva invece chiuso l'allevamento2. Per giungere alla

specificazione del modello, allo scopo di selezionare ed impiegare nello stesso soltanto

quelle variabili dotate di un legame significativo con la capacità di sopravvivenza, si è

quindi reso necessario verificare per ogni carattere il grado di eterogeneità dei due

gruppi di aziende, utilizzando a questo fine il test t per l'analisi della varianza su

popolazioni indipendenti3. I segni attesi delle singole variabili

Tabella 3 - Variabili del modello discriminante

VARIABILI

Simboli Segno atteso

Produzione totale di latte PT (+)

Produzione media per vacca da latte PMv (+)

Produzione media per addetto alla stalla PMa (+)

MEDIT.RCR 8 A:2GI95 16 dicembre 2006

Superficie totale T (+)

Vacche da latte C (+)

Addetti alla stalla L (+)

Percentuale di superficie foraggera sulla superficie totale Sf (+)

Vacche da latte per ettaro di superficie totale Vh (+)

Vacche da latte per addetto alla stalla Va (+)

Età dell'imprenditore ET ( - )

Tipo di stabulazione (dummy) TCN (+)

Previsione sul futuro livello di produzione (dummy) PRV (+)

indipendenti indicano che nel modello si ipotizza che la capacità di sopravvivenza

dell'impresa cresca al crescere delle variabili inerenti le seguenti caratteristiche

strutturali: dimensioni economiche, livello di efficienza tecnica, e grado di

specializzazione e di intensivizzazione dell'allevamento.

Nell'analisi discriminante i coefficienti delle variabili esplicative sono calcolati in

modo tale da garantire che i punteggi della variabile dipendente risultino il più

possibile simili all'interno del gruppo ed il più possibile dissimili fra i gruppi [Norusis

1988, 188]4. Dati tali coefficienti diviene possibile classificare i singoli casi: si calcola

cioè il punteggio per ciascuna osservazione la quale può così essere inserita, con una

determinata probabilità di errore, entro uno dei due gruppi.

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4 - RESULTS AND CONCLUSIONS

Occorre in primo luogo soffermarsi sul risultato del test della varianza che è

preliminare alla specificazione del modello (si veda la Tabella 4). Fra i due gruppi di

aziende esistono delle significative differenze circa i singoli caratteri quantitativi, con

due rilevanti eccezioni: la resa media per vacca ed il numero delle vacche per ettaro. Il

fenomeno dell'abbandono ha quindi sostanzialmente colpito in egual misura tutte le

imprese, a prescindere dal loro grado di efficienza tecnica e di intensità

dell'allevamento. In particolare, la produttività media per capo, a cui viene di norma

Tabella 4 - Tests delle ipotesi sulle variabili quantitative: test "t"

VARIABILE FVALUE

2 TAILP.

METODO tVALUE

2 TAILP.

PT 3,00 0,000 Separate Variance Est. -2,33 0,020

PMv 1,52 0,005 -- -0,04 0,967

PMa 1,51 0,000 -- -2,70 0,007

T 1,32 0,000 -- -2,60 0,010

C 3,65 0,000 -- -3,97 0,000

L 1,47 0,000 -- -3,44 0,001

Sf 2,73 0,000 -- -4,66 0,000

Vh 1,54 0,000 -- -0,96 0,340

Va 1,82 0,000 -- -4,39 0,000

ET 1,21 0,063 Pooled Variance Est. 3,53 0,000

Fonte: nostre elaborazioni su dati CERPL

attribuito il significato di indice sintetico dell'efficienza dell'intera azienda, non sembra

qui avere alcun legame con la capacità della stessa di proseguire l'attività. Entrambe le

variabili sono quindi state escluse dal modello discriminante.

Il modello discriminante specificato è in grado di classificare correttamente al 65%

circa le aziende che resteranno nel mercato ed al 68% le aziende che abbandoneranno

MEDIT.RCR 10 A:2GI95 16 dicembre 2006

l’attività produttiva. La statistica di Wilks indica che il punteggio medio fra i due

gruppi è significativamente diverso, a conferma dell'ipotesi che questi sono costituiti

da aziende con differenti caratteristiche strutturali. Le ipotesi circa la direzione

dell'influenza di ciascuna variabile sul grado di sopravvivenza dell'impresa sono tutte

confermate, ma si presenta anche qui una rilevante eccezione data dal livello

complessivo della produzione che mostra un segno negativo (si veda la Tabella 5).

La scarsa capacità dimostrata dal modello nell'attribuire correttamente le imprese al

rispettivo gruppo di appartenenza impone a questo punto una riflessione. La natura

dicotomica della struttura aziendale può costituire una prima fonte di errore. La

Tabella 5 - Risultati del modello discriminante

Discriminant function coefficients:

a PT T C L TCN Sf Va ET PRV

-1,778 -0,001 0,019 0,025 0,178 0,573 2,107 0,017 -0,022 1,070

Average scores:

Aziende ancora in attività Aziende non più in attività

Score = 0,387 Score = - 0,242

Wilks' lambda statistic = 0,913 Chi-squared = 63,89 Significance = 0,000

Classification results:

Predicted group membership

Aziende non più in attività N. of cases 441 68,7%

Aziende ancora in attività -- 276 59,4%

Percent of "grouped" cases correctly classified = 65,1%

Fonte: nostre elaborazioni su dati CERPL

presenza di piccole imprese coltivatrici, di tipo non professionale, le cui decisioni di

mantenere o abbandonare l'attività produttiva sono del tutto indipendenti da

valutazioni di carattere tecnico-economico abbassa il rendimento del modello, poiché

questo risulta appunto specificato su variabili strettamente economiche. In questo caso,

infatti, la permanenza in azienda dell'attività zootecnica può essere meglio spiegata

MEDIT.RCR 11 A:2GI95 16 dicembre 2006

dalla semplice disponibilità di lavoro a costo opportunità nullo. Ma l'interpretazione di

questo risultato può anche spingersi più avanti. Su questa base, si può infatti sostenere

che anche per le imprese che mostrano caratteri spiccatamente professionali non basta

considerare i criteri di bilancio economico per spiegare in maniera soddisfacente la

ragione della scelta dell’impresa di permanere o meno nel mercato. A tale proposito, è

illuminante la scarsa importanza osservata in precedenza riguardo l'efficienza tecnica

dell'allevamento, produzione media di latte per vacca per anno, in relazione alla

capacità di sopravvivenza dell'azienda. Per l'utilizzo dello strumento dell’analisi

discriminante a livello operativo occorre perciò costruire modelli differenziati in

funzione delle tipologie imprenditoriali maggiormente diffuse sul territorio e, in ogni

caso, è anche indispensabile la conoscenza di un insieme di variabili non direttamente

legate agli aspetti di carattere tecnico ed economico.

Nella letteratura economico agraria sono frequenti le proposte di classificazione

della figura dell’imprenditore agricolo realizzate da diversi Autori [Evans 1949, 336

citato da Karayannis 1990, 257; Rushton e Shaudys citati da Pennacchi 1993, 14;

Renborg e Fock 1977 citati da Olsson 1988, 246; Olsson 1988, 254; Huirne-Dyhuizen-

King-Harsh 1933, 63]. Dal nostro punto di vista, sulla base dei risultati dell’indagine

svolta, i tipi di imprenditori più diffusi nel nord Italia che praticano l’allevamento

bovino da latte sembrano individuabili sulla base di duplice criterio: il grado di

professionalità tecnica ed economica e l’ampiezza della dotazione di capitali aziendali.

Le categorie identificate sono rappresentate dai seguenti tipi di imprenditori: Î quello

non professionale che dispone una piccolissima azienda; Ï quello professionale che

gestisce una azienda di medie dimensioni orientata alla crescita; Ð quello

professionale che dirige una azienda di dimensioni molto ampie.

L'imprenditore non professionale è in genere un coltivatore diretto, che solo in rari

casi dispone di un allevamento di oltre trenta capi, che talvolta è impegnato a tempo

parziale. I capitali aziendali risultano ampiamente ammortizzati; troppo spesso gli

impianti sono datati e le tecniche di produzione obsolete. Il ritmo di rinnovamento

delle attrezzature è lentissimo ed è diffuso l'acquisto di “seconda mano” (usato); la

tecnologia usurata è sostituita con altra identica, di conseguenza la tecnica di

MEDIT.RCR 12 A:2GI95 16 dicembre 2006

produzione non beneficia di servizi innovativi dovuti a forme di progresso tecnico

incorporato; spesso, ad esempio, la tecnologia di mungitura è quella dei primi anni

Sessanta. Queste scelte tecniche anacronistiche appaiono giustificate dall’impiego del

lavoro familiare a costo nullo. Questo imprenditore non calcola nel costo di

produzione i costi fissi; pertanto, permane pertanto nel settore per un maggior periodo

di tempo rispetto ad altri imprenditori.

La spesa per l'acquisto dei mezzi tecnici è nullo o quasi. I foraggi per l'alimentazione

del bestiame sono quelli prodotti in azienda e l'unico mezzo tecnico, eventualmente,

acquistato è il mangime.

Il principale obiettivo del piccolo imprenditore non professionale è spesso quello di

impegnare in una qualche maniera i fattori di produzione. Per questa ragione,

nell’impresa coltivatrice, spesso il lavoro si trasforma da risorsa a vincolo della

funzione obiettivo. Frequentemente la disponibilità di un qualsiasi componente la

famiglia dell’imprenditore a svolgere i lavori di stalla è sufficiente per giustificare il

mantenimento dell'attività zootecnica. Infine, il lavoro dell’imprenditore e dei suoi

familiari difficilmente appare idoneo, per indisponibilità o incapacità, a lavori

extragricoli. Il prezzo del lavoro è frutto di una valutazione interna all'unità familiare,

costo interno [De Benedictis-Cosentino 1979, 291]. Questo imprenditore non cerca

infatti, per i fattori da lui conferiti, una retribuzione a prezzi correnti ma stabilisce

soggettivamente un livello di compenso minimo al di sotto del quale cessa la

convenienza del loro impiego [Di Cocco 1970, 79-80].

I criteri di scelta di questo imprenditore spesso sono soltanto il frutto dell'esperienza

passata; non si basano su analisi di bilancio e non esiste separazione tra incassi

dell'impresa e spesa della famiglia dell'imprenditore. In genere tutto il

“ricavo”dell'azienda è inteso come “guadagno”. Questo imprenditore considera la

remunerazione per il latte prodotto, anche se molto bassa, sempre vantaggiosa. Infatti,

anche se la mandria è piccola ciò non significa che l'impresa nel suo complesso

raggiunga modesti livelli di incasso; spesso, infatti, nelle aziende agricole il maggiore

contributo al reddito è fornito dalle piantagioni legnose, quali, pere, pesche, ecc.

Inoltre il reddito familiare è talvolta integrato da flussi di reddito extra-aziendale

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(lavoro part-time; pensioni). I criteri di scelta dipendono anche dalla preferenza per lo

stile di vita, in particolare per il godimento del patrimonio residenziale a favore anche

di quei componenti il nucleo familiare che svolgono attività extragricole, e

dall'influenza della «tradizione» o, più semplicemente, dalla resistenza al

cambiamento di decisioni prese in passato.

Per concludere, si può affermare che nella tipologia imprenditoriale non

professionale l'attività zootecnica è sostanzialmente «ad esaurimento»; essa cioè

continuerà ad esistere fin quando un componente il nucleo familiare sarà disponibile a

svolgere i lavori di stalla; quando questa disponibilità di lavoro cesserà, per vecchiaia

o malattia, l'attività zootecnica verrà abbandonata.

Il secondo tipo di imprenditore è quello professionale che gestisce una azienda di

medie dimensioni. Questo imprenditore è in genere un coltivatore diretto, di età tra 45

e 55 anni, che dispone una mandria compresa tra 30 e 50 vacche. La tecnica di

produzione adottata è intensiva; rispetto alla media, si osserva infatti una presenza di

impianti ed attrezzature a maggior contenuto di progresso tecnico ed un livello di

selezione genetica del bestiame più elevato. Inoltre, anche gli investimenti unitari di

capitale, impianti, attrezzature e la quantità di bestiame e di mangime per capo

acquistato sul mercato appaiono più rilevanti [Ansaloni 1988, 141].

La principale fonte di finanziamento degli investimenti, a causa dei prolungati

periodi di attesa necessari per ottenere l'erogazione di mutui a tasso agevolato o di

contributi della pubblica amministrazione, è rappresentata dai risparmi familiari e/o

prestiti bancari a tasso non agevolato.

L’elevato livello di intensivazione produttiva testimonia che questo tipo di

imprenditore tende soprattutto ad aumentare la dimensione economica dell'impresa e

questo comportamento risulta in gran parte giustificato dalla presenza in azienda di un

“successore”, generalmente un figlio in età lavorativa.

Per questo tipo di imprenditore l’analisi del costo totale di produzione ai fini della

valutazione dell’attività produttiva e delle scelte di impresa non rappresenta una

dotazione concettuale abituale; egli, infatti, non considera il suo costo di lavoro, e

quello dei suoi familiari, in quello totale di produzione.

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Du sono le ragioni che caratterizzano ad elevato rischio il grado di sviluppo

dell'attività zootecnica di questo tipo di imprenditore: la prima dipende dai costi di

produzione che risultano di poco inferiori a quelli di mercato, ed eventuali diminuzioni

di prezzo portano l'azienda in passivo; la seconda dipende dagli effetti negativi

conseguenti la sopravvalutazione di capacità professionali, produzione e

commercializzazione, che questo tipo di imprenditore tende frequentemente ad

attribuirsi.

Il terzo tipo di imprenditore è quello professionale di tipo capitalista, impegnato a

tempo pieno, che possiede una azienda medio-grande orientata al mercato.

Gli investimenti si presentano proporzionati alle reali necessità della produzione. Il

capitale utilizzato è tecnologicamente moderno; per quanto riguarda il bestiame, ad

esempio, si osserva l'impiego della tecnica di inseminazione strumentale e

l’applicazione sistematica della selezione.

Il lavoro è fornito da manodopera acquistata sul mercato (salariati).

Questo tipo di imprenditore mostra un elevato livello di professionalità tecnica e

commerciale. I risultati di questa indagine, ed altre [Ansaloni 1988, 141], confermano

infatti che all'aumentare della dimensione della mandria, e della superficie

dell'azienda, tende a crescere anche la resa di latte per vacca.

L'imprenditore nella conduzione dell'attività produttiva è affiancato da un

successore, in genere un figlio, e la sua strategia produttiva è orientata alla ricerca

della qualità del prodotto ed è sensibile ai problemi di accesso al mercato: percepisce,

ad esempio, i problemi contrattuali, aderisce alle Associazioni dei Produttori, e la

necessità della concentrazione dell'offerta.

I suoi criteri di scelta si basano sull'analisi di bilancio, strumento permanente di

conoscenza delle condizioni produttive, e la continuazione dell'attività produttiva è

giustificata dalla produzione di reddito. E' un tipo di imprenditore che vede l'attività

zootecnica come un'industria e che ritiene vantaggioso praticarla in relazione alla

possibilità di ricavare un profitto.

L'attività zootecnica realizzata da parte di un imprenditore professionale dotato di

un’azienda di grandi dimensioni permette di mantenere il costo di produzione ad un

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livello inferiore a quello di mercato e ciò conferisce a questo tipo di imprenditore

ottimistiche prospettive di sviluppo. Inoltre, gli impianti di produzione dimostrano

ulteriori capacità di ampliamenti produttivi. Ciò si è evidenziato in due circostanze: in

passato, in occasione di prezzi esteri del latte molto bassi e conseguente incremento

delle importazioni, ed attualmente in coincidenza del regime attuale di alti prezzi

nazionali (rispetto agli altri paesi europei). Ciò è confermato dal fatto che in

Lombardia i grandi allevamenti sono aumentati, nonostante il vincolo delle quote latte

ed il fatto che già sono molto diffusi, mentre nel Veneto e nell'Emilia si è osservata

una diminuzione. In tal senso concordiamo con Majnoni quando afferma che «... il

regime di alti prezzi che si è andato consolidando in Italia nel corso degli ultimi anni è

valso a consolidare gli allevamenti privilegiati per posizione e per dimensioni o

avanzati per caratteristiche organizzative, senza arrecare vantaggi di rilevo agli altri»,

ed anche con la tesi che «... la totale mancanza di una gerarchia di prezzi del latte al

consumo a seconda della qualità e della provenienza, ha rafforzato un processo di

concentrazione territoriale dell'offerta di latte alimentare che tende a saturare la

domanda di zone anche lontane, e così anche a precludere in esse la possibilità di

espansione dell'offerta di latti prodotti localmente» [Majnoni et al. 1980, 105].

In prospettiva, questo tipo di imprenditore potrebbe far parte del nucleo di allevatori

di latte più produttivi del nostro paese. Imprese cioè con dimensioni economiche in

grado di minimizzare i costi di produzione ed adottare tecnologie ed innovazioni tali

da garantire elevati standard qualitativi del prodotto.

Porre davanti a noi il problema dello sviluppo delle imprese zootecniche è un tema

che ci appassiona perché ci permette di contribuire alla discussione intorno ad alcuni

quesiti fondamentali, come, per esempio, quelli del destino di una parte di famiglie

rurali e delle possibilità di intervento della collettività per migliorare i loro redditi ed,

infine, della capacità del nostro Paese di rispondere alla domanda di beni alimentari di

origine animale.

La nostra scelta di schematizzare l’analisi dello sviluppo dell’impresa zootecnica

MEDIT.RCR 16 A:2GI95 16 dicembre 2006

bovina da latte solo mediante l’esame di alcuni elementi economici non deve però far

pensare che l’imprenditore possa essere ridotto al rango dell’ingegnere, il cui

problema è quello di individuare la ricetta tecnica ottimale di produzione e di

applicarla correttamente “... un tanto di questo fattore, un tanto di quell’altro, una certa

quantità di professionalità ed intuizione, ecc.”. Siamo convinti che lo sviluppo è

cambiamento e che per interpretarlo occorra conoscere tutti gli aspetti che riguardano

l’attività produttiva dell’impresa, tra cui quelli di tipo sociologico. Per creare

“successo” non basta la disponibilità delle risorse ma è necessario qualche cosa di più,

che sembra dipendere tanto dalla fortuna quanto dall’accettare delle sfide rischiose e

l’attuale scarsità dell’offerta interna di latte impone agli allevatori del nostro Paese un

cambiamento.

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NOTES

1 Le aziende in esame sono in prevalenza ubicate in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto eMarche. Poco più della metà opera in pianura, mentre il restante 45% si divide fra collina, 35%, emontagna, 10%. Per ulteriori informazioni a carattere descrittivo sul campione si rinvia il lettore ailavori di Ansaloni [Ansaloni 1993, 1995]. L'indagine è stata svolta da CERPL per rispondere adesigenze interne di informazioni sulle aziende associate. Il campione può tuttavia, ai nostri fini, essereconsiderato probabilistico, poiché risulta coerente con i dati dell'ultimo Censimento relativi alleaziende con bovini da latte ubicate nella medesima area geografica.

2 Si è inoltre trasformato in variabili di comodo le osservazioni relative al tipo di stabulazione edalla previsione sul futuro livello di produzione (rispettivamente: stabulazione fissa = 0, stabulazionelibera = 1 e diminuire la produzione = 0, aumentare o lasciare costante la produzione = 1).

3 Per un dato carattere quantitativo, con il test t è possibile verificare la significatività delladifferenza esistente fra le medie aritmetiche di due gruppi, o popolazioni, che qui sono indipendentifra loro ed, a seconda dei casi, con uguali o diverse varianze (test t, rispettivamente, delle varianzeassociate o separate). Seguendo l'approccio "valore p" alla verifica delle ipotesi, specificato il livellodi significatività del test (α = 0,05), ogni qual volta p risulta maggiore di α occorre accettare l'ipotesinulla, H0, relativa all'assenza di differenze significative fra le medie aritmetiche dei due gruppi, eviceversa nel caso opposto [Berenson-Levine 1989, 339-88].

4 Dato che non tutti gli imprenditori hanno risposto in modo completo alle richieste del questionario,il numero delle osservazioni impiegate dal modello è inferiore al totale delle osservazioni. è risultatocosi disponibile solo una frazione pari a 717 aziende sulle 820 di partenza. Di queste 717, al terminedel 1993 risultavano attive 276 imprese, mentre 441 avevano chiuso l'allevamento.

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