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Bollettino dell'Archivio Pinelli n. 40

Date post: 05-Dec-2023
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40 Speciale Gustav Landauer Vedi alla voce anarchia Cose nostre Tempi duri: sosteneteci! Informazioni bibliografiche Murray Bookchin Tesi e ricerche Il mutualismo di Josiah Warren Memoria storica La comunità italiana a Londra Storia per immagini Saint Imier 2012 Venezia 1984
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40Speciale Gustav LandauerVedi alla voce anarchia

Cose nostreTempi duri:sosteneteci!

Informazionibibliografiche Murray Bookchin

Tesi e ricercheIl mutualismodi Josiah Warren

Memoria storicaLa comunità italianaa Londra

Storia per immaginiSaint Imier 2012Venezia 1984

Cose nostre 4• Sosteneteci!• Progetto MetaOpac• Errata corrige

Tesi e ricerche 6Il mutualismo individualista di Josiah Warrendi Marco Perez

Memoria storica 15I cavalieri erranti dell’anarchia:la diaspora italiana a Londra (1880-1917)di Pietro Di Paola

Inserto speciale 19Gustav Landauer: per una storia della voce “anarchia“a cura di Devis Colombo

Informazioni bibliografiche 41Bibliografia di Murray Bookchin

Storia per immagini 44Saint Imier 2012 / Venezia 1984

Hanno collaborato a questo numero, oltre agli autori delle varie schede,Amedeo Bertolo, Rossella Di Leo, Lorenzo Pezzica, Gaia Raimondi, Andrea Staid, Cesare VurchioImpaginazione grafica: Emilio BibiniRicerca iconografica: Roberto Gimmi, Gianfranco AresiIn copertina: foto segnaletica di Carlo Scolari (Milano, 7 gennaio1880 - 1° luglio 1922); nonostante sia morto ormai da venti anni, la

scheda segnaletica che riprendiamo in copertina riporta una nuovadata di archiviazione, ovvero il 16-01-1942: bizzarrie burocratiche

Quarta di copertina: New York, 2011: attivisti di Occupy Wall Street conl’ormai classica maschera di Guy Fawkes, foto Adbusters Media Foundation(Canada)

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Ed eccoci arrivati a venti anni diBollettino. Il primo numero –smaccatamente spartano, tanto da

ristamparlo un anno dopo con la nuovavesta grafica assunta già dal secondo nu-mero – usciva infatti alla fine del 1992.L’anniversario potrebbe meritare ben altracelebrazione, ma in realtà quello che oggisi impone è una riflessione – potenzial-mente letale – sull’esistenza cartacea delnostro Bollettino. Ne avevamo già accennato in passato, mafinora, con una certa tigna, eravamo riu-sciti a resistere. Tuttavia la spinta ad ab-bandonare la versione cartacea per pas-sare a quella online è diventata sempre piùpressante e tanta stampa anarchica (manon solo) l’ha già fatto. Se infatti fino a una quindicina di anni fal’Archivio Pinelli riceveva alcune decinedi pubblicazioni cartacee da tutto ilmondo, oggi ne riceve una manciata. Eogni anno qualcuna manca all’appello. Cisono buoni motivi per fare il salto, a co-minciare dall’abbattimento dei costi distampa (ormai contenuti) e di spedizione(proibitivi), per finire con la possibilità diaggiornare e arricchire costantemente ilmateriale già pubblicato. Fatto sta che ri-ceviamo i link di un buon numero di pub-blicazioni online. Facile e poco ingom-brante: si clicca, si scarica il pdf e si stivatutto in un server (con qualche fondato ti-more sulla durata degli attuali formati di-gitali), e così addio problemi di scaffaliinsufficienti, acari della carta e annate la-cunose. E tuttavia ci sono anche alcuni buoni mo-tivi per non farlo questo salto, per esem-pio che la stampa in versione digitale èproporzionalmente meno letta di quella inversione cartacea, non solo perché a videosi consulta tanto e si legge poco, ma ancheperché non è più quella copia “collettiva”che circola tra più lettori.

Insomma, non ce la si passa più di manosegnalando l’articolo interessante o ilpunto di vista inusuale per discuterne in-sieme: arriva il file e lo si copia nella car-tella di riferimento e chi vuole lo consultaa video. E se proprio ci tiene a fare unalettura approfondita, allora si stampa ilfile. Su carta, appunto. Ovviamente, questa potrebbe essere unapiù che prevedibile difficoltà ad adattarsiai nuovi modelli di comunicazione, inparticolare da parte di quelle generazioniche non sono composte di nativi digitali.Ma il dubbio che questi nuovi modelli dicomunicazione siano stati scientementetarati su una lettura tanto rapida quantosuperficiale c’è ed è forte. Ora, per rimettere le cose nelle loro giusteproporzioni, il nostro Bollettino non è unapubblicazione di approfondimento cheesige una lettura ponderata. Lo scopo di-chiarato è quello di veicolare una memo-ria storica – né agiografica né museale –che racconti “storie minori”: le tante vitevissute dagli anarchici in carne e ossa,fatte di momenti epici e di quotidianità re-frattaria. Dunque la versione online sem-brerebbe una soluzione adeguata… Ep-pure non ce la facciamo. Non riusciamoad abbandonare questo oggetto esigente eingombrante, ma concreto, per affidarci aquello spazio aperto – a volte curioso, e avolte distratto – che è la Rete. È appunto questo il dilemma che ci tor-menta da qualche tempo e che non riu-sciamo a risolvere. Per uscirne fuori, ab-biamo pensato che l’opinione di chi leggee usa il Bollettino possa aiutarci a pren-dere una decisione. Diteci dunque la vo-stra sulla possibile svolta digitale del Bol-lettino. Ma per aiutarvi a dare unarisposta meditata, vi invitiamo anche aleggere con attenzione i costi di associa-zione annua che segnaliamo alla paginasuccessiva.

4Cose nostre

Sosteneteci!Anno nuovo, quotanuova. Rieccoci a chie-dere il vostro supportoper continuare a esistere eresistere nonostante itempi sempre più grami.Non ci sono molte paroleda spendere al proposito:chi siamo e cosa facciamoè noto a quanti ci seguonoda anni (e alcuni persinoda decenni). E che il con-tributo richiesto sia fon-damentale per la soprav-vivenza annua è cosaaltrettanto nota. Le quotedi associazione, poi, sonosempre le stesse da anni:25,00 euro per la quotaordinaria e 50,00 euro perquella straordinaria. Conquesta differenza (che faseguito a quanto diciamonell’editoriale che pre-cede questo appello): chivuole ricevere il Bollet-tino cartaceo d’ora inavanti dovrà inviare laquota straordinaria di50,00 euro per contribuirealle spese di stampa espedizione. Dal numero41 i soci ordinari riceve-ranno infatti il Bollettinosolo in formato digitale(comunicateci o confer-mateci la vostra mail!).Di seguito i dati per ilversamento della quota.Ci contiamo, grazie!

c/c postale n. 14039200 intestato a Centro studi libertari, Milano bonifico bancario: IT 53 M07601 01600 000014039200 per versamenti dall’estero:BIC BPPIITRRXXX

Progetto per la realizzazione di un catalogo

collettivo tra biblioteche

libertarieÈ stata da poco lanciatal’idea di un catalogo vir-tuale unico delle bibliote-che anarchiche e liberta-rie, un progetto che cisembra eccellente alquale intendiamo parteci-pare. Si tratta di un workin progress su cui vi ter-remo informati.

Ormai da diversi anni lebiblioteche che fanno ri-ferimento alla rete cultu-rale libertaria hanno av-viato la catalogazioneinformatizzata del pro-prio posseduto, con l’uti-lizzo di diversi software,proprietari oppure opensource. Ogni bibliotecaha quindi realizzato emesso in rete il propriospecifico catalogo OPAC(Online Public AccessCatalog), chi rendendolodisponibile autonoma-mente sul proprio sitoweb, chi partecipando acataloghi collettivo ditipo territoriale.È ora emersa la comunevolontà di lavorare allarealizzare di un sito chesi ponga come portale diaccesso per gli istitutispecializzati in storia,culture e teorie del movi-mento anarchico e liber-tario e che consenta di interrogare simultanea-

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5 Cose nostre

mente i loro cataloghi bi-bliografici. La configura-zione base del sito webdovrà contenere la ma-schera di ricerca del cata-logo collettivo, le infor-mazioni sulle bibliotecheaderenti e i link ai lorositi (una volta raggiuntoquesto si potrà poi pen-sare ad arricchirlo di ulte-riori contenuti condivisi).Il principio ispiratore delprogetto è quello dicreare uno strumento diservizio utile per il pub-blico a cui queste biblio-teche e archivi si rivol-gono e di porre i primipassi per una rete di col-laborazione e coopera-zione tra gli istituti stessi.Una volta constatata lafattibilità tecnica dellacosa, si dovrà tenereconto delle modalità, deicosti e dei tempi di rea-lizzazione. Per tutti saràpossibile partecipare alportale web e al catalogocollettivo, fermo restandol’indipendenza di ogniistituto nelle propriescelte catalografiche enella gestione del propriocatalogo, che in ogni casorimane autonomo e indi-pendente. Tutti avrannocomunque il vantaggio diavere a disposizione unagrande banca dati specia-lizzata, con l’opportunitàdi trovare e utilizzare ca-talogazioni già esistenti,che potranno essere utili

per chi deve ancora cata-logare il proprio mate-riale.

Errata corrigeCi arrivano da GianpieroLandi ulteriori precisa-zioni su due foto, fornitedall’Archivio Borghi diCastel Bolognese, cheabbiamo pubblicato sulloscorso numero del Bollet-tino. Per la prima, lafonte delle precisazioni èla stessa Giovanna Ger-vasio Carbonari presentenello scatto. Giovanna(che all’epoca avevacirca 18 anni) confermache la foto è stata effetti-vamente scattata inPiazza Saffi a Forlì nelmarzo 1946 durante ungiro di propaganda in Ro-magna per il Referendummonarchia-repubblica.Ha inoltre identificato idue personaggi che ave-vamo indicato comeignoti: il secondo da sini-stra, tra Turroni e Sac-coni, è il figlio di GigiDamiani (di cui Gio-vanna non ricorda ilnome), mentre il perso-naggio all’estrema destradella foto è lo stesso GigiDamiani.Ci segnala però un erroreimperdonabile: la donnapiù matura tra Borghi e laGervasio, erroneamenteindicata come Giovanna

Berneri, è in realtà la mo-glie di Attilio Bazzocchi,cioè Manilla Gaudani,anche lei una compagna.Dunque la composizionefinale del gruppo è la se-guente: Pio Turroni, il fi-glio di Gigi Damiani,Riccardo Sacconi, TittaFoti, Armando Borghi,Manilla Gaudani, Gio-vanna Gervasio Carbo-nari, Gigi Damiani.

Per la seconda foto, scat-tata ad Ancona nel 1964per il cinquantenariodella Settimana Rossa,Gianpiero precisa cheoltre ai tre personaggi giàindividuati, ovvero PioTurroni, Augusto Masettie Cesare Fuochi, la donnasulla destra voltata dispalle è Emma Neri Ga-ravini.

6Tesi e ricerche

In sede storico-critica è stata ricono-sciuta una relazione organica tra il libe-ralismo delle origini americane e un radi-calismo di natura libertaria che,ininfluente sul piano politico, sarà unelemento ricorrente nella cultura politicadegli Stati Uniti. L’anarchismo ameri-cano è cresciuto all’ombra della rivolu-zione jeffersoniana e si è nutrito del suopeculiare liberalismo, erede della tradi-zione classica inglese ma anche del pe-culiare anti-conformismo religioso im-piantato negli Stati Uniti, valorizzantedella piena autonomia morale dell’indi-viduo. Uno dei precursori del movi-mento anarchico americano può essereconsiderato il riformatore sociale e in-ventore Josiah Warren (1798-1874). Per quanto il suo nome nonsia del tutto sconosciuto allastoriografia italiana specializ-zata, la sua opera è tutt’oggiinedita in lingua italiana. Taledisinteresse si spiega per lasettorialità della materia, trat-tante una corrente di pensieropoco nota nel nostro paese etutto sommato per la naturapragmatica dell’autore, rifug-gente da eccessive elabora-zioni teoriche e autonome dadimostrazioni pratiche.Il suo pensiero presenta molteanalogie con la riflessione av-viata da Henry David Thoreau(1817-1862) e dalla filosofiatrascendentalista di Ralph

Waldo Emerson (1803-1882), e si inseri-sce a pieno titolo nelle tradizioni del li-beralism americano1.La svolta anarchica di Warren, a partiredalla fondazione del periodico “The Pea-ceful Revolutionist” (1833), consisterànella stesura di un sistema economicobasato sulla sovranità dell’individuo. Illaissez-faire avrebbe, per Warren, ridottoi prezzi delle merci a una quota appenasuperiore al costo di produzione (fatica etempo impiegato per la realizzazione diun prodotto2). In questo senso, e qui sispiega il riferimento “mutualistico”, iprimi beneficiari di questo sistema pro-duttivo sarebbero stati i rappresentantidella “classe lavoratrice”3.Nel caso di Warren il riferimento all’e-

sperienza dei FoundingFathers americani assegnò alsuo anarchismo e alla tradi-zione cui esso diede origineun’evidente autonomia ri-spetto a quello europeo. Inquesto senso i teorici anar-chici americani puntarono afare del pensiero libertariodegli Stati Uniti non tanto unacorrente di opposizione,quanto la più genuina espres-sione della culturaamericana4. Nella genesi delmovimento un ruolo fonda-mentale venne ricoperto dallenumerose comunità utopiche,di natura religiosa o socialista,sorte negli Stati Uniti nellaTe

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Il mutualismo individualista di Josiah Warrendi Marco Perez

prima metà del XIX secolo. Una delle piùnote fu quella fondata nell’Indiana dalriformatore inglese Robert Owen (1771-1858) e denominata New Harmony(1824), a cui Warren partecipò per unbreve periodo.

The failure of the experiments on the com-munity system in New Harmony during thetwo years trial from 1825 to 1827, sufficien-tly proved this to my mind, & led to the con-viction that the process of combination is notcapable of working out the great objects ofsociety; but, the opposite principle, that of Individuality and the process of DISCONNEC-TION, after much close and severe investiga-tion were found to possess or to lead to all the

redeeming and regenerating powers neces-sary for the complete solution of the great so-cial problem5.

Warren si opponeva risolutamente all’e-sistenza di un governo, sia pure limitatoda un sistema di garanzie costituzionali,spingendosi sino a respingere la nozionestessa di società. Questa riflessione loportò a scrivere nel 1841 il suo celebreManifesto, basato sulla sovranità dell’in-dividuo (che presentiamo in versione tra-dotta). Per Warren, l’individuo non do-veva essere autonomo soltanto sul pianomorale, ma anche e soprattutto su quelloeconomico. Se la strada percorsa da Tho-reau era ancora legata a una sovranità in-dividuale “negativa”, implicita nel con-cetto di “resistenza civile”, Warren larenderà “positiva” nella stesura della suateoria economica. Per essere effettiva lasovranità dell’individuo doveva esserebasata su un criterio di giustizia sociale,fondata sull’inalienabile diritto del sin-golo di disporre del proprio tempo e deifrutti del proprio lavoro. Accettando ladivisione del lavoro come un fatto, sitrattava di creare un modello capace diintegrare gli scambi comunitari (di pro-dotti e di manodopera) tutelando le aspi-razioni personali. In una diversa determi-nazione del “valore economico” Warrenintravide la chiave attraverso cui co-struire dei rapporti equi nel mondo dellavoro e negli scambi. Se nel sistema ca-pitalista il valore di una merce era deter-minato dal bisogno, in quello auspicatoda Warren si limitava in base al costo diproduzione e dal tempo impiegato perassolvere un determinato servizio.Anche l’anarchismo americano, quindi,proponeva una soluzione alla classe la-voratrice; ma essa era opposta a quellasuccessivamente proposta dai movimentisocialisti. Non si trattava di creare un si-

7 Tesi e ricerche

Josiah Warren (1798-1874).

stema comunista, basato sulla comu-nanza dei beni e sull’abolizione del “li-bero mercato”, bensì della libera espres-sione della sovranità individuale,attraverso l’estensione massima del “li-bero mercato” e della competizione.Più che un teorico, Josiah Warren fu peròsoprattutto uno sperimentatore sociale,che non sentì mai la necessità di formu-lare una teoria generale e definita. Leidee erano condizionate dal loro tempo edalla loro praticabilità e per questa ra-gione impegnò gran parte della propriaesistenza alla promozione di esperienzecomunitarie basate sul costo di produ-zione. In questa direzione il suo anarchi-smo si faceva interprete di un pragmati-smo diffuso nella società americana.A Cincinnati diresse per tre anni (1827-

1830) l’esperimento commerciale delTime Store, basato sullo scambio di la-voro. Le merci venivano acquistate evendute sulla base del costo, con l’ag-giunta di una commissione derivabile daltempo speso nella gestione. Nel 1834venne fondato nell’Ohio il Village ofEquity, privo di gerarchie e dove le re-gole venivano abbandonate in favore disemplici accordi verbali.

Nessuna organizzazione, né delegazione delpotere, non costituzioni né leggi né statuti néregole o regolamenti tranne quelli che cia-scuno stabilisce per sé e per il proprio lavoro.Non abbiamo dovuto ricorrere a funzionari néa sacerdoti, né a profeti - nulla di tutto questoè stato necessario. Ci siamo riuniti qualchevolta, ma per conversare amichevolmente,per fare musica, per danzare o per qualchealtro piacevole passatempo in comune. Non èstato tenuto neppure un discorso sui principiche reggono la nostra comunità. Non ce n’èstato bisogno, perché (come ha osservato ieriuna donna) “una volta che la questione è stataspiegata e capita, non c’è più nulla da dire”:si tratta soltanto di agire”6.

Il sistema mutualista si proponeva comealternativa al capitalismo, in un tempo incui la centralizzazione dei monopoli eraappena abbozzata. Riconoscere l’autono-mia teorica e storica del pensiero anar-chico americano non deve tuttavia oscu-rare il fatto che esso andò incontro a unaparziale integrazione con elementi diquello europeo.L’impostazione di Warren si presentava,pur senza relazione apparente, simile aquella promossa da Pierre-JosephProudhon (1809-1865) negli stessi anniQuaranta. Per Proudhon, gli individuiproduttori (piccoli artigiani, contadini,ma anche operai) avrebbero potuto co-struire una società federata di coopera-

8Tesi e ricerche

Henry David Thoreau (1817-1862).

9 Tesi e ricerche

tive basata sullo scambio solidale deiprodotti. Come nell’impostazione anar-chica americana, anche Proudhon pen-sava che l’individuo dovesse essere auto-nomo e che la libertà dovesse basarsiprimariamente sull’indipendenza econo-mica7. Ugualmente il suo mutualismopresupponeva un criterio di giustizia so-ciale che fondava il valore delle merciunicamente sul costo di produzione. Ilmutualismo proudhoniano era però ap-plicabile anche a un tipo di produzioneindustriale, sebbene quest’ultima nonfosse mai stata al centro della sua rifles-sione8.La fortuna del suo pensiero in Americava quindi compresa alla luce di un’impo-stazione individualista, ma anche degliesiti di quelle caratteristiche presenti nel-l’era dei Founding Fathers americani.Sotto questo aspetto va considerato ilprofondo cambiamento della societàamericana a partire dagli anni Trenta; daun mondo agricolo, composto da piccoliagricoltori e artigiani e privo, pertanto, diforti disuguaglianze economiche, a un’e-conomia dominata da grandi industriemonopoliste9.In effetti, come principale fautore delmutualismo proudhoniano negli StatiUniti viene generalmente riconosciutoWilliam Batchelder Greene (1818-1878),che attinse le sue riflessioni dalla cono-scenza di Proudhon, la cui influenza è ri-scontrabile nella sua opera più impor-tante, Mutual Banking (1849)10. Neltrasporre i fondamenti teorici diProudhon nella realtà americana, si puòintravedere una maggiore attenzioneverso la produzione industriale. Nella ri-flessione di Greene rimane visibile delresto l’individualismo tipico della cul-tura radicale americana.

Il comunismo sacrifica l’individuo per assi-

curare l’unitarietà del tutto. Il mutualismo sibasa invece su un illimitato individualismocome condizione primaria essenziale e neces-saria alla propria esistenza (…) tenete benpresente quest’ultimo fatto. La sovranità indi-viduale è il Giovanni Battista del mutuali-smo, senza la sua venuta l’idea mutualista sa-rebbe rimasta vuota11.

Nel 1851 Josiah Warren diede vita all’e-sperienza comunitaria di Modern Times,all’interno della quale si svilupparono iprincipi del Free Love Movement, che inWarren aveva trovato uno dei suoi piùvalidi sostenitori. Le numerose comunitàdi natura utopica, religiosa o libertariasorte nell’Ottocento americano furono ineffetti un luogo di scambio e di reciprocacontaminazione, e soprattutto definironomolti elementi della futura cultura radi-cale statunitense.La paternità del termine Free Love sideve al riformatore socialista cristiano

Ralph Waldo Emerson (1803-1882).

John Humphrey Noyes (1811-1886), chenel 1848 aveva fondato la comunità diOneida, dove l’istituzione matrimonialeera stata sostituita dai principi dell’a-more libero. In essa la liberazione affet-tiva e sessuale dell’uomo e della donnasi realizzava rifiutando i modelli mono-gamici e patriarcali. Per Noyes l’amorelibero trovava giustificazioni bibliche esi inseriva in una generale ricerca di unapiù profonda spiritualità, che negli StatiUniti nutriva vari precedenti all’internodella tradizione protestante radicale.Anche per Warren la questione femmi-nile non si risolveva nel pieno usufruttodell’indipendenza economica, ma com-prendeva la sfera morale e famigliare. Sipuò ascrivere a questi anni la commi-stione, divenuta poi organica nel movi-mento libertario americano, tra anarchi-smo e movimenti di liberazione delladonna. L’esperienza comunitaria di Mo-dern Times sopravvisse fino allo scoppiodella guerra civile americana e fu, sottomolti aspetti, il progetto più rappresenta-tivo dell’opera pratica di Josiah Warren,compendiata sul piano teorico dalla suc-cessiva pubblicazione di True Civiliza-tion (1863).

Il MANIFESTO di Josiah Warren

Sembra che all’estero esista l’impres-sione che mi sia impegnato nella forma-zione di comunità. Un’inesattezza, versocui mi sento obbligato a rispondere. Tutti quelli che hanno ascoltato o lettoqualcosa di mio sopra questa materia,sanno che uno dei punti principali suiquali ho sempre insistito dice che la for-mazione di società o di qualsiasi altraclasse di combinazioni artificiali è ilprimo, più grande e fatale errore com-messo dai riformatori e legislatori. Le

comunità richiedono l’abdicazione dellanaturale sovranità dell’INDIVIDUO sulproprio corpo, tempo, proprietà e respon-sabilità, a favore del governo della com-binazione. Questo tende a prostrare l’in-dividuo trasformandolo in un semplicestrumento; coinvolgendo altri individuinella sua vita privata e responsabilizzan-dolo, a sua volta, delle azioni e dei senti-menti dei suoi associati; in questo modoagisce irresponsabilmente sui propri in-teressi, senza possedere alcuna certezzasull’esito delle proprie azioni e quasisenza un cervello autonomo che arrivi aconoscere gli scopi per i quali la comu-nità è stata fondata.Alcuni di quelli che hanno assistito allenostre riunioni pubbliche sanno che ilCOMMERCIO EQUO si fonda su un princi-pio esattamente opposto a quello dellacombinazione, principio che possiamochiamare di individualità. Ognuno ri-mane in possesso della sovranità sul pro-prio corpo, tempo, proprietà e responsa-bilità; senza abbandonare nessunaporzione della propria libertà naturale;nemmeno viene richiesto di farsi caricodelle azioni o dei sentimenti di altri. Nonesiste clausola secondo la quale la so-cietà possa esercitare alcuna classe di go-verno sulla persona, sul tempo, le pro-prietà o le responsabilità di un soloindividuo.Le combinazioni, come tutte le istitu-zioni costruite in base a esse, sono inven-zioni dell’uomo e di conseguenza condi-vidono la limitata visione umana e altreimperfezioni; il COMMERCIO EQUO, alcontrario, è uno sviluppo di principi che,sebbene nuovi per il pubblico, sono vec-chi quanto la creazione. Tali incomprensioni sono molto naturali;perché tutti gli intenti di riforma radicaleconosciuti fino a ora si basarono nellecomunità; il fallimento di questi progetti

10Tesi e ricerche

11 Tesi e ricerche

ha distrutto ogni speranza e il pubblico,non essendo informato dell’esistenza diuna reale alternativa, conclude che la no-stra sia una proposta dello stesso generee come tale destinata a fallire. Io rispettoil loro giudizio e credo, con essi, chequalsiasi sforzo per migliorare la condi-zione sociale attraverso la formazione dicomunità o di qualunque combinazioneartificiale (per quanto possa essere inge-gnoso il suo disegno, le buone intenzioniche animano i suoi promotori e l’onestàcon cui si diriga il progetto) non porteràgli esiti sperati e deluderà tutti quelli chevi siano impegnati. Il fallimento dell’esperimento comunita-rio di New Harmony durante il periodoche va dal 1825 al 1827 mi convinse cheil principio di combinazione non fun-ziona più in là di grandi obbiettivi gene-rali. Al contrario, dopo un’intima e rigo-rosa ricerca, arrivai alla conclusione cheil principio opposto, quello di individua-

lità e il processo di DISCONNESSIONE con-teneva la chiave maestra e tutto il poteredi rigenerazione e redenzione in grado dirisolvere i grandi problemi sociali; in-fatti, la nostra proposta promette tanto darisultare ingenua, le aspettative sem-brano smisurate; tanto che il suo inven-tore (se così possiamo chiamarlo) nonosò comunicarlo ai suoi più intimi cono-scenti per paura di essere consideratopazzo. L’unica strada percorribile risie-deva nella sua dimostrazione PRATICA.Cominciava così un nuovo percorso diricerche; la prima delle quali fu la“banca del tempo” aperta a Cincinnatinel maggio del 1827. L’esperimento, chedurò tre anni, aveva come oggetto l’ap-plicazione del commercio equo nella vitaquotidiana e fino a ora è stato impiegato(dove le circostanze lo hanno permesso)nello sviluppo delle nostre idee o nellaloro preparazione.Si è applicato nella cura e nell’educa-zione dei bambini, mostrandoci gli erroricommessi in una materia così impor-tante. Il commercio equo è stato applicato nel-l’acquisto e nella vendita di terreni e diquasi tutti i tipi di proprietà, così comenello scambio di tutti i tipi di servizi, ilche include il lavoro di commercianti,avvocati, medici, albergatori, ecc., inogni momento la sovranità dell’indivi-duo fu strettamente preservata e rispet-tata. Nessuna legislazione, di qualsiasitipo, invase la sfera individuale e fu il ri-spetto dell’individualità ad attrarre centi-naia di persone nella banca del tempo,molte delle quali ignare dei suoi obiettivigenerali; essi comprendevano, tuttavia,che era loro interesse partecipare all’e-sperimento, dimostrando così che gli af-fari comunitari funzionano secondo unprocesso naturale e irresistibile; senzacombinazione, senza organizzazione,

William Batchelder Greene Greene (1818-1878).

senza leggi, senza governo, senza la ri-nuncia di nessuna porzione della proprialibertà naturale; dimostrando che leriforme non hanno bisogno di aspettareche il mondo venga educato, la praticastessa costituisce un processo educativofondamentale, che non può essere giudi-cato fino a che non vi si partecipa.Durante gli esperimenti l’iniziativa indi-viduale è stata così sincera che le centi-naia di persone che vi hanno preso partenon possono essere, in nessun caso, iden-tificate come membri di una setta, partitoo società; il pubblico, in generale, ce loriconosce, eccetto quelli che hanno giàscelto di non riconoscersi nei nostri prin-cipi.L’opinione pubblica è il vero governo delmondo. La stampa è alla base di questopotere; di conseguenza, per diffondere leidee è necessaria la semplificazione dellastampa e degli strumenti tipografici, talida essere introdotti nelle case e usate dachiunque desideri farlo, di qualunquesesso; in questo modo la diffusione dellavera riforma sarebbe indipendente dallastampa comune, i cui amministratorisono, generalmente, troppo assorti o inte-ressati in altri argomenti, troppo influen-zati dall’opinione pubblica o troppo su-perficiali per pensare di fare giustizia inun campo che ancora si trova ai suoiinizi. Gli esperimenti e i tentativi sono con-clusi e i risultati, che sono registrati nellatestimonianza di chi vi partecipò, diven-tano ora il fondamento pratico delle rea-lizzazioni in questo campo. Quelli chedesiderano maggiori informazioni pos-sono ottenerle nelle riunioni pubbliche oleggendo la “Gazzetta del commercioequo”, che sarà pubblicata con questoscopo. Di seguito ci sono alcune delleprincipali caratteristiche del COMMERCIO

EQUO.

Si stabilisce un principio di commercioequo e stabile che porrà fine a tutte le at-tuali fluttuazioni dei prezzi e, conseguen-temente, all’insicurezza e alla rovina chequeste fluttuazioni creano, permettendola sopravvivenza di quelli che si sono ro-vinati. Mette fine a tutti i tipi di speculazione. Possiede un mezzo di scambio razionale,una reale e definita rappresentazionedella ricchezza. È basato esclusivamentesul lavoro come unico capitale legittimo.Un mezzo di scambio che detiene unatendenza naturale a diminuire il valore el’uso del denaro, fino a liquidarlo; e diconseguenza a eliminare tutti i tipi ditruffa, iniquità, crudeltà, corruzione e im-posizione che si sono costruiti su di esso. È il mezzo di scambio emesso solo daquelli che lavorano, che metterà nellemani dei lavoratori il potere e la ric-chezza; mentre quelli che non lavorano,sebbene ora siano ricchi, diventerannopoveri e senza potere.Permette che lavorino tutti quelli che lodesiderino, assecondando la naturale ten-denza che mantiene l’offerta in equilibriocon la domanda. Risolve l’enorme e difficile problemadella macchina contro il lavoro. In questomodo, nella stessa proporzione in cui lamacchina toglie lavoro agli operai, la-vora anche per conto loro; lascia sempreaperta la possibilità a un nuovo impiegoe, come commercio equo abolisce i gua-dagni misteriosi; lascia da parte le formedi apprendimento routinarie e sviluppanuove forme di conoscenza, alla portatadi tutti quelli che lo desiderano.Il bisogno individuale di pagare con ilproprio lavoro per quello che si consumapermette l’unico e legittimo controllo sullusso eccessivo, che ha così spesso rovi-nato individui, Stati e imperii; e che cista portando alla quasi universale rovina.

12Tesi e ricerche

Il commercio equo non arreda nessun uf-ficio all’ambizioso, né offre alcuna op-portunità a quelli che desiderano elevarsial di sopra delle persone o delle proprietàaltrui; di conseguenza non offre nessunatentazione a questo tipo di gente ed essinon saranno tra i primi ad adottare ilCOMMERCIO EQUO. Questo riguarda,prima di tutto, la maggioranza oppressa,gli umili, gli emarginati, e sarà adottatoprima da essi e da quelli che non hannonessun desiderio di vivere a spese deglialtri, così come per tutti quelli, ricchi epoveri, le cui superiori qualità morali eintellettuali gli permettano di apprezzarealcune delle ineffabili benedizioni deri-vanti da tale stato dell’esistenza umana.Queste sono alcune delle principali carat-teristiche del COMMERCIO EQUO; e il let-tore noterà che sono caratteristiche diuna rivoluzione grande e redentrice; sonocosì straordinarie, così fuori dal corso co-mune e corrente delle cose che la nostraproposta sarà denunciata come visionariae impraticabile. Sono preparato a tuttoquesto e sono preparato a dimostrare chei nostri principi SI SONO GIÀ REALIZZATI ehanno dimostrato la propria praticabilitàal di là di tutte le possibili contraddizioni.Per provare ciò, dichiaro che chiunquepuò cominciare a godere fin da ora deiprimi vantaggi del commercio equo e li-berarsi gradualmente dalla schiaccianteiniquità e sofferenza della (come vienechiamata) società civilizzata; e tutto que-sto senza unirsi a nessuna società, né ce-dendo parte della naturale e inalienabilesovranità sul proprio corpo, tempo e pro-prietà e senza diventare, in nessun modo,responsabile delle azioni e dei sentimentidi altre persone con le quali si abbianorealizzato accordi commerciali.Uno dei sentimenti più condivisi dellanostra epoca riguarda l’esistenza di unmale profondo e radicale che i legislatori

si sono dimostrati incapaci di scoprireponendovi rimedio. Con tutta la deferenza dovuta ai giudizialtrui, io mi sono dedicato a segnalarequello che sembra costituire questo malee i suoi rimedi naturali, legittimi ed effi-caci; e continuerò a farlo ovunque questamateria riceva l’attenzione e il rispettoche la sua indubitabile importanza gliconferisce; ho aspettato che qualche per-sona capace di ragionamento logico sidedicasse a investigare la materia osser-vando se poteva trovare un valido motivoper opporsi al COMMERCIO EQUO; e vogliosegnalare, a questo proposito, l’assolutastupidità e sorprendente debolezza diqualsiasi obiezione a questo proposito.Le obiezioni, per essere tenute in consi-derazione, devono limitarsi all’oggettodella questione e alle sue tendenze natu-rali: DISCONNESSE da tutte le considera-zioni meramente personali.Io rifiuto tutte le polemiche rumorose,prolisse, confuse e personali. Questa ma-teria si presta a studi sereni e ricercheoneste; e, dopo essere stata esposta(come io penso fare) davanti al pubblico,dovrà essere valutata da ogni individuosecondo la sua particolare capacità dicomprensione, senza realizzare nessuntipo di violenza, restrizione o coazioneverso di esso.

Josiah Warren, New Harmony, 27 novembre 1841

traduzione di Marco Perez

13 Tesi e ricerche

Note 1. Da un punto di vista bibliografico si pos-sono citare alcune opere particolarmente si-gnificative del pensiero di Warren come Equi-table Commerce (1852) e True Civilization(1863).2. G. Woodcock, L’anarchia: storia delle ideee dei movimenti libertari, Milano, Feltrinelli,1966, p. 404. 3. A. Caldwell Butler, Josiah Warren and theSovereignty of the Individual, “The Journal ofLibertarian Studies”, vol. IV (1980), n. 4, p.444.4. A. Donno, Josiah Warren, un anarchico li-beral nell’America dell’Ottocento, in A.Donno (a cura di), America anarchica (1850-1930), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1990,cit., pp. 16-17.5. J. Warren, Manifesto, Introductory note byJoseph Ishill, Berkeley Heights, Oriole Press,1952, p. 2.6. J. Warren in G. Woodcock, L’anarchia:storia delle idee e dei movimenti libertari,cit., pp. 405-406.7. S. Rota Ghibaudi, Il socialismo “utopi-stico”, in L. Firpo (a cura di) Storia delle ideepolitiche, economiche e sociali, Torino, UTET,1972, p. 188.8. G.N. Berti, Introduzione, in P.J. Proudhon,Critica della proprietà e dello Stato, Milano,elèuthera, 2001, p. 13.9. G. Iurlano, Radicalismo e tradizioni ameri-cane nella seconda metà del XIX secolo: l’a-narco-individualismo di Benjamin Tucker, inA. Donno (a cura di), La sovranità dell’indi-viduo: tre saggi sull’anarchismo negli StatiUniti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1987, p.11.10. R. Rocker, Pionieri della libertà, Milano,Antistato, 1982, p. 114.11. W. B. Greene, Socialistic, Mutualistic andFinancial Fragments, Boston, Lee & She-pard, 1875, pp. 24-31.

14Tesi e ricerche

Bozzetto grafico di Ferro Piludu, anni Ottan-ta del secolo scorso.

Chissà se gli anarchici costretti dalla re-pressione a vivere in esilio per moltianni, a volte la loro intera vita, sentivanonostalgia del loro paese d’origine. Perquanto riguarda gli anarchici che trova-rono rifugio a Londra, le fonti non of-frono risposta a questa domanda. Lemolte spie e le autorità di polizia nonerano interessate a questo aspetto. Quelloche li preoccupava era tenere sotto con-trollo una cosmopolita e numerosa comu-nità anarchica all’interno della quale vi-vevano, grazie alla liberale politica suldiritto d’asilo dell’Inghilterra, alcuni tragli anarchici considerati come i più peri-colosi: Kropotkin, Malatesta, Merlino,Malato, Most, Rocker, la Michel, Henry.Questa comunità era formata da decinedi militanti meno conosciuti che contri-buirono a creare una rete orga-nizzativa e di relazioni perso-nali che collegava tra lorocentinaia di militanti sparsiper il mondo: a Parigi, Chi-cago, Lugano, Marsiglia, Riode Janeiro, Il Cairo, Patter-son… La rete che si strutturòattorno all’esperienza dell’esi-lio permise al movimentoanarchico italiano non solo disopravvivere a ricorrenti e fe-roci ondate repressive, maanche di entrare in contattocon i gruppi libertari di altrenazionalità, di arricchirsi dalpunto di vista teorico, di con-tribuire allo sviluppo del mo-

vimento operaio e sindacale di altri paesi.La storia delle comunità anarchiche inesilio è quindi parte integrante non solodella storia del movimento anarchico ita-liano ma anche di quello internazionale.La comunità degli anarchici italiani nellacapitale britannica cominciò a svilup-parsi negli ultimi anni Settanta dell’Otto-cento. L’emigrazione dei primi interna-zionalisti si collegò all’emigrazionepolitica di epoche precedenti: quelladegli esuli del Risorgimento e quella deirifugiati della Comune di Parigi. I primiinternazionalisti frequentavano le osteriedi vecchi repubblicani e anticlericali. Glianarchici si stabilirono nei quartieri incui risiedeva la povera comunità di emi-grati italiani: Soho, Clerkenwell, Hol-born. Con i loro connazionali essi condi-

visero le difficoltà nel trovarelavoro e un’abitazione. In unodei primi periodi della suapermanenza a Londra Malate-sta visse nella sua officina dameccanico. Una tenda divi-deva il locale: da una partec’era il pagliericcio sul qualedormiva, dall’altra il labora-torio dove lavorava. Unadelle tante spie informò cheRavà, Ceccarelli e Alvini do-vettero vendere un paio discarpe per potersi sfamare.Con gli anni e con il dilagaredella repressione anche inpaesi tradizionalmente ospi-tali come Francia e Svizzera,M

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I cavalieri erranti dell’anarchia: la diaspora italiana a Londra (1880-1917)

di Pietro Di Paola

15 Memoria storica

la comunità anarchica di Londra andòaumentando. I rifugiati venivano rag-giunti dalle mogli. Spesso intraprende-vano attività di carattere artigianale chegià praticavano prima di lasciare l’Italia(sarti, calzolai); molti trovarono lavorocome cuochi e camerieri. Alcuni vende-vano prodotti alimentari. Le famiglie siallargarono con la nascita di figli. Cometutte le comunità, anche quella deglianarchici italiani creò i propri luoghi diritrovo, di svago e di socialità. Questi

Club erano anche centri di propaganda,al loro interno venivano organizzati riu-nioni, dibattiti e contraddittori. Era neiclub di Londra che, secondo l’ispettoredi polizia Sernicoli, si formulavano leidee sovversive che in pochi giorni face-vano il giro d’Europa e del mondo. IClub erano anche luoghi di produzioneculturale. Una controcultura che sidiffondeva attraverso le rotte dell’esilio e

che fu fondamentale nel creare e raffor-zare il senso di appartenenza e di iden-tità, e nel rinsaldare legami ideologici. Ilteatro era un tassello portante di questaproduzione. Gori inviava per posta aicompagni di Londra i suoi bozzetti per-ché venissero rappresentati, ma pièceteatrali erano prodotte anche in loco.Uno degli autori più prolifici della comu-nità era Federico Lauria, in realtà infor-matore del Consolato italiano (l’agenteCalvo). Nel 1893 una sua commedia

venne rappresentata con successo alClub Italo Svizzero. Saverio Merlinofece da suggeritore, contribuendo allariuscita della serata. I Club erano gestitispesso in collaborazione dai vari gruppinazionali (tedeschi, russi, francesi, ita-liani), che insieme organizzavano anchele celebrazioni di carattere più interna-zionale: le ricorrenze del Primo Maggioe la celebrazione dei martiri di Chicago,

16Memoria storica

17 Memoria storica

la Comune di Parigi, la morte di Franci-sco Ferrer. Queste serate erano spessostrutturate nello stesso modo anche inaltri centri dell’esilio: discorso di aper-tura, lettura di poesie o monologhi, cantirivoluzionari con l’immancabile Carma-gnole, brani d’opera o musiche di man-dolino, sessione di ballo come gran fi-nale. Altro importante strumento di propa-ganda erano i giornali che permettevanolo scambio di informazioni con l’Italia e

con gli altri centri dell’esilio. Questepubblicazioni, seppure tutte di breve du-rata, contribuirono comunque al dibattitoteorico e allo sviluppo della linea politicadel movimento, come avvenne per esem-pio rispetto alla polemica tra organizza-tori e anti-organizzatori (L’Anarchia,1896) o dopo l’uccisione del re Umberto(Cause ed Effetti, 1900). Il fatto però chetutti i giornali pubblicati a Londra dalla

comunità anarchica italiana fino alla finedella prima guerra mondiale erano in lin-gua italiana denota un problema nel rap-porto con il paese ospitante. In effetti, lamadrepatria rimase sempre l’orizzonteprincipale degli anarchici italiani a Lon-dra.In questo microcosmo non mancaronopolemiche e divisioni anche profonde,specialmente tra gli organizzatori, capeg-giati da Malatesta e Merlino, e gli anti-organizzatori, guidati da Luigi Parmeg-

giani anarchico dalla doppia vita.Parmeggiani era conosciuto con il suovero nome come capo di una banda dianarchici espropriatori, e con quello diLouis Marcy come stimato proprietariodi una galleria d’arte di antiquariato aBloomsbury Square e a Parigi. La polizia inglese teneva attentamentesotto controllo le attività degli anarchicie nel 1894 arrestò Francesco Polti e Giu-

seppe Fornara, detto Piemonte, per pos-sesso di materiali esplosivi. Molti degliscassi effettuati dal gruppo di Parmeg-giani erano messi a segno grazie a chiavifalse fabbricate da Fornara. I due furonocondannati rispettivamente a dieci e ventianni di lavori forzati. Quando si avvicinòla data in cui Fornara sarebbe dovutouscire dal carcere per i benefici di legge,le autorità inglesi, con il consenso diquelle italiane, per evitarne il rilascio loricoverarono per disturbi psichiatrici. Laquestione si ripresentò allo scadere dellapena. Fornara fu diagnosticato pazzo erinchiuso in un manicomio criminale dalquale non sarebbe più uscito. Vi morì nel1941, a oltre mezzo secolo di distanzadalla sua condanna. Per sorvegliare la colonia anarchica leautorità italiane si affidarono a numerosespie e informatori: De Martjis, Lauria,Bellelli, Rubino. Tuttavia questa praticanon era priva di complicazioni e fu causadi seri incidenti diplomatici, come av-venne nel caso di Rubino che, smasche-rato come spia nel 1902, attentò alla vitadel re del Belgio per dimostrare agli excompagni la sua buona fede. Lo scoppio della prima guerra mondiale,le divisioni causate dall’atteggiamento datenere nei confronti della guerra, l’inter-namento degli anarchici di nazionalitànemica, il ritorno in patria di molti anar-chici russi allo scoppio della rivoluzione,il rientro di Malatesta in Italia, segnaronoil declino di Londra come uno dei centripiù importanti dell’esilio anarchico.

The Knights-Errant of Anarchy. London and the Italian anarchist

diaspora, 1880-1917,Liverpool University Press

in uscita nel 2013

18Memoria storica

La sezione speciale che segue è unariflessione sulla parola “anarchia” diGustav Landauer (Karlsruhe, 1870 -Monaco di Baviera, 1919), un anar-chico tedesco molto noto ma nellostesso tempo poco tradotto in italiano.Per ovviare a questa carenza, nel2012 elèuthera ha pubblicato la primacorposa antologia di scritti landaue-riani, curata da Gianfranco Ragona,il massimo esperto di Landauer in Ita-lia. L’antologia e il testo qui pubblica-to consentiranno finalmente di cono-scere in modo più approfondito questopensatore e militante appassionato,che finora era conosciuto dal pubblicoitaliano solo per alcune celebri frasi,come quella che apre il sito del nostrocentro studi: “L’anarchia non è cosadel futuro, ma del presente, non è fattadi rivendicazioni, ma di vita”.

19 Speciale Gustav Landauer

Anarchico tedesco di origine ebraica,Gustav Landauer (1870-1919) morì aMonaco durante il tentativo insurrezio-nale della Repubblica dei Consigli, uc-ciso da milizie di estrema destra che ap-poggiavano il governo centralesocialdemocratico. Di tendenze colletti-

viste e socialiste anarchiche, Landauerpubblicò nel 1909 sulla rivista “Der So-zialist” uno studio etimologico col qualesi propose di approfondire la genealogiadella parola “anarchia”, da lui definitauna “equivoca parola prismatica”. Quiripubblichiamo questo contributo se-

Gustav Landauer: per una storia della parola “anarchia”

a cura di Devis Colombo

S P E C I A L E G U S TAV L A N D A U E R

1. Gustav Landauer, foto tessera del passaporto (1915?). Le immagini di Landauer pubblicate in que-sto inserto provengono dall’archivio fotografico dell’Istituto di storia sociale di Amsterdam.

20Speciale Gustav Landauer

condo la sua originaria divisione in dueparti: la prima (I) comparve sul numerodel 15 maggio, la seconda (II) l’1 giu-gno. L’analisi di Landauer (che tanto ri-chiama alla mente la sentenza gnomica“indaga le parole a partire dalle parole,e non le cose a partire dalle parole”) ini-zia dalla Rivoluzione francese, passa peri maestri del diritto statale del XVIII se-colo, Carlo Martini e August Schlözer, eda altri autori poco esplorati, come loscrittore Ludwig Börne, per giungere aProudhon attraverso i pensatori classicidell’anarchismo (Michail Bakunin,Edgar Bauer, Max Stirner). Nell’intentodi chiarire lo sfondo culturale e il per-corso intellettuale seguito da Proudhonper propagandare per la prima volta l’a-narchia secondo un’accezione positivadella parola, Landauer ci suggerisce unavisione mutevole dell’anarchismo, in cuila capacità di aderire alle condizioni so-

ciali presenti supera qualsiasi irrigidi-mento terminologico. Ci offre così il pre-zioso consiglio di “non legarci mai stret-tamente ad alcuna parola precisa”, e difar sempre trasparire attraverso tutte lepossibili erudite denominazioni – sociali-sta, anarchismo, socialismo – ciò chenon bisognerebbe in alcun modo perderedi vista: “la comunità naturale, la comu-nità del popolo e non per ultimo la suavoce”. Come dimostra anche questo testo, Gu-stav Landauer fu tra i primi a vederenella figura del giovane hegeliano EdgarBauer il fondatore dell’anarchismo inGermania, considerazione che verrà ri-presa più tardi da Max Nettlau1. Lan-dauer individua due significati fonda-mentali della parola “anarchia”: il piùvecchio vede nell’anarchico un sobilla-tore, un criminale e un partigiano dellaviolenza che attraverso il disordine so-

S P E C I A L E G U S TAV L A N D A U E R

16 febbraio 1919, Landauer (al centro con la barba) durante una manifestazione. Verrà ucciso il 2maggio dello stesso anno.

21 Speciale Gustav Landauer

ciale e la distruzione di tutti i legamicoercitivi – “un’anarchia di transizione”– vuole giungere a “un’anarchia dell’or-dine”, una libera società di eguali. Se-condo il significato più recente invece,affermatosi in particolare con BenjaminTucker e John Henry Mackay, l’anar-chico è “il più grande non-violento”,esclusivamente un costruttore e un edifi-catore del nuovo ordine. Ma al di làdella scelta etica di rifuggire o ricorrerealla violenza, che Landauer (traduttoredel mistico Mastro Eckart e sostenitoredi un anarchismo che si fonda innanzi-tutto sulla rigenerazione individuale) la-scia alla libera riflessione di ciascuno dinoi, gli sviluppi del significato della pa-rola “anarchia” sono accomunati dal-l’avversione per il potere statale e daun’idea della società e dell’uomo che sibasa sul “vincolo volontario”: un’ideache proviene direttamente dalle teoriecontrattualistiche del giusnaturalismo.Si tratta difatti del vincolo che il singolo– a seconda della personale propensioneper un anarchismo che privilegia la rivo-luzione sociale o la liberazione interiore– concorda spontaneamente con i proprisimili per favorire lo sviluppo armonicodella collettività, o di un vincolo che egliimpone a se stesso per costruire e indi-rizzare la propria individualità.

I.Non tratterò qui di una storia delle ideedell’anarchismo, ma della storia dellaparola “anarchia”. Di questa, infatti, perquanto ne sappia io, non ci si è ancoraoccupati abbastanza; in ogni caso sonoconsapevole di offrire soltanto un contri-buto assai incompleto, nella speranzache altri, più preparati di me nella meto-

dologia di ricerca della storia dei concettio nella conoscenza della letteratura anar-chica, si lascino stimolare per ulterioriinterventi. Accanto alle parole “regnare” e “gover-nare” si sono contemporaneamente for-mati, a partire dai corrispettivi verbigreci, i termini autocrazia, aristocrazia,democrazia da una parte, e monarchia,oligarchia, poliarchia dall’altra. In tuttequeste forme di regime – che nel com-plesso, che riguardino la Chiesa o loStato, noi definiamo gerarchiche – puòaccadere che in seguito a una guerra, auna ribellione interna o a conflitti in cuiognuno crede di lottare per il legittimosovrano, si verifichino momentanee con-dizioni di smarrimento, di disordine, e ditotale insicurezza: si ha allora bisogno diuna parola per indicare questi episodi incui tutto pare superare ogni limite e ogniconfine: ecco “l’anarchia”. Questa paroladunque non ebbe origine in nessuna teo-ria, ma in una realtà di fatto che nessunoavrebbe mai potuto raggiungere con lasola volontà: tutti aspiravano a un qual-che regime, ma non tutti volevano lostesso, e il tempo non conferiva alcunadirezione precisa al governo affermatosi– lasciando che si instaurasse un ordineduro e arbitrario – e tutti parevano insod-disfatti e tutto divergeva minacciando dicadere a pezzi: una simile situazione didisordine dovuta a un’insufficiente auto-rità veniva chiamata “anarchia”. Prestoperò si notò, o si pensò di aver notato,che il disordine di ogni situazione transi-toria giovava a un gruppo di uomini chesi sforzavano di prolungarlo, provavanosoddisfazione in questo tentativo, o addi-rittura aspiravano a provocarlo di nuovo,una volta calmatesi le acque. Così la pa-rola “anarchia” si forma per designare un

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agitatore, un contestatore, un partigianodell’assenza di leggi e dell’insubordina-zione. Non so quando si sia formata; enon so neppure dove e quando sia ap-parsa inizialmente, ma non dubitoch’essa sia considerevolmente antica. Edove troviamo una situazione sgradita –sgradita soprattutto a una casta privile-giata – senza che si abbia cercato gli au-tori, gli istigatori, e si sia sentita la ne-cessità di creare un termine infamanteper definirli? Kropotkin nel libro Die französische Re-volution2 scrive in modo dettagliato edocumentato di come durante la Rivolu-zione francese i girondini – e special-mente Brissot3 – nei loro volantini e ad-dirittura nei loro canti definivano“anarchici” i radicali Montagnardi4 e gliEnragés5 che volevano indirizzare la ri-voluzione in una direzione sociale e, sipuò tranquillamente dire, socialista.Dunque questi combattenti rivoluzionari,che sono indubbiamente gli antenati ditutte le correnti socialiste successive finoai giorni nostri, venivano chiamati “anar-

chici” in un senso ingiurioso dai loro av-versari, gli antenati degli odierni sosteni-tori della costituzione e dei liberali. Sa-rebbe interessante constatare se gli uni ogli altri abbiano in qualche misura accet-tato questo ignominioso appellativo. Nonconosco nulla in merito; in ogni caso nonè stato affatto studiato il collegamentofra questi “anarchici” e gli uomini deltempo che noi abbiamo considerato iprecursori dell’anarchismo, i quali tutta-via non facevano ricorso ad alcuna pa-rola particolare – per esempio WilliamGodwin. Di tutti questi precursori non sodire nulla; non conosco nessuno cheabbia utilizzato la malfamata parola“anarchia” o “anarchista” nelle proprieteorie o nelle proprie riflessioni, anchesoltanto per un’intenzionale paradossa-lità. Ma il nome non finì dimenticato.Edgar Bauer6, per esempio, nel 1843parla abbastanza frequentemente degli“anarchici del 1793” e respinge inquanto “pura rivoluzione politica” e“anarchia all’interno dello Stato” il loromodo di lottare, assieme a quello dei cir-coli giacobini. E la sua critica è fondata:come rivoluzionari si appellavano fre-quentemente all’azione diretta e localedel popolo o della municipalità, ma laloro non si rivelò mai una teoria anticen-tralista, sostenendo al contrario – per lopiù in accordo con i giacobini – una solae indivisibile repubblica, in contrapposi-zione ai presunti sforzi federalisti dei gi-rondini. Dopotutto, è per un curioso scherzo dellastoria che Brissot, l’uomo che definiva“anarchici” i suoi avversari più rivolu-zionari, avesse un tempo pronunciato ilmotto “la proprietà è un furto”:Proudhon, il quale riprese più tardi lemedesime parole, è lo stesso che portò

22Speciale Gustav Landauer

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prestigio alla parola “anarchia”, trasfor-mandola per descrivere una teoria e unatendenza. E Proudhon è stato effettivamente ilprimo, per quanto ne sappia io, ad averpropagandato l’anarchia. Ma per spie-gare in che senso egli abbia scelto l’e-spressione, e per scoprire la via da luipercorsa, devo soffermarmi ancora unpoco sui suoi precursori. Il vero antesignano intellettuale diProudhon, del socialismo e soprattuttodell’anarchismo è l’uomo che fra tutti ipadri spirituali ha esercitato una forte in-fluenza sulla Rivoluzione francese, Jean-Jacques Rousseau. Se paragoniamo que-st’ultimo ai precedenti sostenitori dellanatura o del diritto naturale – Monte-squieu, Locke, Grozio, fino a più o meno

ai precursori del diritto del popolo controil potere dei prìncipi, il potere monar-chico, egli non porta assolutamente nulladi nuovo all’infuori della sua veemenza edella sua personale forza della natura checoncretizzano il dotto diritto naturale inpotere popolare rivoluzionario. Rousseaudunque, e con lui tutti i sostenitori del di-ritto naturale, chiedono la nascita delloStato: non in prima istanza – comespesso si è frainteso – la nascita delloStato da una condizione naturale senzaStato, ma un’incessante nascita socio-psicologica dello Stato dalla naturaumana secondo giustizia, e secondo unoscopo stabilito dalla volontà degli uo-mini. Lo Stato, così come viene recla-mato, non è niente di naturale e di invio-labile, bensì qualcosa che nasce

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Un’altra immagine di Landauer (al centro con barba e cappello) mentre partecipa a una manifesta-zione, presumibilmente durante la Repubblica bavarese dei Consigli.

incessantemente dalla comune volontà eda un libero contratto. La peculiarità diquesto contratto è però che tutto ciò cheha origine in lui non permane in mododefinitivo, ma sorge continuamente dauna tacita e reiterata approvazione: puòessere infatti sciolto in ogni momento,anche attraverso il recesso di una partesola. Lo Stato in questo modo viene resoproblematico; e coloro che ne sono coin-volti e assumono una posizione nei suoiconfronti non sono individui isolati:quella società o quel popolo in cui vienestretto il contratto si trova già di fronte auna totalità, a un organismo unico, chenon è lo Stato. Rousseau, i teorici del di-ritto statale e gli economisti politici daiquali egli proviene, fondano una conce-zione contraddittoria dello Stato pog-giandola su un’idea che racchiude in sécollettività e libertà, socialismo e anar-chismo: la società. A ciò si ricollega di-rettamente Proudhon. Il diritto naturale, il cui più grande inter-prete del tempo fu Rousseau, non portain sé soltanto il diritto del popolo alla ri-voluzione, ma anche, e malgrado Rous-seau, il germe del socialismo anarchico.Entrambi questi elementi furono portatipresto alle estreme conseguenze, soprat-tutto da Fichte, che nel suo Beitrag zurBerichtigung der Urteile des Publikumsüber die französische Revolution7 (1793)sostiene il diritto alla revoca del con-tratto sociale, e con altrettanta energia èconvinto che lo Stato abbia il compito direndersi superfluo da sé. L’idea della so-cietà è in Fichte già totalmente separatadallo Stato; ovunque, nei ragionamenti enell’atmosfera che si respira attorno allesue affermazioni, viene alla luce unaforte avversione verso lo Stato in quantotale; egli annuncia “il diritto a non rico-

noscere legge alcuna, se non quella checi si dà per sé”. E nelle stesse pagine eglidice espressamente che l’umanità si av-vicina sempre più al traguardo dell’as-senza di Stato, e che “davanti ai nostriocchi” l’umanità ha iniziato nella Rivo-luzione francese la sua affermazione inquesto senso. Fichte sostiene idee similianche più tardi, in scritti successivi. E proseguendo in questa direzione dellarinascita del diritto naturale sotto l’in-flusso di Rousseau e della Rivoluzionefrancese, mi sono imbattuto in un altrosviluppo della parola “anarchia”, senzapoter sul momento seguire le più vicinecorrelazioni. Nella terza parte dell’Enciclopedia uni-versale8 di Ersch e Gruber (curata nel-l’anno 1819), alla voce “anarchia” re-datta da Rotteck9 si trova infatti ilseguente passaggio: “Diversi vecchiscrittori (dei quali tuttavia alcuni non ri-

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corrono alla parola anarchia, benchécontribuiscano a fondarne il concetto),fra i più recenti, specialmente Martini10 elo stesso Schlözer11, hanno inteso l’anar-chia come una condizione intermedia fral’essere al di fuori e all’interno della so-cietà civile. Essa è per loro un rapportosociale fra uomini che hanno concordatoun civile contratto associativo, che nonessendo tuttavia un contratto di asservi-mento può ancora garantire la piena li-bertà, l’uguaglianza degli individui e, alposto di un vero potere della società, laforza delle decisioni unanimi. Soltantonella concezione di un vero contratto so-ciale vige contemporaneamente anchel’asservimento dell’individuo al poterenaturale della società. E soltanto nell’a-strazione, non nella realtà, i contratti diassociazione e di asservimento potreb-

bero essere separati l’uno dall’altro; daciò si rischiara l’idea che se l’anarchiadeve significare una società senza tutto ilpotere, è allora qualcosa di contraddit-torio in se stesso o un assurdo”. Dal contributo di Rotteck, e dalla criticacui è legato, deriva che Martini, Schlözere altri precedenti maestri del diritto pub-blico si siano riferiti con il termine“anarchia” alla condizione di una societàsenza potere pubblico [öffentlicheGewalt] in cui l’ordine, la quiete e la si-curezza sono ciononostante garantiti.Cercherò di approfondire la ricerca circaquesti maestri del diritto statale, i cuimanuali appartengono a un tempo abba-stanza remoto – Martini (1783), Schlözer(1793) – e spero, all’occasione, di po-tervi comunicare qualcosa. Nonostante Rotteck definisca inizial-mente l’anarchia – o la società senza po-tere – una pura assurdità, in seguito am-morbidisce questa critica. Riconosce chela condizione anarchica “in minimaparte, in rapporti molto semplici e in co-stumi irreprensibili – qualcosa che si ècristallizzato attraverso le tradizioni eche comunque non rafforza lo Stato –potrebbe trovare posto nelle vive so-cietà”; dice poi che i tedeschi al tempo diCesare e Tacito avrebbero realizzato unasimile società anarchica nei suoi tratti ca-ratteristici, e aggiunge: “Nondimenoquei tedeschi vivevano sotto la prote-zione dei buoni costumi e di un preziosospirito comune – che l’organo artificialedella volontà generale renderebbe trascu-rabili – e godevano di una maggiore si-curezza, tranquillità e felicità civile diquanto sovente si affermi sotto una costi-tuzione artificiale e un potere regolare”.Ed egli dibatte poco lontano l’interes-sante idea che una simile anarchia possa

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in parte farsi spazio anche all’internodella vita statale, nel momento in cui al-cuni settori della vita si ritirano dall’in-tromissione dello Stato, e si affidano allalibertà. Ma questo mutamento semanticosubito dalla parola “anarchia” per effettodei maestri del diritto statale, non era an-cora penetrato nella lingua parlata – per-lomeno degli spiriti più produttivi –come sembra dimostrare un brano moltocurioso di Ludwig Börne12, al quale iofeci riferimento già alcuni anni fa (nelvecchio “Sozialist”13). Fu scritto attornoal 1825 o al 1826. Si tratta di un lungo saggio in forma direcensione circa un libro francese – aquanto pare insignificante – dal titoloNouvelles lettres provinciales (Parigi1825). Dal seguente passaggio emerge ilragionamento di Börne: “Non è spessoauspicabile trovarsi alla mercé di un ti-ranno, il quale, in quanto uomo, può tut-tavia essere ammansito, piuttosto che ca-dere sotto il potere di leggi spietate? […]Che tutto il popolo prenda il governo,uomo per uomo, anima per anima: la li-

bertà non verrebbe certo assicurata. Ilpopolo può diventare tirano di se stesso,ed è spesso accaduto […]. Quando LuigiXIV disse: ‘Lo Stato sono io’, la sua piùgrande e pericolosa illusione non fuquella di impersonare lo Stato, ma di ri-tenere lo Stato la cosa più elevata. Il reperò condivideva questa illusione con isuoi sudditi, il suo tempo la condividevacon un lungo passato e con il secolo avenire, e la maggior parte dei suoi con-temporanei la condividevano ancora. LoStato è il letto di Procuste in cui l’uomoviene stirato a forza, o amputato finchéalla fine non vi entri perfettamente. LoStato, la culla dell’umanità, è diventatola sua bara. Lo Stato è al tempo stessoDio e prete, e in onore di Dio vengonomietute ipocritamente molte vittime, sesolo i preti ne hanno una gran voglia. Leleggi devono essere capaci di rendersisuperflue, o lo sono sempre state e lo ri-marranno sempre. Ma come possono di-ventare superflue, se si deve in ogni mo-mento limitare la libertà? Ciò diventapossibile perché le leggi educano il citta-dino alla legalità; perché lui si sente li-bero di modellarsi secondo leggi che sol-tanto poco prima gli erano state imposte;perché le leggi gli insegnano a ubbidirealla sua stessa voce, così come prima ub-bidiva a una voce estranea, e a limitare lasua volontà, così come prima limitavasoltanto la sua azione. L’uomo dovrebbeimparare ad adoperare la sua forza, nondovrebbe temere il pericolo della libertà.La difesa della legge ci ha tolto tutte leforze e tutta l’audacia […]. Anche il po-polo inglese ha solo le libertà ma non lalibertà. Perciò si sente ovunque parlaredel potere delle libertà, e si vede evitareil più possibile la parola ‘libertà’. Siparla di libere istituzioni: la libertà viene

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definita un’istituzione, ma soltanto l’au-torità [Herrschaft] lo è!”14. Con esitazione e incertezza in questerighe Börne sostiene la voce dei maestriche noi oggi definiamo anarchici, deri-vando da Fichte – come io credo – la pa-rola “legalità” per riferirsi alla voce inte-riore, mentre il legame volontario delsingolo allo spirito comune non puòsconfessare la provenienza dalla scuoladi Kant e dalla sua “morale dei costumi”.Börne conosceva anche la parola “anar-chia”? Lo si potrebbe quasi credere, e iostesso un tempo l’ho pensato. Egli prose-gue infatti: “Non importa se il potere sitrova in questa o in quella mano: dob-biamo attenuare il potere in sé, quale chesia la mano in cui si trova. Finora perònessun sovrano ha acconsentito che il po-tere nelle sue mani fosse indebolito,anche se lo utilizzava tanto nobilmente.L’autorità [Herrschaft] si può limitaresoltanto quando è senza padrone – la li-bertà nasce solo dall’anarchia. Di frontea questa necessità della rivoluzione nonpossiamo girare il viso dall’altra parte,soltanto perché l’urgenza del suo avventoè così triste. Noi, in quanto uomini, dob-biamo guardare il pericolo negli occhi,non possiamo tremare davanti al coltellodel medico che ci cura le ferite. La li-bertà nasce solo dall’anarchia – questa èla nostra idea, così noi abbiamo inteso gliinsegnamenti della storia”. Il corsivo è dello stesso Börne. Si leggaattentamente, le parole sono tanto inequi-vocabili: Börne intende per anarchia ilsolo disordine rivoluzionario. Possiamolimitare l’autorità soltanto nei momentiin cui è incerta, nella rivolta e nei periodidi transizione, soltanto allora possiamolimitare l’autorità e assicurarci la piùgrande libertà. Börne dunque non ha an-

cora nessun nome per la società con lamaggiore limitazione possibile del poterestatale; l’anarchia per lui non è l’obiet-tivo, ma il cammino: il disordine della ri-voluzione. E non è escluso che gli siapassata per la testa questa espressione,dal momento che era già stata utilizzataper indicare l’auspicata condizione a ve-nire negli scritti di alcuni maestri del di-ritto statale secondo la nuova trasforma-zione del significato, mentre in Börne ilvecchio significato resta immutato.

II. Contemporaneamente e in modo indipen-dente fra il 1842 e il 1843 si sviluppa l’a-narchismo in Germania e in Francia, mamentre in Germania gioca soltanto unruolo passeggero, come uno straniero inviaggio, in Francia conquista alla propriacausa uomini liberi provenienti da tuttele nazioni e gran parte del popolo. Si potrebbe addirittura prendere alla let-

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Dall’Archivio fotografico di Pierre Ramus, aliasRudolf Grossmann, anarchico austriaco (1882-1942) amico di Landauer.

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tera l’espressione dello “straniero inviaggio”, dato che il primo che in Ger-mania si scagliò contro la religione econtro lo Stato, rifacendosi ai giovani he-geliani, Feuerbach e Bruno Bauer, assu-mendo toni tipicamente anarchici, fu ilrusso Michail Bakunin nel suo saggioDie Reaktion in Deutschland15, che com-parve in Germania nel 1842 all’interno diun annuario, pubblicato con lo pseudo-nimo Jules Elysard. Questo scritto giova-nile è già animato da un particolare tonodi ardore, di trascinamento, di impeto, disotterraneo rancore, di carattere demo-niaco, che distingue Bakunin da tutti glialtri spiriti del tempo. A differenza del-l’intelletto e dello spirito critico preva-lente in altri autori, negli scritti di Baku-nin – che scrisse così a lungo – viveun’elementare forza barbarica. E cosìquesto scritto è anarchico nel senso piùoriginario della parola; tutto è espresso inuna chiave istintiva ed emotiva, nono-stante l’astratto linguaggio hegeliano. Dopo questa vivace ouverture dialettica,fu un altro uomo dall’intelletto chiaro epungente a fondare veramente l’anarchi-smo in Germania: Edgar Bauer, che ap-partiene a pieno titolo alla “scuola cri-tica”, uno degli spiriti più audaci ebrillanti che la Germania abbia maiavuto, anch’egli tanto dimenticato aigiorni nostri. Il suo libro Der Streit (pro-prio così!) der Kritik mit Kirche undStaat16, che uscì nel 1843 e che a luifruttò quattro anni di prigione in una for-tezza, è un’opera fondamentale per l’a-narchismo. Il suo rapporto con la parola“anarchia” è molto interessante. Ab-biamo già visto che cosa disse Bauerdegli “anarchici del 1793”; mentre dellelotte rivoluzionarie di quel tempo scrive:“L’anarchia, quale inizio di tutte le buone

cose, là era presente: si arrivò a una de-molizione piena di speranza: la religionefu soppressa. Quell’anarchia però eraun’anarchia all’interno dello Stato […].Ed è stato un errore, l’unico errore degliuomini rivoluzionari, i quali credetteroche la vera libertà si lasciasse realizzarenello Stato”. È dunque un anarchico con-sapevole, e perciò nuovo – ma nel vec-chio significato della parola: per ostilitànei confronti dello Stato e della Chiesa, eper amore dell’emancipazione, egli vuolesoltanto distruggere, distruggere, distrug-gere. Questo era il compito di chi Bauerdefiniva “critico”. E all’obiezione che sipone da sé: “Tu ci apri una prospettivadiversa da quella dell’anarchia, dell’as-sassinio e del furto?”, egli reagisceespressamente: “Subito risposi, moltosemplicemente, che non è nostro incaricocostruire”. “Il nostro pronunciamento[…] è negativo, la storia scriverà la ri-sposta affermativa”. Dallo stesso spiritouscirono le parole che Bakunin avevascritto un anno prima: “Il desiderio delladistruzione è al tempo stesso un deside-rio creatore”.

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Dall’Archivio fotografico di Pierre Ramus.

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Nello stesso anno 1843, giunse però inFrancia il più grande e positivo edifica-tore, Proudhon, il cui motto era “de-struam et aedificabo”17, demolirò e co-struirò. Egli, che peraltro seguendo unapropria elaborazione autonoma sotto l’in-flusso di Kant e di ciò che rimaneva nel-l’aria di Hegel era giunto agli stessi risul-tati di Feuerbach, pose le fondamenta perun’anarchia positiva. Per Proudhon l’a-narchia era soltanto la descrizione nega-tiva di qualcosa che doveva essere an-

cora costruito: la società nel momentodell’estinzione dello Stato. La pubblica-zione18 è datata 1843, ma i brani eranogià stati scritti nel 1842. Sempre nel 1843Moses Hess19, all’interno del volume Ei-nundzwanzig Bogen aus der Schweiz20

curato da Herwegh21, informa i liberispiriti tedeschi di queste nuove formula-zioni: “In Germania fu Fichte il primo amanifestare qualcosa di veramente crudoe ancora selvaggio, l’autonomia dellospirito. E in Francia vediamo emergere inBabeuf la prima – e perciò altrettantocruda – forma di vita sociale unitaria[einheitlichen Soziallebens]. O più chia-ramente: si tratta dell’ateismo inauguratoin Germania da Fichte, del comunismo diBabeuf in Francia, o, come adessoProudhon formula più precisamente, del-l’anarchia, vale a dire la negazione diogni autorità politica, la negazione delconcetto di Stato o di politica”. Poi Hess,nello stesso volume EinundzwanzigBogen, e in particolare nel suo saggioPhilosophie der Tat, dibatte di questanuova anarchia in modo ampio e detta-gliato – e piuttosto insopportabile – tra-dendo il lascivo pensiero di un uomo checon forza e veemenza sta conducendosolo giochi civettuoli e superficiali; benpresto Hess diventò anche sufficiente-mente marxista. Questo dunque accadde prima della finedel 1844, quando comparve il libro diMax Stirner Der Einzige und sein Eigen-tum22. L’opera si muove sotto l’influssoestremamente forte della “critica” deifratelli Bauer, ma Stirner in questo libro– il cui tema principale non è tanto larealtà o la concretizzazione, bensì la pos-sibilità – la supera senza alcuna diffi-coltà: egli innanzi tutto non ha riguardiper nessuno scopo, per nessun fonda-

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Impegnati a sventare un tentativo della poliziapolitica di reclutare spie da inserire nella reda-zione del giornale libertario «Der Sozialist», il 24settembre 1896 Wilhelm Spohr, Gustav Landauere Alfred Weidner (nell’ordine da sinistra a destra)pedinarono il commissario Boesel mentre s’incon-trava con un anarchico, che si era finto disponibi-le al tradimento. La foto li ritrae, con parrucchee barbe posticce, poco prima dell’imboscata.

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mento di una società libera, per nessundover-essere, per nessuna valutazione, senon per il totale affrancamento dai le-gami ed emancipazione dell’Unico intutte le sue manifestazioni di vita, che de-vono essere lasciate libere di svilupparsiindipendentemente fra loro. Che l’Unico,una volta liberatosi da tutti i fantasmi,decida in seguito di vincolarsi e di limi-tarsi ancora – naturalmente secondo lasua stessa volontà – emerge tuttaviacome secondo tema; è proprio questo ilsenso da attribuire alla stirneriana “so-cietà” degli egoisti, con la quale egli, aquanto credo, dimostra di trovarsi sottol’influsso di Proudhon. A ciò si ricollegaanche il buon consiglio che Stirner sug-

gerisce agli oppressi: non fate richieste,non lamentatevi della malvagità, dellaviolenza, della brutalità dei padroni, masiate voi stessi duri, brutali, spadroneg-giatori. Usa la parola “anarchia”, ma nonancora nel senso di Proudhon, poichéresta completamente fedele al significatodi Edgar Bauer, al quale Stirner è vera-mente molto vicino. Per esempio controil liberalismo dice: “Il suo scopo è un or-dinamento ragionevole, non l’anarchia,l’assenza di leggi, l’unicità”. Anche qui,come in altri passaggi del suo scritto,Stirner supera il criticismo e l’umanismorespingendo la rivoluzione – che ha an-cora uno scopo positivo – per predicareal contrario l’insurrezione dell’Unico.

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Il gruppo redazionale del «Sozialist» in un parco berlinese nel 1892. Tra essi, Gustav Landauer, primoda sinistra, seduto.

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“Esistere senza costituzione è quanto hadi mira chi insorge”. Tuttavia ci si rendesempre conto che il nichilista, con le sueparole e i suoi gesti provocatori, vuoleinnanzi tutto dimostrare di essere libero.Dentro di lui si nasconde un uomo che,se avesse parlato con noi più a lungo, ciavrebbe rispiegato ancora più chiara-mente quel che già aveva detto in prece-denza: se volete cambiare le condizionipresenti, non dovete cambiare le condi-zioni stesse, dovete fare invece ciò che“ha come inevitabile conseguenza la tra-sformazione delle condizioni presenti”:mutate voi stessi, elevate voi stessi, giun-gete completamente a voi stessi. Bakunin, Edgar Bauer e Stirner accettanodunque il vecchio significato della parola“anarchia”, vale a dire ribelle, senzalegge, e perfino criminale: deve essereprovocato anzitutto il caos, l’estinzionedi tutto il sacro, l’abbattimento di tutti ivincoli. E come già lasciavano intenderei ragionamenti di Börne, che erano similiseppur espressi ancora troppo timida-mente, è proprio parallelamente a questaanarchia e attraverso questa anarchia – lasocietà senza padroni, per il momentoancora senza nome – che deve esserecreato il nuovo ordine. Così anche pressoquesti tre pensatori l’anarchia di transi-zione [Anarchie des Übergangs] e l’anar-chia dell’ordine – non ancora nominata –sono indubbiamente in relazione l’unacon l’altra, in una relazione che è rimastafino ai giorni nostri, divenendo un trattocaratteristico della maggior parte deglianarchici. E qui tuttavia già vediamo unadivisione: alcuni, attraverso questa anar-chia del disordine sociale [äußere Anar-chie der Unordnung], vogliono giungerealla rivoluzione e pervenire a un liberoordine senza padroni; altri invece sottoli-

neano, chi con enfasi maggiore, chi inmodo esclusivo, l’importanza dell’anar-chia interiore [die innere Anarchie] – laliberazione interiore dell’individuo –quale via verso il miglioramento dellasocietà. Al momento dobbiamo ancoravedere come Edgar Bauer, che ispirò inmodo tanto determinante il pensiero diStirner, ne sia stato successivamente in-fluenzato, proseguendo per una stradasulla quale il solo Stirner si era già av-venturato. Seguiamo dunque EdgarBauer, questo spirito tanto mutevole, an-cora per un poco. “Costoro osservano” – così scrive nel-l’anno 1848 (primo impeto della rivolu-zione) sulla rivista “Die Epigonen” –“come io in quel periodo (durante la ste-sura del suo libro) fui un sincero sosteni-tore del popolo, notando quale onorefosse per me il poter vivacchiare nell’at-mosfera della massa popolare, il riem-pirmi i polmoni di quest’aria ed eserci-tare il mio petto al grido “popolo,popolo!”. A tal riguardo non avevo all’e-poca la forza di parlare in mio nome, o dipronunciare la mia volontà, sentivo piut-tosto il bisogno delle masse popolari edei loro interessi come base e vigore perle mie teorie; a tal riguardo è da parec-chio ormai che mi sono liberato di tuttele responsabilità dei principi liberali, icui proclami mi avevano reso sufficiente-mente dipendente dal tempo e dall’opi-nione pubblica”. Questo è un cambia-mento verso un brusco individualismocui Bauer fu sempre propenso, come mo-stra il suo saggio del 1844 Über Senti-mentalität23, pubblicato nel “BerlinerMonatsschrift” di Buhl24: il suo linguag-gio e il suo modo di esprimersi – qui e inaltri passaggi del Reise auf öffentlicheKosten25 dal quale provengono le parole

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poc’anzi citate – mostrano come Bauer sistia allontanando dall’umanismo, in ac-cordo con Stirner. Non si sofferma però alungo su questo tema, sul motto “facciociò che voglio”; Bauer prosegue il cam-mino fino al punto in cui già a sua volta siera trovato Börne, domandandosi: cosadeve accadere affinché il potere sociale[äußerer Gewalt] e il legame coercitivoartificiale vengano sostituiti dalla com-pleta libertà sociale [äußerer Freiheit]? Etrova la stessa risposta. Börne avevadetto: la legalità interiore deve prendere ilposto della legge. E così Bauer, che allafine di questo scritto abbandona all’im-provviso il suo magnifico spirito arguto allimite della sfacciataggine, per conclu-dere con estrema serietà: “Quanti alberidella libertà, le cui cime mostrarono l’a-gognata terra agli animi arditi che le sca-larono, sono già stati abbattuti! Eppure leloro radici sono rimaste. Trapiantiamolenel nostro cuore, prendiamocene cura,forse crescerà il giusto albero”. Ed è tal-mente pronto che non vorrà sapere piùnulla della parola “anarchia”, special-mente dopo che altre mani insidiose, re-pellenti e sudice l’ebbero afferrata.In effetti qualcuno, dal comunismo diWeitling26, dalle tendenze anarchiche diBauer, Stirner, Proudhon, da tutto il tu-multo e quella frenesia senza pari di rin-novare il pensiero del tempo, ricavò unabrodaglia terribile: Wilhelm Marr27, unuomo che a quanto pare fu un compagnodisgustoso. I suoi libri, sotto tutti gliaspetti indiscreti (indiscreti quasi finoalla delazione), sono di interesse proprioper le singolari circostanze storiche deltempo. E Bauer si ricollega criticamentea uno di questi libri, uscito nel 1848, DerMensch und die Ehe vor dem Richter-stuhl der Sittlichkeit28, per mostrare la

sua ripugnanza per ciò qui Marr intendeper “anarchia”, e per inorridire del suoautore. In questo commento Bauer nonparla più di anarchia, ma di dominio[Herrschaft]: vuole difatti depurare que-sta nobile parola dallo Stato, dalla costri-zione sociale, dall’insulsaggine, e tra-sformarla nella santificazione interioredell’uomo, con cui l’individuo potrebbediventare un libero fra i liberi, un egualefra gli eguali. Sentiamolo: “Cosa vuoldire anarchia? Cosa vuol dire dominare?Ogni dominio presuppone un vincolo in-teriore, fra dominatori e dominati. Il soledomina i pianeti, ma la legge di gravità –intrinseca in ambedue le parti – è ciò cheli unisce. Io domino la mia interiorità sescelgo le leggi delle mie azioni, e con laresponsabilità che impongo a me stessoresto sovrano del mio animo. E a miavolta sarò dominato da qualcun altro, sol-tanto se la riverenza e il riconoscimentoreciproco dei nostri interessi ci legherà.E temo di avere una sola risposta per am-bedue le domande, perché è così che iostesso intendo vivere nell’anarchia. Sulpopolo grava il peso di un potere brutale,al quale egli resta legato per via delle ca-tene sociali: è così che il popolo vive nel-l’anarchia. A Roma, al tempo del potereimperiale, regnava una simile anarchia:sotto un sovrano assoluto c’era unamassa disordinata tenuta assieme dallapaura. E non ci stiamo certo sbagliando:all’anarchia della massa – al suo sordo econfuso affannarsi qua e là – corrispon-derà sempre un potere cieco e altrettantodispotico, un potere che sfrutta la massa,la schernisce e, avvalendosi dell’aiutodella massa stessa, vorrà punire queipochi spiriti assennati, quei pochi spiritisinceri, ai quali il naturale amor proprio el’aspirazione alla più compiuta bellezza

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aveva impedito di mescolarsi con il ge-nerale putridume. Si veda nuovamenteRoma sotto i Cesari. Noi stessi viviamo in un’epoca di anar-chia. Anarchia nella scienza, falsità dellospirito, arroganza dell’Unico, dispotismodei luoghi comuni: anarchia nell’indu-stria e tirannia del capitale; anarchianella politica e sopra le teste piatte, la ge-nerale macchina di appiattimento dellapolizia. È il dominio che deve essere pro-clamato dunque, e non l’anarchia, è il do-minio ciò che dobbiamo ancora conqui-stare, sono le sue leggi ciò che dobbiamofondare. E la responsabilità quel che dob-biamo ancora creare”29. Qui Edgar Bauer è ancora un individuali-

sta; ma non pone più la sua questione sulnulla, sulla vuota possibilità, sul “facciociò che voglio”: vedere i sostenitori diquesta dottrina gli è divenuto insopporta-bile; ora si domanda, proprio come Fi-chte interpellava il proprio “io”: “Cosavoglio? Cosa dovrei volere?”. Bauer èperciò uno stirneriano che tuttavia si al-lontana da Stirner quando nel prendereposizione contro “il rinunciare a sestessi” e “la fiducia nella società che sirende felice da sola”, aggiunge: “Comesarebbe se per una volta si rovesciasse laquestione, se si lasciasse completamenteda parte la società indirizzando tutte leforze su se stessi e per se stessi? E cosaaccadrebbe se poi questa siffatta società,i cui membri non si lasciano sacrificarein suo nome e non ostentano continua-mente il loro ossequio congiungendo lemani in sua preghiera, e non si curanotroppo di lei, ma sono tuttavia dei bravidiavoli, fosse considerata molto più ono-rabile?”30. La trasformazione che Bauer suggerisceper la parola “dominio” – padronanza disé e mutua alleanza, responsabilità – nonsi è affermata. Ma anche questo signifi-cato è a ogni modo penetrato all’internodella parola “anarchia”, sicché non dob-biamo più meravigliarci se tutti gli ele-menti eterogenei che questa equivoca pa-rola prismatica riassume faticosamente insé vengono considerati elementi anar-chici. Proudhon avrebbe completamente appro-vato questa fase del pensiero di Bauer,anche se non smise mai di utilizzare laparola “anarchia”: egli non fu mai un“anarchico” al pari di Wilhelm Marr edei suoi successori, e non intese mai l’a-narchia come lo scioglimento di tutti i le-gami, o la selvatichezza di un sensismo

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Disegno che raffigura Edgar Bauer (1820-1886).

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isterico. Proudhon difatti – utilizzandoquesta parola, vuole esprimere una posi-zione teorica e di lotta che si proclamacontraria all’anarchia della società (di-sordine) e favorevole all’anarchia poli-tica (un ordine stabilito non attraverso ilpotere del governo, ma attraverso il con-tratto sociale). Dettagliate esposizioni diquest’idea di anarchia si trovano nelleConfessions d’un révolutionnaire31 e nel-l’Idée générale de la Révolution32. Inquest’ultima opera Proudhon sottolineaespressamente come la sua idea di socia-lismo e di anarchia sia soltanto una pro-secuzione delle idee del contratto sociale,citando come uno dei primi e più impor-tanti rappresentanti delle teorie contrat-tualistiche un agguerrito protestante delXVII secolo, Pierre Jurieu33, sulle cuisgradevoli controversie con Bayle e sullasua magnifica lotta contro Luigi XIV èstato facile raccogliere informazioni. Alcontrario, sul suo ruolo nella teoria enella filosofia sociale non sono finorariuscito a trovare nulla. Nello stesso passaggio34 però Proudhonsi scaglia veemente contro l’innovatoredelle idee del contratto sociale – Rous-seau appunto –, al quale rimprovera, e aragione, di averle incanalate nell’alveodel governo popolare, dunque del giaco-binismo. Se il padre fraintendeva sestesso e la rilevanza delle idee che nondi-meno aveva rinnovato, se le distorceva ele rovinava, è giusto che il figlio l’abbiacontestato. E Proudhon, accanto a Jurieue ai maestri del contratto sociale, cita –poco prima di Rousseau – un altro au-tore, che da un punto di vista differente –non quello dell’astrazione bensì dellecondizioni storiche che vanno esauren-dosi – giunse agli stessi risultati: Saint-Simon, per il quale un sistema ammini-

strativo-industriale avrebbe presto presoil posto del governo e del sistema feu-dale. Proudhon prosegue con altri autorisimili, le cui opere e azioni fondarono lebasi della negazione del governo, comeMorelly35 (1760, proprio così!), giun-gendo fino agli Enragés, agli Ebertisti eBabeuf, sebbene costoro non si conside-rassero tali. Lui stesso li definisce anarchici assoluta-mente inconsueti. E avendo bisogno diun aggettivo qualificativo per esprimereil concetto di anarchia, Proudhon nondice “anarchistico” ma, come è più op-portuno, più naturale e più forte che sia,anarchico (anarchique). Per il resto, nonè mai rimasto aggrappato ad alcuna spe-cifica parola, è sempre stato così ferma-mente convinto della sua opinione, ha

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John Henry Mackay (1864-1933).

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sempre così aspramente combattuto i suoiavversari, si è sempre sentito parte di ungrande movimento di cambiamento radi-cale e non ha mai fondato qualcosa comeuna setta o un partito. I titoli dei suoi librinon fanno mai riferimento a un qualsivo-glia -ismo, ma solo alla questione di cuitrattano, così come indicano i nomi deisuoi giornali: “Il popolo”, “La voce delpopolo”, eccetera. Noi finora, in questo e in molti altriaspetti, non abbiamo compiuto grandiprogressi, dato che non possiamo più farea meno di ricorrere – per chiarezza eamor di brevità – a denominazioni setta-riamente tintinnanti, quali socialista, so-cialismo, anarchismo; vogliamo tuttaviariprometterci di non legarci mai stretta-mente ad alcuna parola precisa, e di farsempre nuovamente trasparire, attraversotutte queste erudite assuefazioni, la comu-nità naturale, la comunità del popolo enon per ultimo la sua voce. Già nel 1850 però comparve, curato daBellegarrigue, anche se per due numerisoltanto, il foglio “L’Anarchie, journal del’ordre”36, dove ben si nota la caparbiatrasformazione del significato della pa-rola “anarchia”, perché ciò che finora erastato chiamato disordine – l’assenza didominio –, ora diventa al contrario il veroe giusto ordine: la sostituzione del poteredel governo con lo spirito, la libera vo-lontà e la cooperazione nel lavoro.D’ora in poi la parola non andrà più per-duta. Nel 1858 Joseph Déjaque37 pub-blicò nel suo giornale “Le Libertaire”,“l’utopia anarchica”, che egli chiama“Humanisphère”38. Ma essa viene utiliz-zata ancora troppo raramente, e anchedopo il ritorno di Bakunin dalle prigionie dalla Siberia (1863) e con lotta dell’In-ternazionale contro l’istituzione statale,

la parola “anarchia” si diffonde con diffi-coltà, e non si trova molto frequente-mente. Tutto cambiò soltanto quando nelle fede-razioni d’Italia e del Giura dell’Interna-zionale, attorno agli anni 1876-1880, e inparticolare grazie alla collaborazione fraCafiero, Malatesta, Kropotkin ed ÉliséeReclus, fu elaborato – come sostengo iosotto l’influsso del marxismo –, il si-stema del comunismo anarchico. Più tardi il significato della parola subìun ultimo inasprimento. Infatti la borghe-sia, gli statalisti e perfino gli stessi anar-chici, avevano da sempre identificato l’a-narchico che voleva un nuovo ordinesenza governo con la figura del ribelle,del sobillatore, dell’indisciplinato, sicchécon gli attentati terroristici degli anni Ot-tanta e Novanta soprattutto, si arrivò al-l’equiparazione dell’anarchismo con la“propaganda del fatto”, dell’anarchicocon il bombarolo. Non soltanto i loro av-versari, ma anche parecchi fra gli stessianarchici contribuirono a questo muta-mento semantico, finendo per accettarlo;vi furono poi alcuni che consideraronoanarchici soltanto i criminali e i sosteni-tori della violenza. Dall’altro canto gli “individualisti anar-chici”, i cui portavoce sono BenjaminTucker e John Henry Mackay, si basa-rono su Proudhon e Stirner per fondareun sistema di anarchismo secondo ilquale l’anarchia non esclude soltanto ilpotere statale, ma anche qualsiasi atto diviolenza individuale. Per loro la via perl’anarchia è essa stessa una via anar-chica, intendendo con ciò: deve esserenon-violenta. Pur partendo da strade totalmente di-verse, anche il Rousseau del nostrotempo, Tolstoj, come Rousseau un cu-

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rioso miscuglio di razionalismo e di fer-vido sentimentalismo, giunse alla stessaconclusione: contro ogni potere! Tolstojnella sua teoria non fece mai ricorso allaparola anarchismo, ma ha ripetutamenteaffermato di accettare di essere definitoanarchico. Come accaduto a molte altre, anche que-sta parola ha dunque subìto un capovol-gimento dello sviluppo naturale del suosignificato originario, conservando peròal proprio interno il vecchio significato:l’anarchico il più grande criminale – l’a-narchico il più grande non-violento. Ciò che unisce le diverse versioni delnuovo sviluppo, è qualcosa che ha poco onulla a che fare con le scelte dei valorietici da seguire: l’idea della società e dellibero contratto al posto del potere delgoverno statale. Sia nel caso particolarein cui il singolo decidesse di comportarsiviolentemente, sia nel caso in cui rinun-ciasse all’esercizio del potere, questa sa-rebbe una decisione seria da non confon-dere assolutamente con ciò cheaccomuna i diversi sviluppi della parolae del concetto di anarchia. E di fronte a una simile scelta il singolo,dopo che gli sia stato mostrato quantesfumature ruotino attorno a questo unifi-cante concetto della società, dei vincoli edei legami economici, dovrà vedersela dasolo, dovrà raccogliersi per una profondariflessione su quale sia per lui il senso daattribuire alla liberazione interiore e allaconcretizzazione della libertà sociale:vale a dire, al vincolo volontario [freiwil-ligen Gebundenheit]. Questa decisioneperò dipende anche da quanto sia auspi-cata l’organizzazione di una societàsenza Stato e da quanto la sua venuta e ilsuo sviluppo siano effettivamente ritenutipossibili.

Note1. Cfr. Max Nettlau, Geschichte der Anarchie[Storia dell’anarchia], vol. I, Detlev Auver-mann KG, Glashütten im Taunus 1972, p.178. Si tratta della ristampa anastatica dell’o-pera: Id., Der Vorfrühling der Anarchie [Lagiovane primavera dell’anarchia], Der Syn-dikalist, Berlin 1925. Da notare infine comele considerazioni qui espresse da Landauersulla possibilità che l’anarchia trovi il suospazio “anche all’interno della vita statale”, ela distinzione che emerge nelle sue riflessionifra un potere coercitivo dominante e un po-tere spontaneo emancipatore, rafforzino l’in-terpretazione di un Landauer precursore delpost-anarchismo. 2. Pëtr Alekseevic Kropotkin, The GreatFrench Revolution, Heinemann, London1909. Si veda l’edizione italiana: Id., Lagrande rivoluzione, introduzione di AlfredoM. Bonanno, Edizioni Anarchismo, Catania1987.3. Jacques Pierre Brissot (1754-1793) fu ungiornalista e politico francese, leader carisma-tico dei girondini ghigliottinato durante il Ter-rore. 4. Appartenenti al gruppo politico radicalechiamato Montagna, perché durante la Rivo-luzione francese sedevano nei banchi postipiù in alto all’interno della Convenzione na-zionale (1792-1795), nella quale erano avver-sari dei girondini. Fra i montagnardi non c’e-rano soltanto giacobini, ma anche variesponenti del radicalismo rivoluzionario qualiGeorges Jacques Danton e Jean-Paul Marat. 5. Il gruppo degli Enragés, (degli Arrabbiatisecondo la traduzione italiana) fu uno dei piùattivi durante la Rivoluzione francese. Conte-stando ogni tipo di autorità, proponevano unaforma di democrazia diretta popolare da con-trapporre alla Convenzione nazionale, la tas-sazione dei ricchi, la pena capitale per gli in-cettatori, la requisizione e la redistribuzione

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del grano. Uno dei leader più carismaticidegli Arrabbiati fu il prete Jacques Roux.6. Edgar Bauer (1820-1886), filosofo e pub-blicista in stretto contatto con l’opera e il pen-siero del più celebre fratello Bruno, anch’egliesponente della sinistra hegeliana. Nel 1843scrisse l’opera Der Streit der Kritik mit Kir-che und Staat [Il conflitto della critica controla Chiesa e lo Stato], considerata dalle auto-rità prussiane una giustificazione teorica delterrorismo. Fu subito censurata, tutte le copievennero sequestrate dalla polizia, mentreBauer fu condannato alla prigione, finché nel1848 tornò in libertà grazie a un amnistia con-cessa ai prigionieri politici. Max Nettlau con-sidera Der Streit un testo anarchico, defi-nendo l’autore come il “primo prigionieroanarchico tedesco” (cfr. Geschichte der Anar-chie, vol. I, op. cit., p. 178). In seguito Bauersi distanzierà dal movimento rivoluzionarioavvicinandosi a un conservatorismo religioso.Nel 1870 fonda i “Kirchlichen Blätter. EineZeitschrift für christliche Freiheit und christli-ches Recht” [Fogli ecclesiali. Rivista per la li-bertà cristiana e il diritto cristiano]. 7. Opera pubblicata anonima a Danzica nel1793. Si veda l’edizione italiana: Johann Got-tlieb Fichte, Contributo per rettificare i giu-dizi del pubblico sulla Rivoluzione francese,contenuto in: Id., Sulla Rivoluzione francese,a cura di V. E. Alfieri, Laterza, Bari 1974. 8. Si tratta della Allgemeine Enzyklopädie derWissenschaften und Künste [Enciclopediauniversale delle scienze e delle arti] fondatanel 1818 da Johann Samuel Ersch e JohannGottfried Gruber. 9. Karl Wenzeslaus von Rotteck (1775-1840),professore di storia universale, diritto escienze politiche all’Università di Friburgo.Animato da un profondo sentimento liberalecondusse una battaglia politica per l’aboli-zione delle corvée. 10. Carlo Antonio Martini (1726-1800), giuri-

sta italiano, rivestì prestigiosi incarichi ammi-nistrativi per l’ambasciata e la corte austriaca.Nel 1792 ottiene la presidenza del Tribunalesupremo di giustizia, il massimo grado di ma-gistratura al tempo degli Asburgo. Le sueopere costituirono per molto tempo nelle uni-versità austriache una base indispensabile perlo studio del diritto pubblico. 11. August Ludwig von Schlözer (1735-1809), esperto di diritto pubblico, fu profes-sore di filosofia, storia europea e statistica al-l’Università di Gottinga dal 1769. Espose lasua visione della politica e della dottrina delloStato sulla rivista da lui curata “Stats-Anzei-gen“ [Annunci cittadini], dove nel 1781 com-parve per la prima volta in lingua tedesca la“Dichiarazione dei diritti dell’uomo”. 12. Ludwig Börne (1786-1837), scrittore epubblicista tedesco, considerò la letteraturauno strumento di agitazione politica per pro-muovere l’emancipazione individuale control’oppressione della Restaurazione. Fondò nu-merose riviste radicali, e la sua opera Briefeaus Paris [Lettere da Parigi, 1834] è conside-rata uno dei manifesti del movimento poli-tico-cultuale Junges Deutschland [GiovaneGermania] che, ispirato dal socialismo sansi-moniano e dal liberalismo della Rivoluzionefrancese, propagandava la libertà sessuale,l’emancipazione della donna, l’antiassoluti-smo e l’anticlericalismo. 13. La rivista “Der Sozialist” fu fondata nel1891 come “organo dei socialisti indipen-denti”, ma sotto la direzione di Landauer, dal1893 al 1899, assunse tendenze socialisteanarchiche, come indicano anche le denomi-nazioni della rivista: “Organo di tutti i rivolu-zionari” (dal 1893), “Organo per il socialismoanarchico” (dal 1895) e “Mensile anarchico”(dal 1899). Landauer successivamente riportòin vita la rivista, che uscì di nuovo fra il 1909e il 1915 in stretto legame con le iniziativedella Lega Socialista da lui fondata.

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14. Ludwig Börne, Nouvelles lettres provin-cials [Nuove lettere provinciali], saggio con-tenuto nel terzo volume della raccolta: Id.,Gesammelte Schriften, Brodhag, Stuggart1840, pp. 28-45. 15. Michail Bakunin, Die Reaktion in Deut-schland, pubblicato nella rivista “DeutschenJahrbüchern”, n. 247-251, Otto Wigand, Leip-zig 1842, pp. 985-1002. Si veda l’edizioneitaliana: Id., La reazione in Germania, Edi-zioni Anarchismo, Trieste 2009. 16. Edgar Bauer, Der Streit der Kritik mitKirche und Staat [Il conflitto della criticacontro la Chiesa e lo Stato], Egbert Bauer,Charlottenburg 1843. Si veda la recente edi-zione: Id., Der Streit der Kritik mit Kircheund Staat, Topos-Verlag, Vaduz/Liechtenstein1978. 17. Citazione biblica (Deuteronomio, 32) cheappare anche in epigrafe dell’opera: Pierre-Joseph Proudhon, Système des contradictionséconomiques, ou philosophie de la misère [Si-stema delle contraddizioni economiche, o fi-losofia della miseria], Chez Guillaumin et cie,Paris, 1846. Si veda l’edizione italiana: Id.,Sistema delle contraddizioni economiche. Fi-losofia della miseria, Edizioni Anarchismo,Catania 1975. 18. Qui Landauer si riferisce molto probabil-mente all’opera: Pierre-Joseph Proudhon, Dela création de l’ordre dans l’humanité, ouprincipes d’organisation politique [Sullacreazione dell’ordine nell’umanità, o principidell’organizzazione politica], Bintôt-Prevôt,Besançon-Paris 1843. Si veda oppure l’edi-zione contenuta nella raccolta: Id., Oeuvrescomplètes, vol. V, Rivière, Paris 1925. 19. Moses Hess (1812-1875), politico e pub-blicista tedesco di origine ebraica. Nel 1842fu tra i fondatori della “Rheinische Zeitung”[Gazzetta renana] la cui direzione fu affidataa Karl Marx, mentre nel 1848 iniziò a pubbli-care assieme a Friedrich Engels il giornale

“Gesellscaftsspiegel” [Specchio della so-cietà]. Distanziatosi dai due per aderire a unsocialismo moraleggiante, profetico e umani-sta elaborato in Die heilige Geschichte derMenschheit [La sacra storia dell’umanità,1837], Hess fu preso di mira nel Manifestodel partito comunista. Per l’opera Rom undJerusalem [Roma e Gerusalemme, 1862] èconsiderato fra i fondatori del sionismo. 20. Georg Herwegh, Einundzwanzig Bogenaus der Schweiz [Ventuno fogli dalla Sviz-zera], Verlag des Literarischen Comptoirs,Zürich/Winterthur 1843. Landauer fa qui rife-rimento al saggio di Moses Hess, Philosophieder Tat [Filosofia dell’azione], ivi contenuto,pp. 309-331. Si veda la recente edizione tede-sca: Georg Herwegh, Einundzwanzig Bogenaus der Schweizm, Reclam, Leipzig 1989. 21. Georg Herwegh (1817-1875), poeta tede-sco vicino al movimento Junges Deutschland,le sue liriche ispirarono a lungo gli animidella gioventù rivoluzionaria. Per motivazionipolitiche si rifugiò dapprima in Svizzera,dove diede alle stampe la sua opera più notaGedichte eines Lebendige [Poesie di un vi-vente, 1841], e successivamente a Parigi. Ri-tornò in Germania nel 1848 per partecipareall’insurrezione del Baden, dove a capo diuna colonna di insorti fu respinto dalle trupperegolari. 22. Max Stirner, Der Einzige und sein Eigen-tum, Otto Wigand, Leipzig 1845. L’opera uscìalla fine del 1844 con data del 1845 e fu su-bito sequestrata con la seguente motivazione:“Poiché non solo in singoli passi di talescritto Dio, Cristo, la Chiesa e la religione ingenere vengono trattati con la più irriguardosablasfemia, ma anche tutto l’assetto sociale, loStato e il governo vengono definiti comequalcosa che non dovrebbe più esistere, men-tre la menzogna, lo spergiuro, l’assassinio e ilsuicidio vengono giustificati e il diritto diproprietà viene negato”. Dopo alcuni giorni

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l’opera venne tuttavia rimessa in circolazione.Si veda l’edizione italiana: Id., L’unico e lasua proprietà, trad. it. di L. Amoroso, con unsaggio introduttivo di R. Calasso, Adelphi,Milano 1999. 23. Edgar Bauer, Über Sentimentalität [Sullasentimentalità], saggio contenuto nella rivista“Berliner Monatsschrift” [Rivista mensileberlinese], n. 1, Ludwig Buhl, Mannheim1844.24. Ludwig Buhl (1813-1882), membro dellacerchia dei Liberi, un gruppo di intellettualiprovenienti dalla sinistra hegeliana animato aBerlino da Bruno Bauer nel 1842 e compostoprevalentemente dal fratello Edgar Bauer,Max Stirner, Arnold Ruge, Karl Köppen. Alleriunioni dei Liberi parteciparono occasional-mente anche Friedrich Engels e Karl Marx.Buhl fondò rivista la “Berliner Monatssch-rift”, di cui uscì nel 1844 un solo numero acausa della censura del regime prussiano. 25. Edgar Bauer, Reise auf öffentliche Kosten[Viaggio nei conti pubblici], saggio pubbli-cato sulla rivista “Die Epigonen” [Gli Epi-goni], n. 5, Otto Wigand, Leipzig, 1848, pp.9-113. Si tratta di un resoconto tragicomicodella sua detenzione. 26. Wilhelm Weitling (1808-1871), ideologotedesco del socialismo utopistico, emigròdapprima in Francia, dove pubblicò Die Men-schheit wie sie ist und wie sie sein sollte [L’u-manità com’è e come dovrebbe essere, 1838],e successivamente in Svizzera, dove parte-cipò alla Lega dei Giusti. In altre sue opere,Garantien der Harmonie und Freiheit [Le ga-ranzie dell’armonia e della libertà, 1842] edEvangelium eines armen Sünders [Vangelo diun povero peccatore, 1846] le sue aspirazionial comunismo egualitario si fondono con unavisione evangelica radicale. 27. Wilhelm Marr (1819-1904) fu un giornali-sta politico tedesco. Dopo aver conosciuto aZurigo Georg Herwegh si avvicinò a posi-

zioni rivoluzionarie divenendo uno dei teoricidi spicco della Junges Deutschland. Contribuìa fondare in Svizzera alcune associazioni dilavoratori e nel 1844 la rivista di orienta-mento ateistico, giovane-hegeliano “Blätterder Gegenwart für sociales Leben” [Foglisulla vita sociale contemporanea], consideratala prima rivista elvetica di tendenza anarchicain lingua tedesca. In seguito al fallimentodella rivoluzione tedesca del 1848, le sue po-sizioni antiliberali si radicalizzarono in unsentimento antisemita, che egli espone nell’o-pera Der Sieg des Judenthums über das Ger-manenthum von nicht confessionellen Stand-punkt [La vittoria dell’ebraismo sulgermanesimo da un punto di vista non confes-sionale, 1879]. Qui conia il termine Antisemi-tismus [antisemitismo] dandone una connota-zione puramente razziale, preferendolo altermine già esistente Judenhass [odioebraico], che egli considerava troppo influen-zato da connotazioni religiose. 28. Wilhelm Marr, Der Mensch und die Ehevor dem Richterstuhl der Sittlichkeit [L’uomoe le nozze davanti alla legge della moralità],Jurany, Leipzig 1848. 29. Edgar Bauer, Der Mensch und die Ehe vordem Richterstuhle der Sittlichkeit. Von W.Marr, pubblicato in “Die Epigonen”, n. 5,Otto Wigand, Liepzig, 1848, p. 343. 30. Ivi, p. 343. 31. Pierre-Joseph Proudhon, Les confessionsd’un révolutionnaire [Confessioni di un rivo-luzionario], La voix du Peuple, Paris 1849. Siveda oppure la recente edizione: Id., Les con-fessions d’un révolutionnaire, Le presses dureel, Dijon 2002. 32. Pierre-Joseph Proudhon, Idée générale dela Révolution, Garnier frères, Paris 1851. Siveda l’edizione italiana: Id., L’idea generaledi rivoluzione nel diciannovesimo secolo, acura di F. Proietti, Centro editoriale toscano2001.

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33. Pierre Jurieu (1637-1713) fu un teologocalvinista e un polemista ardente dai toni apo-calittici. In conflitto con il clero francese econ il sovrano Luigi XIV, sostenne il dirittodel popolo di deporre i re che si opponevano adeterminate direttive religiose o che opprime-vano la vita religiosa dei sudditi. Si oppose al-l’affermazione nel protestantesimo dell’ele-mento razionalistico a discapito di quellomistico, conducendo in questa sua battagliauna decisa critica nei confronti di PierreBayle, degli arminiani e dei sociniani. 34. Cfr. Idée générale de la Révolution, cit.,capitolo IV, I. 35. Morelly fu un pensatore francese del XVII

secolo, le cui scarse informazioni biografichenon consentono di fare chiarezza sul suonome. Di lui si sa per certo soltanto che fu unabate e che la sua opera politica Code de lanature [Codice della natura], in cui auspicauna società senza proprietà privata e la totaleuguaglianza degli individui, influenzò Rous-seau, Babeuf e le correnti egualitarie della Ri-

voluzione francese. Uscì nel 1755, e benchéLandauer indichi una data diversa, è moltoprobabile che egli intenda riferirsi proprio aquesto testo. 36. Anselme Bellegarrigue fu un anarchico in-dividualista francese nato a Toulouse fra il1820 e il 1825 e morto alla fine del XIX se-colo, probabilmente in America Centrale.Dopo aver partecipato ai moti rivoluzionarifrancesi del 1848, nel 1850 pubblica a Parigi“L’Anarchie, journal de l’ordre” [L’anarchia,giornale dell’ordine], che uscirà per soli duenumeri (aprile e maggio 1850). Il manifestoprogrammatico della rivista, contenuto nelprimo numero e redatto dallo stesso Bellegar-rigue, si conclude col motto: “l’anarchia è or-dine, il governo è guerra civile”. 37. Joseph Déjaque (1822-1864), scrittore emilitante anarchico francese, visse a lungonegli Stati Uniti. Nel suo pamphlet De l’Être-Humain mâle et femelle – Lettre à P. J.Proudhon [Sull’essere umano maschio e fem-mina – Lettera a P. J. Proudhon], pubblicato aNew Orleans nel 1857, critica la posizioneproudhoniana sulle donne (“volete riedificarel’alta baronia del maschio sulla donna vas-salla”), coniando il neologismo “libertario”che contrappone al presunto liberalismo diProudhon. Dal 1858 al 1861 diresse a NewYork la rivista “Le libertaire. Journal du mou-vement social” [Il libertario. Giornale del mo-vimento sociale]. 38. Landauer si riferisce alla rubrica “L’Hu-manisphère. Utopie anarchique” [L’Umani-sfero. Utopia anarchica], curata da Déjaque su“Le libertaire” dal 9 giugno 1858 al 18 giu-gno 1859. Qui Déjaque, prendendo spunto dalFalansterio fourierista, si immagina lo svi-luppo dell’anarchismo nell’anno 2858.

traduzione di Devis Colombo

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Giorgio Nebbia, un antesi-gnano del movimento ecolo-

gista italiano, ci ha ricor-dato che cinquant’anni fa

usciva il primo testo di eco-logia sociale scritto da Mur-ray Bookchin: Our SyntheticEnvironment, pubblicato ap-punto nel 1962 con lo pseu-

donimo di Lewis Herber.Prendiamo spunto da questaricorrenza per segnalare le

opere principali di Bookchine le principali traduzioni ita-

liane dei suoi tanti saggi.

Bibliografia di MurrayBookchin

- Our SyntheticEnvironment, New York,Knopf, 1962; Harper Co-lophon Books, 1974, 305 p. - Ecology and RevolutionaryThought, New York, s.e.,1970, 63 p.- The Limits of the City, Har-per and Row, 1974, 147 p.;trad. it. I limiti della città,Milano, Feltrinelli, 1975,153 p. - The Spanish Anarchists,The Heroic Years 1868-1936, New York, Free Life,1977, 344 p., ill. - The Ecology of Freedom,Palo Alto, Cheshire Books,1982, 385 p.; nuova edi-zione, Montréal, Black RoseBooks, 1991, LXI, 385 p.;

trad. it. L’ecologia della li-bertà, Milano, Antistato,1984, 545 p.; L’ecologiadella libertà, emergenza edissoluzione della gerarchia,Milano, elèuthera, 1989,1995, 547 p.; nuova edi-zione, 2010, 560 p.- Post-Scarcity Anarchism,Berkeley, The RampantsPress, 1971, 288 p.; trad. it.Post-Scarcity Anarchism,L’anarchismo nell’età del-l’abbondanza, Milano, LaSalamandra, 1979, 190 p.- Toward an Ecological So-ciety, Montréal, Black RoseBooks, 1980, 313 p. - The Modern Crisis, Mon-tréal, Black Rose Books,1987, 194 p.; trad. it. TheModern Crisis, Bologna,Agalev, 1988, 137 p.- Per una società ecologica,Milano, elèuthera, 1989, 221p.; ediz. inglese RemakingSociety, Pathways to a GreenFuture, Boston, South EndPress, 1990, 222 p.- The Philosophy of SocialEcology, Montréal, BlackRose Books, 1990, 198 p.- Defending the Earth (conDave Foreman), Montréal,Black Rose Books, 1991,147 p.- Urbanization without Ci-ties, Montréal, Black RoseBooks, 1992, XVI, 316 p. In

form

azio

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blio

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iche

Info

rmaz

ioni

bibl

iogr

afic

he

Murray Bookchin nelnovembre 1988 a Comodurante uno dei tour di con-ferenze organizzati in Italiain quel decennio.

41 Informazioni bibliografiche

- Re-enchanting Humanity,London, Cassel, 1995, XI,273 p. - Which Way for the EcologyMovement?, Edinburgh, AKPress, 1994, 75 p. - Social anarchism or life-style anarchism an unbrid-geable chasm, Edinburgh,AK Press, 1995, 86 p. - The Third Revolution, Po-pular Movements in the Re-volutionnary Era, London,Cassell, 1996, X, 406 p. - Prefazione a Ida Mett, TheKronstad Uprising, 1921, 2.ed., Montréal, Black RoseBooks- The Murray Bookchin Rea-der, a cura di Janet Biehl,London-Washington, Cas-sell, 1997, XI, 244 p.

Saggi tradotti sulla rivista“Volontà, laboratorio di ricerche anarchiche”

- Tecnologia e rivoluzione li-bertaria, “Volontà”, n. 2,1974- Cibernetica dei sistemiauto-organizzati, “Volontà”,n. 3, 1980- Reagan: la rabbia del cetomedio, “Volontà”, n. 1, 1981- Utopismo e futurismo, “Volontà”, n. 3, 1981Sociobiologia o ecologiasociale?, “Volontà”, n. 1,1982- Sociobiologia o ecologiasociale? (seconda parte), “Volontà”, n. 3, 1982- Conversazioni: Bookchin,natura e cultura, a cura diRoberto Ambrosoli, “Volontà”, n. 4, 1984- Tesi sul municipalismo li-

bertario, “Volontà”, n. 4,1985- Dibattito: Non mitizziamoBookchin, a cura di SalvoVaccaro, “Volontà”, n. 2,1986- La guerra civile spagnolacinquant’anni dopo, “Vo-lontà”, n. 4, 1986- Pensare l’ecologia. Libertàe necessità nel mondo natu-rale, “Volontà”, n. 3, 1987- Pensare l’ecologia. Nonsottovalutiamo la specieumana, “Volontà”, n. 3, 1987- Il politico e il sociale. So-cietà, politica, stato, “Volontà”, n. 4, 1989- Nostra patria è il mondointero. La proposta federa-tiva, “Volontà”, n. 2/3, 1990- Il pensiero eccentrico. Unapolitica municipalista, “Vo-lontà”, n. 4/1991-1/1992- Tutto è relativo, o no?. L’u-

42Informazioni bibliografiche

Como, novembre 1988, Amedeo Bertolo (a sinistra) insieme a Murray Bookchin.

43 Informazioni bibliografiche

nico e l’umano, “Volontà”,n. 2-3, 1994- Democrazia e oltre. La viadel comunitarismo, “Volontà”, n. 4, 1994

Altri saggi tradotti in italiano

- Spontaneità e organizza-zione, Torino, Edizioni delCDA, 1977, p. 31- L’autogestione e la nuovatecnologia, “Interrogations”,n. 17-18, 1979- La crisi ecologica: le sueradici nella società. Problemi e soluzioni, Car-rara, Circolo CulturaleAnarchico, 1984, 11 p.- Democrazia diretta, a cura di Salvo Vaccaro, Mi-lano, elèuthera, 1993, 92 p. - L’idea dell’ecologia so-ciale, a cura di Salvo Vac-caro, Palermo, Ila Palma-Edizioni Associate, 1996,101 p.

Tesi su Murray Bookchinin consultazioone pressol’Archivio G. Pinelli

- Luisa Cerundolo, La tradi-zione libertaria americana el’ecologia sociale radicaledi Murray Bookchin, AnnaliDipartimento Scienze Stori-che e Sociali, Lecce, La-caita, 1988, 21 p. - Sandro Apis, L’ecologiasociale di Murray Bookchin,Facoltà di Lettere e Filoso-fia, Università degli Studi diMacerata, anno accademico1988-1989, 280 p.- Dario Padovan, La socio-logia urbana di MurrayBookchin tra comunità edutopia, Facoltà di ScienzePolitiche, Università degliStudi di Padova, 1990, annoaccademico 1989-1990, 696p.- Francesco Berti, Filosofiadella natura ed etica dellalibertà nel pensiero ecologi-sta di Murray Bookchin, Fa-coltà di Scienze Politiche,Università degli Studi di Pa-dova, anno accademico1992-1993.- Selva Varengo, La rivolu-zione ecologica. Il pensierolibertario di Murray Book-chin, tesi di laurea poi pub-blicata da Zero in Condotta,Milano, 2007.

Seminari e conferenze organizzate dal Centrostudi libertari / ArchivioGiuseppe Pinelli

- 28-30 settembre 1979, Venezia, Convegno interna-zionale di studi sull’autoge-stione- 25-26 aprile 1981, MilanoL’ecologia della libertà- 26-29 settembre 1984, Venezia, convegno internazionale distudi Tendenze autoritarie etensioni libertarie nelle so-cietà contemporanee- 12-13 novembre 1988, Milano, Il municipalismo libertario- 18 gennaio 1990, Milano,Le città invisibili: spazio ur-bano come laboratorio d’utopie

La storia continuaPoco meno di trent’anni separano i dueeventi internazionali che ci siamo diver-titi a mettere a confronto: l’incontrointernazionale anarchico del settembre1984 a Venezia e quello dell’agosto2012 a Saint Imier. Chi ha partecipato aentrambi ha certamente colto alcune dif-ferenze, ma in realtà le somiglianze sonoapparse di fatto preponderanti. E alloraecco una carrellata di foto (quelle diSaint Imier sono di Roberto Gimmi,quelle di Venezia non ce lo ricordiamopiù…) che evidenziano le consonanzedei due eventi. A quanto pare, alcunemodalità dello stare insieme non sonoaffatto cambiate: si parla, si ascolta, sicanta, si mangia e addirittura ci si vestee pettina nello stesso modo… Insomma,da tanti punti di vista, la storia continua.PS Per aiutarvi nella lettura segnaliamoche la prima immagine dell’accoppiata èdi Saint Imier, la seconda di Venezia.

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DICEMBRE 2012Centro Studi Libertari / Archivio Giuseppe Pinelli

via Rovetta 27, 20127 Milanotel. /fax 02 28 46 923

orario di apertura 10:00-18:00 dei giorni feriali – orario di consultazione 14:00-18:00e-mail: [email protected] - web: http://www.archiviopinelli.it

c/c postale n. 14039200 intestato a Centro studi libertari, Milanotutti i numeri precedenti sono liberamente scaricabili dal sito

stampato e distribuito daelèuthera editrice

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